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PER UNO SCIOPERO GENERALE CONTRO IL G7

Il vertice G7 che si svolgerà a Maggio a Taormina vedrà la partecipazione di sette tra le più importanti potenze mondiali: Stati Uniti d’America, Regno Unito, Giappone, Germania, Francia, Italia e Canada. Oltre che discutere dei temi all’ordine del giorno (ovvero cyber controllo, smart cities e sicurezza delle città contro il terrorismo) i 7 potenti della terra approfitteranno del vertice per mettere a punto i prossimi interventi in materia economica e politica su scala globale. Sarà pertanto inevitabile, come del resto lo è sempre stato, che le decisioni che verranno fuori dal summit avranno pesanti ripercussioni anche sul mondo del lavoro, continuando quel processo di smantellamento dello stato sociale, riduzione dei salari, aumento della flessibilità del lavoro e precarizzazione della vita delle lavoratrici e dei lavoratori, alla quale oramai da anni la pianificazione globale messa in atto dal capitale ci ha abituato.
La concorrenza globale diventa quindi la condizione generale con la quale si confrontano le più importanti economie del mondo, in un contesto le cui dinamiche corrono sempre più veloci: esempio lampante ne è il cambiamento velocissimo che ha riguardato il mondo del lavoro in tutti i suoi livelli e in tutte le sue componenti, rendendo franabile il terreno nel quale la classe lavoratrice si muoveva oramai da decenni. Negli ultimi quattro anni, e ancora di più con l’ascesa al potere di Matteo Renzi e del suo governo, sono stati spazzati via i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dallo smantellamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, passando per le riforme della previdenza, del mercato del lavoro e della Pubblica Amministrazione, sino ad arrivare alle forme di lavoro non retribuito ormai sempre più diffuse.
Mai come oggi le lavoratrici e i lavoratori hanno subito un’aggressione così feroce, che oltre ad erodere diritti prova a mortificare la dignità stessa del corpo sociale in questione. Negli ultimi anni in vari paesi sono state varate durissime riforme del lavoro: si pensi alla Loi Travail in Francia e alla sua riforma gemella in Belgio, oppure alle riforme subite dal mondo dei lavoratori in Spagna e Grecia. Il rapporto di lavoro si è infatti sempre più sbilanciato dalla parte dei padroni, sostenuto da leggi che limitano i conflitti e da nuovi strumenti di controllo prima vietati; molti sono i casi di rapporti di lavoro che assumono un carattere servile. Lo sfruttamento esercitato in molti settori ha assunto le sembianze di una moderna schiavitù.
Lo sconcertante attacco portato avanti contro il diritto allo sciopero e alle libertà sindacali; le regolamentazioni delle relazioni sindacali tese ad eliminare, fin dal nascere, la possibilità di conflitto nei luoghi di lavoro poiché del tutto piegate alle logiche padronali; lo smantellamento del diritto alla pensione; il vergognoso Jobs Act; l’introduzione dei voucher, ultima ciliegina sulla torta che apre nella sostanza alla legalizzazione del lavoro nero; queste sono soltanto alcune delle problematiche che rappresentano la punta dell’iceberg del possente attacco portato all’oggi al mondo del lavoro. Si diffondono a macchia d’olio nuove forme di sfruttamento soprattutto giovanile, a partire dai già citati voucher, passando per l’alternanza scuola-lavoro, per finire con il falso volontariato, che nell’EXPO di Milano ha avuto la sua vetrina di lancio, fino alla GIG economy. Questo è il mondo del lavoro che ci si offre oggi, un mondo dove non esistono più lavori continuativi né diritti; un trionfo per padroni e multinazionali, nel quale tutti lavorano usando mezzi propri, svolgendo attività assolutamente saltuarie e per pochissimi euro l’ora.
Le politiche sociali e del lavoro rispondono oggi più che mai alle esigenze del capitale: i tagli alle spese sociali sono all’ordine del giorno e la diffusione di sistemi di welfare gestiti dalle aziende a scapito degli aumenti salariali, oltre che fidelizzare i lavoratori stessi, sancisce inequivocabilmente la vittoria del liberismo. La percentuale di disoccupati ormai strutturale mai più avrà la possibilità di reinserirsi nel mondo del lavoro, a causa dell’affacciarsi delle nuove tecnologie, la nuova fabbrica 4.0, e della sempre più crescente delocalizzazione della produzione, di cui la recente vicenda Almaviva ne è la testimonianza.
Anni di politiche di austerity hanno inoltre portato ad un iper sfruttamento sociale e lavorativo dei migranti, ad una diffusione senza precedenti del lavoro sommerso o povero, diffondendo sempre di più condizione di povertà assoluta o di grave indigenza, costituendo così territori nei quali si evidenziano sempre di più le contraddizioni prodotte dal capitale alle prese con la sua ristrutturazione. La classe lavoratrice ne esce a pezzi, perdendo quell’universalità dei diritti a cui mirava e verso la quale, con poderosi anni di lotte e conquiste, aveva provato a raggiungere. Adesso, non soltanto quella condizione sembra irraggiungibile, ma siamo persino in presenza di una fase che manifesta una totale compartimentazione stagna, e fra segmenti della stessa classe, e all’interno dello stesso posto di lavoro con differenti condizioni predefinite.
Profonde sono quindi le trasformazioni avvenute nella società. L’enorme piaga della disoccupazione giovanile vede migliaia di giovani costretti ad emigrare o ad non avere alcuna prospettiva di vita decente; un fenomeno, questo, che in Sicilia raggiunge cifre che riportano alla mente un triste passato. Sembra paradossale dunque che proprio in una delle terre più abbandonate dalla governance si decida di far svolgere l’inutile sfilata dei “sette grandi della terra”; sfilata che infatti avrà luogo a nella perla dello Ionio, Taormina, dimenticando però il resto della Sicilia. Una Sicilia in cui crollano ponti, scuole, autostrade; dove la disoccupazione raggiunge picchi del 40 per cento; dove multinazionali fra le più importanti hanno per anni sfruttato interi territori per poi delocalizzare, lasciando solo miseria e disoccupazione; dove dannose ed inutili opere come il MUOS sono imposte contro la volontà di chi vive quei territori.
Riteniamo pertanto necessario approfittare dell’occasione offerta dal G7 poiché, come sopra riportato, tanti, e anche più di questi, ci sembrano i motivi per cui contestare un meeting in cui in soli sette decideranno del futuro di milioni. Lo sciopero generale del mondo del lavoro, agito come strumento d’opposizione e di lotta, è una carta che non solo è necessario giocare, ma che rimane, in questo clima di smantellamento dei diritti e dei bisogni, l’unica risposta all’altezza che hanno lavoratrici e lavoratori per rispondere all’attacco subito fatto di disoccupazione, distruzione del welfare ed emigrazione per i giovani dei nostri territori.

 

 

STUDENTI CONTRO IL G7

Il 26 e il 27 Maggio si svolgerà a Taormina, in Sicilia, l’incontro dei sette capi di stato del mondo: Italia, Canada, Stati Uniti, Giappone, Francia, Inghilterra e Germania. Il G7 è uno dei tanti vertici che si sono realizzati storicamente, e che si realizzeranno, al fine di stabilire a tavolino assetti di guerra, assetti economici e politici che, a ricaduta diretta, incidono e trasformano la composizione sociale e culturale (a volte anche in maniera totalizzante) dei singoli territori.
Tra i temi principali su cui si incentrerà la discussione di questo vertice:
– SMART CITIES, anche definite “città intelligenti”, ovvero progetti di tipo urbanistico che mirano a modificare le città in funzione delle nuove possibilità spazio temporali del capitale, rendendo così le città meno distanti tra loro grazie a nuove infrastrutture e a innovazioni tecnologiche;
– CYBER SECURITY, riguardante l’ambito della sicurezza dei confini informatici dei paesi.
Due tematiche che ci parlano di innovazione e sviluppo per le città e, in generale, per i territori. Allora perché opporsi a questo vertice? Quali le rivendicazioni che in quanto studenti si potrebbero portare in un possibile percorso di opposizione al G7?

Il primo dato di realtà sono le conseguenze e le ricadute per gli assetti sociali e produttivi che il nuovo modello di sviluppo ha avuto, e sta avendo, nei territori. Il concetto di innovazione, oggi, si sostanzia nella costante privatizzazione di beni primari, di servizi e in generale di tutto ciò che dovrebbe essere considerato un “diritto” delle persone. Questo porta all’aumento della povertà sociale e alla biforcazione della forbice tra ricchi e poveri, biforcazione che si va cristallizzando sempre più. Gli interessi dei sette potenti non sembrano essere, dunque, quelli di innovare e migliorare le condizioni di vita della popolazione ma, al contrario, di ricavare sempre maggiore profitto dalle reti locali e territoriali a costo anche di precarizzare ai massimi livelli la vita delle persone.
Ancora più drammatico ci sembra il ruolo che assumono le università e le scuole, in generale l’ambito della formazione a livello governativo, all’interno di questi progetti di innovazione e trasformazione volti al profitto. Già dalle riforme del sistema universitario Moratti e Gelmini appariva chiaro l’obiettivo di diminuire progressivamente i finanziamenti statali agli Atenei e soprattutto al settore della ricerca, per un sempre più accentuato adeguamento al nuovo modello di sviluppo voluto dal sistema capitalistico e dalle lobby finanziarie. Infatti sono aumentati di gran lunga, da parte dell’istituzione universitaria, i finanziamenti per progetti realizzati tra università, aziende e Comuni promossi e incentivati dalle aziende stesse. Tra questi appunto le smart cities e la cyber security.
Nelle nostre università e nelle nostre scuole oggi vengono proposti bandi e concorsi per realizzare servizi Smart nei tratti turistici delle città, aree infrastrutturate con connettività wifi a banda larga e cloud privato, sviluppo dei siti web o mobile app e la messa in rete di tutti i servizi smart che dovranno essere “protetti” (ma da chi e da cosa?). Le smart cities non fanno altro che concretizzare i processi di gentrificazione delle città, e quindi di espulsione di intere fasce della popolazione dai centri città verso le periferie. I constanti aumenti degli affitti e delle bollette da pagare per chi vive nella propria città diventano sempre più insostenibili. Allo stesso tempo, viviamo all’interno di un sistema universitario e scolastico che ci impone continui tagli al welfare studentesco, alla ricerca, ai posti di lavoro per i docenti (soprattutto del Sud); i continui tagli vengono attuati in un quadro generale che vede scuole spesso inagibili e che gravano in condizioni di insalubrità, aumento del divario tra università di serie A (quelle del Nord) e di serie B (quelle del Sud). Non possiamo accettare che lo sviluppo immaginato per i giovani sia il lavoro gratuito presso Mc Donald, piuttosto che presso qualunque altra azienda. Non possiamo farci raccontare favole che parlano dell’importanza e dell’utilità che assume il lavoro gratuito negli stage e nei tirocini per il percorso di formazione di ogni studente, volti evidentemente soltanto allo sviluppo e allo sfruttamento di risorse umane e ambientali a favore delle grandi multinazionali (ad esempio l’Enel, CISCO, AMAT ecc).

Un altro dato di realtà è quello riguardante lo sfruttamento del Meridione. Dalla Campania in giù si registrano tassi di disoccupazione al 54% e al 40% nella fascia di età 15-24. Dal 2008 al 2015 478mila giovani hanno deciso di fare le valige e partire, di questi 133mila sono laureati. Sempre nel meridione si concentrano i due terzi dei poveri italiani. Non sembra casuale la scelta del luogo del G7. Perché proprio in Sicilia? La Sicilia nello specifico contribuisce alle percentuali citate ed è, contemporaneamente, diventata il campo di sperimentazione del capitalismo avanzato. La Sicilia è attualmente una delle regioni maggiormente saccheggiate e colonizzate dal grande capitale finanziario e neoliberale. Il territorio siciliano viene pensato ed agito esclusivamente come spazio della nuova produzione e riproduzione sociale della nuova economia dei flussi o economia globale. Dunque viene trasformata e riorganizzata in base alle esigenze e all’offerta che deve dare alla rete economica globale. Per questa riformulazione la Sicilia deve essere svuotata del tessuto sociale e relazionale che la caratterizzano e la determinano: i processi di de-finanziamento e de-qualificazione del mondo della formazione contribuiscono ai processi di disoccupazione giovanile in Sicilia e, soprattutto, di emigrazione forzata di massa verso il Nord Italia o all’estero. Oggi la tendenza dei sistemi governativi non è, evidentemente, quella di realizzare delle città, delle scuole e delle università a misura di chi le vive…ma a misura del capitale!

Crediamo che sia questo il motivo centrale che ci porta da studenti e studentesse, della Sicilia e non solo, ad opporci alla passerella politica dei sette potenti che ci sarà a maggio a Taormina, l’ennesima passerella in cui i sette governi faranno riferimento alle sorti future della popolazione in termini di agevolazioni e, di nuovo, di sviluppo in un’epoca storica in cui la crisi è dilagante e diffusa nei territori proprio a causa delle loro decisioni politiche ed economiche.
Non crediamo di dover restare a guardare una tale presa in giro da parte di chi ci governa e di chi continua ad utilizzare le nostre vite e i nostri territori per i loro giochi di profitto e di guerra.
Prendiamo posizione per resistere alla distruzione totale del sistema scolastico e universitario pubblico.

Contro lo sfruttamento del sistema scolastico
Contro l’aziendalizzazione e la privatizzazione di scuole e università
Contro il divario tra Nord e Sud
Contro i tagli al welfare studentesco
Contro il G7

ORGANIZZIAMOCI!
STUDENTI CONTRO IL G7!

h15:00 ASSEMBLEA CONCLUSIVA

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO
VIALE DELLE SCIENZE

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