Caschi gialli paralizzano Pisa
Un serpentone di circa 150 mezzi da lavoro ha bloccato il centro di Pisa questa mattina transitando in corteo per i lungarni. La manifestazione, lanciata dalla CNA di Pisa, associazione di categoria degli artigiani e della piccola media impresa, ha visto confluire al Lungarno Guadalongo centinaia di operai e di piccoli datori di lavoro. Le aspettative dei promotori sono state superate di gran lunga, coinvolgendo una composizione ampia e stratificata, non interamente riducibile ai “rappresentati” della Confederazione. Infatti, su parole d’ordine ampie – meno tasse più credito, più lavoro vero meno lavoro nero, meno burocrazia – si sono ritrovate in piazza una serie di figure produttive investite da un rapido processo di proletarizzazione dovuto alle politiche di compressione della spesa pubblica e alla concentrazione di capitali nelle grandi cooperative nella fase di crisi.
Sul territorio pisano queste figure sono soprattutto quelle del lavoro delle imprese edili e artigiane (impiantistica). Si tratta, nel caso dell’edilizia, di imprese che lavorano per lo più con commesse pubbliche e che vengono messe in ginocchio dai mancati pagamenti, bloccati dal patto di stabilità. Anche il ciclo del debito sembra essere saturo: le banche non erogano credito e la mancanza di liquidità porta al fallimento.
Un altro aspetto è quello della tipologia di questi grossi appalti. Si tratta spesso di contratti di tipo Global Service dove gli appalti di forniture e servizi vengono affidati a un unico interlocutore. Ovviamente le uniche imprese che possono permettersi di affrontare questi grossi appalti sono le grandi cooperative, spesso legate al PD e quasi sempre al sistema delle cooperative emiliane. Per la conformazione del tessuto produttivo toscano le imprese del territorio diventano, in barba spesso al limite del 30% imposto dal tetto di legge al subappalto, di fatto subcontraenti di questi grossi vincitori e sono obbligati a praticare sconti fino al 50% sulla base d’asta.
In altri casi le pubbliche amministrazioni, per risparmiare, indicono gare d’appalto al massimo ribasso, dove a contare come criterio per l’affidamento dell’appalto è esclusivamente l’economicità del prezzo, senza alcuna attenzione per la qualità. Così spesso a vincere sono imprese infiltrate, non preoccupate dell’andare in perdita e interessate riciclare denaro sporco. È il caso ad esempio dell’appalto di 400.000 per l’ampliamento della rotatoria di accesso al nuovo centro Ikea.
La mattinata di blocco a Pisa ha certamente offerto uno spaccato di una composizione trasformata e trasfigurata dalla crisi. Il lavoro autonomo delle piccole e medie imprese in crisi inizia a costruire una propria appartenenza protestando contro processi sfaccettati e molteplici ma orientati, dalla crisi del pubblico, a drenare capitali verso il sistema di potere delle cooperative. Le stesse associazioni di categoria, storicamente legate in questi territori alle reti di potere delle sinistre, si trovano a gestire contraddizioni sempre più evidenti. Banalmente, il disagio di un segmento produttivo strozzato dai debiti e sull’orlo del collasso travolge qualsiasi funzione di mediazione categoriale. Il PD sul territorio, ri-orientatosi in senso renziano, non garantisce comunque una copertura dagli interessi politico economici delle cooperative emiliane legate al partito, andando così ad acuire in settori medio-bassi della realtà produttiva la propria crisi di legittimità. Non a caso diverse rappresentanze del PD pisano si trovavano oggi in piazza con i manifestanti nel tentativo di ricostruire un dialogo con questi settori. Eppure sembrano essere sempre meno controllabili queste forme di insofferenza sociale che ancora una volta si scatenano a partire da questioni fiscali, di rigetto della burocrazia e della messa in discussione dell’autorità dello Stato commissariato dalle politiche di riduzione della spesa pubblica.
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