E’ finita la gomma da masticare
Chi avrebbe potuto immaginare Occupy Wall Street e la sua proliferazione simile a quella di fiori di campo in città grandi e piccole? John Carpenter lo ha fatto. Quasi un quarto di secolo fa (nel 1988), il maestro dell’horror di mezzanotte (“Halloween”, “La Cosa”) ha scritto e diretto “They Live” (essi vivono), che rappresentava l’epoca di Ronald Reagan come una catastrofica invasione di alieni. In una delle brillanti scene iniziali del film, una gigantesca città di baracche da terzo mondo appare all’altro lato della Hollywood Freeway nel riflesso del sinistro cristallo degli edifici delle multinazionali di Bunker Hill.
“They Live” è ancora il tour de force sovversivo di Carpenter. Pochi di coloro che l’hanno visto possono dimenticare il ritratto di banchieri multimilionari e di perversi potenti dei media e il loro oscuro impero zombie su una classe operaia americana che vive in tende sul lato di una collina ricoperta di rifiuti, implorando posti di lavoro. A partire da questa negativa eguaglianza di disperazione negativo e mancanza di case, e grazie ai magici occhiali da sole trovati dall’enigmatico Nulla (interpretato da Rowdy Roddy Piper), il proletariato trova l’unità interetnica, vede attraverso gli inganni subliminali del capitalismo e si infuria. Si infuria molto.
Sì, lo so, sto andando troppo avanti. Il movimento Occupa il Mondo sta ancora i suoi occhiali magici (programma, obiettivi, strategia, ecc.) e la sua indignazione bolle al fuoco lento di Gandhi. Ma, come aveva previsto Carpenter, se un numero sufficiente di americani esce della sua casa e/o dalla sua traiettoria (o almeno a decine di milioni si chiedono se farlo), qualcosa di nuovo e colossale si metterà poco a poco in marcia in direzione di Goldman Sachs. Qualcosa che, a differenza del Tea Party (la destra statunitense, ndt), fino ad ora non ha i fili del burattino.
Nel 1965, quando avevo solo 18 anni e facevo parte della commissione nazionale di Students for a Democratic Society, organizzai un sit-in alla Chase Manhattan Bank per il ruolo centrale che aveva avuto nel finanziamento al Sud Africa dopo il massacro di manifestanti pacifici, con il che la banca divenne “socio dell’apartheid”. Fu la prima protesta a Wall Street dopo una generazione, e 41 persone furono sgomberate dalla polizia di New York.
Uno dei fatti più importanti della sollevazione in corso è semplicemente che ha rioccupato le strade e creato una identificazione esistenziale con i senzatetto. (Anche se, francamente, quelli della mia generazione, addestrati nel movimento per i diritti civili, avrebbe pensato prima di tutto a fare un sit all’interno degli edifici e aspettare che la polizia ci trascinasse fuori a colpi di manganello; oggi i poliziotti preferiscono lo spray al peperoncino). Occupare i grattacieli è una grande idea, ma per una fase successiva di questa lotta. Il genio di Occupy Wall Street, per ora, è che ha liberato temporaneamente alcuni degli immobili più costosi del mondo e trasformato una piazza privatizzata in uno spazio pubblico magnetico e catalizzatore della protesta.
Il nostro sit-in di 46 anni fa era una incursione guerrigliera, oggi è l’assedio di Wall Street da parte dei lillipuziani. E’ anche il trionfo del principio presuntamene arcaico dell’organizzazione faccia a faccia, attraverso il dialogo. I social media sono certamente importanti, ma non sono onnipotenti. L’auto-organizzazione degli attivisti, la cristallizzazione della volontà politica a partire dalla discussione libera, prospera ancora meglio in forum urbani reali. Detto in altro modo, la maggior parte delle nostre conversazioni su Internet sono prediche rivolte al coro, e anche i mega-siti come MoveOn.org si rivolgono ai già convertiti.
Allo stesso modo, le occupazioni sono un lampo di luce, in primo luogo e soprattutto, per le disprezzate e isolate fila dei democratici progressisti, ma sembrano anche saper abbattere le barriere generazionali e fornire un terreno comune, per esempio, perché i minacciati insegnanti i mezza età si possano confrontare con i giovani laureati impoveriti.
Un aspetto più radicale è che gli accampamenti sono diventati luoghi simbolo per sanare le divisioni nate fin dagli anni di Nixon nella coalizione del New Deal. Nelle parole di Jon Wiener, nel suo blog notevolmente intelligente su TheNation: “I lavoratori e gli hippies: finalmente insieme”. In effetti, chi non si è commosso, quando il presidente della Afl-Cio (il maggior sindacato statunitense, ndt), Richard Trumka, che aveva portato i minatori del carbone, nel 1989, a Wall Street, durante lo sciopero amaro ma alla fine di successo contro il Coal Company Pittston, ha chiamato i suoi uomini e donne con le spalle larghe a “fare la guardia” allo Zuccotti Park (sede dell’accampamento di Occupy Wall Street, ndt), per far fronte a un imminente attacco della polizia di New York?
E’ sicuro che i vecchi radicali come me si affrettano a dichiarare che ogni neonato è il Messia, ma questo bambino Occupy Wall Street nasce sotto il segno dell’arcobaleno. Credo che stiamo assistendo alla rinascita della qualità che tanto fortemente ha definito i migranti e gli scioperanti della Grande Depressione, quelli della generazione dei miei genitori: una grande, spontanea condivisione e solidarietà, basata su una etica pericolosamente egualitaria. Dice: fermati e dai un passaggio a una famiglia che lo chiede. Non ammainare mai le bandiere dello sciopero, anche se devi pagare l’affitto. Condividi la tua ultima sigaretta con uno sconosciuto. Ruba il latte quando i tuoi figli non ne hanno e poi danne la metà ai ragazzi della casa accanto… qualcosa che mia madre ha più volte fatto nel 1936. Ascolta con attenzione le persone profondamente silenziose che hanno perso tutto tranne la dignità. Coltiva la generosità di “noi”.
Quel che voglio dire, suppongo, è che mi hanno enormemente colpito le persone che hanno manifestato per difendere le occupazioni, nonostante le grandi differenze di età, classe sociale e etnia. Ma allo stesso modo amo persone così giovani che hanno deciso di affrontare l’inverno imminente sulle strade gelate, come i loro fratelli e sorelle senza tetto.
Ma per tornare alla strategia: qual è l’anello successivo della catena (nel senso di Lenin) che è necessario afferrare? Fino a che punto è imperativo che i fiori di campo facciano una convenzione, adottino richieste programmatiche, e quindi si mettano a disposizione delle offerte in vista delle elezioni del 2012? Obama e i democratici hanno disperatamente bisogno della loro energia e autenticità. Ma è improbabile che quelli delle occupazioni si mettano in vendita o che consegnino ai politici il loro straordinario processo di auto-organizzazione.
Personalmente, inclino verso la posizione anarchica e i suoi ovvi imperativi.
In primo luogo, esporre il dolore del 99 per cento; mettere sotto accusa Wall Stret. Mettere Harrisburg, Loredo, Riverside, Camden, Flint, Gallup e Holly Springs al centro di New York. Porre a confronto i predatori e le loro vittime; un tribunale nazionale per l’assassinio economico di massa.
In secondo luogo, continuare a democratizzare e occupare produttivamente lo spazio pubblico (cioè recuperare i Comuni). Mark Niason, veterano attivista e storico del Bronx, ha proposto un piano audace per convertire gli spazi abbandonati di New York in risorse per la sopravvivenza (giardini, parchi, campeggi) per i disoccupati e i senzatetto. Gli occupanti di tutto il paese ora sanno cosa si prova ad essere senza casa ed esclusi, e a dormire nei parchi o in una tenda. A maggior ragione dobbiamo rompere le barriere e saltare i recinti che separano lo spazio in ozio dalle necessità umane urgenti.
In terzo luogo, tenere d’occhio il vero premio. L’obiettivo essenziale non è aumentare le tasse ai ricchi né ottenere una migliore regolamentazione bancaria. E’ la democrazia economica: il diritto della gente comune a prendere decisioni macroeconomiche su investimenti sociali, tassi di interesse, flussi di capitale, creazione di occupazione e sul riscaldamento globale. Se la discussione non ha per oggetto il potere economico, è irrilevante.
Quarto, il movimento deve superare il periodo invernale per combattere per il potere la prossima primavera. In gennaio fa freddo, per le strade. Bloomberg (il sindaco di New York, ndt) e tutti gli altri sindaci e governanti locali confidano che il duro inverno sgonfi le proteste. Perciò è tanto importante rafforzare le occupazioni nella lunga vacanza del periodo natalizio. Mettetevi il cappotto.
Infine, abbiamo bisogno di calma: l’itinerario della protesta attuale è del tutto imprevedibile. Ma se costruiamo un parafulmine, non dobbiamo stupirci se prima o poi viene colpito dal fulmine.
Banchieri intervistati nei giorni scorsi dal New York Times dicono che per loro le proteste Occupy sono poco più che un fastidio derivante da una scarsa comprensione del settore bancario. Deben tener más cuidado. Dovrebbero essere più prudenti. In realtà, probabilmente dovrebbero tremare all’immagine della ghigliottina.
Dal 1987, gli afro-americani hanno perso più della metà del loro patrimonio netto; i “latinos”, l’incredibile quantità dei due terzi. Cinque milioni e mezzo di posti nel settore manifatturiero sono andati persi negli Stati Uniti dal 2000 ad oggi, più di 42 mila fabbriche hanno chiuso, e un’intera generazione di laureati si trovano ora ad affrontare il più alto tasso di mobilità verso il basso nella storia del paese.
Distruggi il sogno americano e la gente ti provocherò ferite gravi. O come spiega Nulla ai suoi ignari avversari nel grande film di Carpenter: “Sono venuto qui a masticare gomma e dare calci nel culo… e mi è già finita la gomma”.
Mike Davis è redattore della Los Angeles Review of Books ed è autore di vari libri, come “Il pianeta degli slums”, “La città di quarzo” e altri. E’ docente all’Università della California a Riverside.
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