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Firenze. Appunti dalla piazza anti-Salvini

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Un video che gira in rete mostra la polizia che indietreggia mentre un corteo si fa spazio intonando “Bella ciao”. Nei cordoni che fanno avanzare compatte le prime linee ci sono le facce di ragazzi e ragazze giovanissimi. Sono loro i protagonisti e le protagoniste della piazza arrabbiata che ha “accolto” la visita di Salvini a Firenze lo scorso 20 dicembre. Circa mille le persone che si sono convocate in piazza Duomo in meno di 48h per assediare il vertice in Prefettura, dove Ministro degli Interni e Sindaco avrebbero deciso su nuovi sgomberi e centri per l’espulsione dei migranti per poi mettersi in posa stringendosi le mani con un sorriso soddisfatto per i flash della stampa.

La spinta della piazza inizia proprio all’imbocco di via Cavour, sotto le luci dell’albero di Natale che illumina lo shopping del centro-vetrina. La polizia contiene la spinta, ma non la rabbia. Il pomeriggio è appena iniziato, e la piazza si dirige quindi verso l’Hotel Mediterraneo, dove Salvini si sposterà per una cena con imprenditori e leghisti. Il dispositivo di polizia viene beffato più volte, conquistando prima le vie della “zona rossa” da anni preclusa ai cortei, in primis piazza della Signoria, e poi affrontando a spinta e senza paura l’ingente sbarramento di celerini che blocca via Ghibellina.

tre copiaGiovani, donne, migranti. Sono questi i soggetti che definiscono la composizione della piazza, che riesce a raccogliere e amplificare la potenza delle mobilitazioni di questo autunno. E’ la piazza degli studenti delle scuole superiori che solo qualche giorno prima scioperavano per rivendicare fondi per l’edilizia scolastica e costringevano il Sindaco a firmare un impegno per interventi seri e veloci. E’ la piazza delle donne, anche in questo caso per lo più giovanissime, che a centinaia il 10 novembre davano vita a un importante piazza antagonista contro il DDL Pillon e le politiche patriarcali. E’ la piazza della forza lavoro migrante che sotto la bandiera del Si Cobas costruisce il proprio riscatto a forza di scioperi e picchetti. Sono i lavoratori del Panificio Toscano, i facchini della logistica e gli operai delle fabbriche tessili: quelli che negli ultimi mesi hanno rotto una “pace sociale” che per loro vuol dire doppio sfruttamento, doppio ricatto e doppia subalternità.

Numeri e vivacità della piazza dobbiamo leggerli dentro le processualità attivate in questo autunno. E’ una piazza tutta politica, ma non circoscrivibile agli addetti ai lavori. Sì, perché c’è un’ostilità politica a questo governo che, al netto dei sondaggi elettorali, si definisce sulle tre diagonali della generazione, del genere e della razza. Opinione e materialità degli interessi stanno accanto ma più spesso si sovrappongono. Dobbiamo guardare al disegno sovranista anche come il tentativo di scaricare in basso un’istanza di potere/decisionalità che le composizioni di classe più colpite dai processi di impoverimento legati alla crisi hanno maturato nell’era dei governi tecnici e dell’austerità che va da Monti a Renzi. Ovvero: approfondire la gerarchizzazione interna alla classe tra italiano e straniero, tra uomo e donna, e non ultimo tra “adulto” e giovane. Ridefinire la gerarchia sociale ai piani bassi, per mantenere inalterata la posizione di chi sta in alto. C’è un pezzo significativo di società che ha tutto l’interesse e la voglia di rovesciare il tavolo. Un’articolazione sociale del progetto antagonista può e deve ripartire da qui.

“Basta razzismo e cazzate. Reddito, casa e dignità è la sicurezza che vogliamo”, recita lo striscione di testa. Mentre in Francia la richiesta di più protezione sociale da parte dello Stato si fa rivolta contro lo Stato, è senz’altro vero che alle nostre latitudini molte delle istanze sociali che hanno determinato la distanza abissale tra “popolo” e istituzioni nell’era Renzi trovano per lo più la loro rappresentazione nel governo M5S-Lega. Ma non vuol dire che abbiano trovato o troveranno risposte adeguate. Il consenso ai “populisti” a oggi si regge su un mix di promesse, briciole che cadono dal tavolo e soprattutto gratificazioni simboliche sufficienti a far percepire un “cambiamento”. Ma di briciole e simboli non si vive. E quello che ci sembra rilevante è un’ipotesi che vogliamo azzardare: nel mondo sociale delle “periferie” molti di quelli che compongono il 60% di consenso al governo gialloverde lo scambierebbero molto volentieri per una rivolta di gilets jaunes anche qui. E allora mentre la pancia del paese ha deciso di “lasciarli lavorare” e poi vedere, sta a noi fare il nostro lavoro antagonista. E’ indispensabile per noi che da subito quelle stesse istanze si rappresentino nel segno del dissenso e della contrapposizione, ri-ordinate in un ordine del discorso di classe, costruendo l’alternativa alla stessa altezza del politico del discorso sovranista. Marcando la distanza ma soprattutto la differenza con il discorso “di sinistra” che si oppone a questo governo (per lo più rafforzandolo). Praticare l’opposizione, approfondire le contraddizioni, individuare e organizzare l’irrisolto. Partire dall’ostilità che c’è guardando oltre, alla ricerca delle formule giuste per parlare al resto della società. Preparando e preparandosi al futuro. Preparando e preparandosi al futuro. Partecipazione antagonista e scontro da mantenere come invarianti di metodo nello sforzo politico di immaginare e comporre le coordinate dell’opposizione possibile al governo gialloverde.

 

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