Forconi e forche
In verità molti si sono chiesti, nel passato più o meno recente, come sia stato possibile tenere in piedi la pace sociale in un paese alla deriva. Il meridione d’Italia è stato interessato da una questione sociale annosa, discussa e ridiscussa ma che, senza ombra di dubbio, resta irrisolta se non addirittura assunta a paradigma di un modello di accumulazione capitalistico in cui lo sfruttamento e l’indotta arretratezza di una parte consistente del territorio, sono presupposto e garanzia dello “sviluppo” del resto del Paese. Ed è da questa dicotomia che partiamo quando ci poniamo il problema di comprendere, non tanto le ragioni (che sono tante e tali da lasciare, appunto, ammutoliti) ma le dinamiche che sottendono all’italica insorgenza dei Forconi.
Da questa dicotomia partiamo, innanzitutto, per decifrare e mettere a critica lo sdegno, il fastidio con i quali la sinistra istituzionale per prima si è affrettata a prendere le distanze dai blocchi e dalle forme radicali di una protesta nata a sud. Rozzi, sporchi e cattivi. Di più. Mafiosi, ignoranti e facilmente strumentalizzabili da forze oscure. Fascisti compresi.
Il sud non può esprimere autonomamente un moto di ribellione che sia degno della gloriosa tradizione del Movimento Operaio. E così, dalle pagine de L’Unità, Claudio Fava, coordinatore di SeL, accusa i siciliani di essere i veri responsabili del disastro sociale (e non solo) che ha colpito l’isola negli ultimi decenni. Sono loro, secondo Fava, che hanno sostenuto la classe politica parassitaria e collaterale agli interessi mafiosi: non cerchino di fare i furbi ora, che tornino a casa buoni e tranquilli! Nell’analisi di Fava le complesse dinamiche clientelari che avvolgono e implementano la macchina politica della rappresentanza non esistono, la peculiare situazione di ricattabilità dei disoccupati, lavoratori precari e sfruttati a vario titolo (nei quali rientrano da tempo anche molte partite iva che sono tali solo per meglio essere spremute dalla pervasiva produzione di profitto odierna) non viene presa in considerazione. Una visione frutto, dicevamo, dell’assunto secondo cui l’endemica arretratezza del sud non possa che produrre moti di rozza insubordinazione se non di vera e propria reazione.
Noi non la pensiamo così. E dei Forconi non abbiamo paura, anzi.
Il meridione è stato, negli ultimi anni, teatro di molte ribellioni e prese di parola da parte di cittadini esasperati. In Campania abbiamo assistito a dure rivolte che, puntualmente, sono state bollate come manovrate, irresponsabili e frutto dell’ignoranza generale. Eppure da quelle rivolte è nata una progettualità diffusa che ha evitato che la speculazione sulle risorse ambientali e la rapina dei Beni Comuni proseguisse indisturbata. Il sistema di potere dei partiti è stato messo a nudo e gli interessi economici di chi tra discariche, inceneritori e centrali elettriche desertificava, senza pudore, il territorio sono stati smascherati. Se li avessimo lasciati fare, oggi staremmo peggio. Se piccoli comuni e grandi città attualmente sposano il programma Rifiuti Zero è merito di questi movimenti ampi e variegati.
Movimenti ai quali si è scelto di partecipare attivamente e con convinzione in quanto espressione di aspirazioni giuste e sacrosante. Movimenti che sono cresciuti nei numeri e nella capacità di elaborazione e proposta proprio perché attraversati da quelle realtà autorganizzate e di base che hanno impedito, con il proprio radicamento, che forze di stampo reazionario se non manifestamente fascista come Forza Nuova, potessero cavalcare il malcontento e realizzare i propri nefasti intenti.
Mai spenderemmo un solo minuto del nostro tempo per difendere gli interessi di padroncini e proprietari terrieri! Mai faremmo l’errore di mettere sullo stesso piano i diritti degli sfruttati con le mire degli sfruttatori e di confondere, mediante l’abusata ideologia dell’“a-politico”, la lotta di chi è oppresso con la difesa di interessi corporativi.
L’umanità varia che ha partecipato a questi cicli di lotte a sud ci ha restituito il quadro di una composizione sociale complessa. Crediamo sia questa composizione sociale, ulteriormente modificata dalla crisi economica, che vada indagata. Ciò è stato, è e sarà possibile solo grazie a due fattori che riteniamo essenziali: un radicamento sociale che la sinistra delle primarie e dei salotti non ha, essendo giustamente percepita come parte integrante di quel sistema politico che si è deciso di contrastare, ed una presenza nelle lotte sociali che la solita sinistra di cui sopra non sembra voglia avere, impegnata com’è nel tessere le lodi del Governo di Monti, Napolitano e BCE. Così si preferisce, di fronte ai Forconi, gridare: “Alle forche!”.
Assemblea autonoma terra di lavoro
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