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Genova 2001: una storia, tanti processi, un collettivo

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I locali di via San Luca 15 a Genova, dove era la sede della segreteria del Genoa Legal Forum e dove si è svolto tutto il lavoro processuale di difesa dei manifestanti imputati per devastazione e saccheggio, diventeranno a breve gli uffici di una banca. E forse è giusto così. Ci sembra una fine emblematica per l’ultimo luogo vivo per molti anni dopo il 2001: ben rappresenta la parabola di un movimento che aveva le istituzioni finanziarie tra i propri bersagli, ma che non ha saputo dare alcuna risposta collettiva al più feroce episodio di repressione, poliziesca prima e giudiziaria poi, degli anni 2000.

Nel luglio 2001, in concomitanza con gli incontri del G8, a Genova si è svolto uno dei molti controvertici del Movimento no global, espressione di presa di coscienza popolare che è riuscita finalmente a smontare la favola per cui il liberismo assoluto sarebbe l’unica strada percorribile e soprattutto propone alternative praticabili. Genova fu il culmine di un movimento fluido e contraddittorio che, con un paradosso stimolante, si estendeva in tutto il globo contro la globalizzazione, che metteva insieme preti e anarchici, pratiche pacifiste e azioni dirette, generazioni diverse, partiti e cani sciolti e che vedeva finalmente non solo élite colte occidentali prendere parola, ma anche e soprattutto una critica economica e politica che veniva dagli strati delle popolazioni del sud del mondo più colpite dal liberismo.

A Genova il movimento no global incontrò la ferocia del potere impersonificato da orde incontrollabili di agenti delle forze dell’ordine che invece di contenere la protesta dichiararono la città zona di guerra, una guerra in confronto alla quale anche le azioni intraprese dal discusso blocco nero furono poco più che marachelle. Senza voler scendere in tediose discussioni su chi fosse l’uomo di turno in cabina di regia, su quali fossero le responsabilità di ogni singolo dirigente delle forze dell’ordine, sul ruolo della stampa nei giorni precedenti, la storia di quei giorni è una sola: centinaia di migliaia di persone in poco più di 48 ore si scontrarono con il prezzo vero dei propri sogni e delle proprie convinzioni politiche. E ne furono in buona parte spazzati via. Carlo Giuliani pagò più di tutti, con una pallottola in un occhio sparata da un carabiniere e un sacco di infamità sul suo conto dette da bocche troppo larghe. Le immagini del suo corpo violato furono riprese da mille telecamere e immediatamente trasmesse da Indymedia, per raccontare una verità che in quel momento la stampa mainstream aveva solo il coraggio di balbettare.

Un breve passo indietro, perché è facile dire Indymedia, ma sono passati due decenni e le cose vanno spiegate. Nel 2001 Indymedia è un gigantesco network internazionale di comunicazione indipendente la cui parte più importante è una colonna di notizie totalmente autogestite dagli utenti. Chiunque poteva pubblicare qualsiasi cosa senza nessuna censura, anonimamente e in forma scritta, video o audio. Una libertà infinita e inebriante. Una sorta di gigantesco libero e anarchico social ante litteram che vede nei social attuali una distorsione di quell’idea di libertà di comunicazione non mediata da interesse monetario, commerciale o censorio: dove Indymedia era un luogo in cui ognuno esercitava la libertà di parola assoluta, Facebook è un luogo in cui qualsiasi parola può essere censurata per motivi che nessuno ha il dovere di spiegare visto che è un luogo assolutamente privato e regolato da interessi finanziari.

Lo slogan di Indymedia era «Don’t hate the media, become the media» («Non odiare i media, diventa i media»), e lo siamo diventati, nel bene e nel male. Gli eventi del G8 di Genova e dei mesi precedenti, a partire da Seattle, sono stati forse i più documentati in assoluto da parte di telecamere private, non organizzate e totalmente autogestite. Durante le giornate di Genova sono state girate migliaia di immagini e anche e soprattutto in questo è stata evidente una delle contraddizioni di quel momento: senza le immagini dei videomaker indipendenti, riuniti sotto il network di Indymedia, avremmo tutti potuto vedere molto poco di quanto acceduto a Genova e sicuramente avremmo visto questa storia raccontata solo dai giornalisti embedded al di là delle grate che delimitavano la zona dove si svolgeva il G8. Invece, la storia di Genova l’ha scritta chi c’era attraverso le immagini che improvvisamente esplodevano sui computer e sulle tv di tutto il mondo. Contemporaneamente però, queste immagini erano anche il pane di cui la procura genovese si è nutrita per costruire una teoria (diventata poi verità processuale) secondo la quale le azioni e le reazioni dei manifestanti erano inscrivibili all’interno del reato, allora praticamente sconosciuto, e ora invece fin troppo noto, di devastazione e saccheggio. Dagli 8 ai 15 anni di galera. Abbiamo amaramente imparato che il numero terribile qui non è 15. È 8. Perché se ti processano per devastazione e saccheggio forse 15 anni non te li danno, ma 8 di sicuro sì, perché meno di 8 nemmeno il giudice più clemente può deliberarli senza un’assoluzione.

Torniamo a Genova, nei giorni caldissimi di fine luglio 2001.

L’urto del massacro poliziesco è devastante. Nei giorni immediatamente successivi al G8 il movimento non regge la pressione e non trova una voce sola e una sola verità che possano tenerlo unito; si sgretola in una pletora di opinioni, accuse, marce indietro, giustificazioni e infamie che lo rendono fragile e incoerente. La discussione, invece che incentrarsi su come difendere tutti coloro che nei mesi successivi si sarebbero trovati sotto inchiesta, si incastra sulla dicotomia violenza/non violenza, perdendo lucidità ed efficacia a ogni frase.

Intanto, la procura lavora velocemente: la possibilità di un processo rapido e simbolico è un’opportunità succulenta e una delle operazioni più brillanti è il sequestro, all’interno del centro sociale TPO a Bologna, di un nutrito tesoro di video di Indymedia, inediti e soprattutto incriminanti.

Si struttura il processo ai 25 manifestanti e il Genoa Legal Forum, cioè il gruppo di avvocati attivisti che tenevano le fila della difesa del movimento durante e dopo il G8, si trova davanti a un problema davvero importante: affrontare una mole di lavoro documentale enorme nel breve tempo concesso. Così, in quegli uffici di via San Luca 15, quello che poi diventerà SupportoLegale è entrato nel 2004 come costola di Indymedia proprio per rispondere alla richiesta di aiuto della segreteria legale.

La prima grande difficoltà fu mettere a confronto i tempi dilatati del consenso e i metodi assembleari di Indymedia da un lato, e la necessità di essere una macchina efficace e veloce dall’altro per rispondere a ogni colpo della procura. Il progetto, inizialmente ampio e fluido, si asciuga; dopo un’assemblea difficile e lunghissima si separa da Indymedia e individua i propri obiettivi e i propri metodi. Il gruppo che già da mesi lavorava a regime serrato sulla trascrizione di decine di faldoni, sull’analisi di migliaia di ore di video, sull’ascolto di centinaia di file audio, si solidifica e si struttura per non fermarsi più: nasce SupportoLegale.

La condanna di un gruppo di attivisti che lavora sui processi è evidentemente quella di arrivare quando i giochi sono fatti, quando l’unica via percorribile è confrontarsi con una struttura come il tribunale che per molti di noi nemmeno dovrebbe esistere, giocare un gioco che hanno inventato altri con una mano di carte spesso perdente in partenza. Ci vogliono nervi saldi per continuare a lavorare sapendo che il massimo della vittoria che puoi ottenere è uno sconto di pena, ma il lavoro che SupportoLegale ha fatto fuori e dentro le aule di tribunale in realtà ha percorso due binari paralleli: certamente in primis la difesa degli imputati, ma anche, altrettanto fondamentale, il tentativo di scrivere una storia che non si riducesse alla verità processuale.

La storia di Genova 2001 non è mai stata raccontata dai processi, e il nostro sforzo in tutti questi anni è stato quello di raccontare ciò che accadeva dentro le aule dei tribunali e darne un’interpretazione lucida, cercando di far conoscere una versione dei fatti di Genova il più possibile vicina a quello che avevamo visto e vissuto e che era realmente accaduta: una storia collettiva che fosse patrimonio per tutti e che permettesse anche a chi non c’era di avere un quadro chiaro, documentato e coerente di quelle giornate.

SupportoLegale si è sempre sottratto alla pietosa discussione violenza/non violenza. Sicuramente nessuno di noi può pensare che una vetrina infranta o una macchina bruciata possano valere anni di galera o la vita di una persona. Nessun oggetto può valere questo. Ma come detto, noi, come collettivo, arriviamo dopo: non proponiamo azioni, raccogliamo i cocci. Riguardo alle diverse provenienze, alle diverse azioni, alle diverse situazioni in cui erano rimasti coinvolti gli imputati del processo ai 25 la nostra posizione è sempre stata una e una sola: noi difendiamo tutti. Senza voler azzerare le differenze tra le varie anime di quello che era il movimento no global, SupportoLegale ha comunque scelto di difendere chiunque si fosse trovato schiacciato nel meccanismo giudiziario. Di più. Nell’assenza di un collettivo degli imputati e spesso degli imputati stessi, nella progressiva sparizione di un movimento che anno dopo anno si faceva sempre più flebile, il nostro sforzo è stato dedicato a fare in modo che anche i collegi difensivi seguissero questa linea.

Avremmo voluto che anche il movimento italiano facesse lo stesso, per molti motivi: avrebbe reso più facile il nostro lavoro, avrebbe costruito un muro di solidarietà a difesa degli imputati che invece sono stati lasciati completamente da soli prima e dopo la condanna (salvo gli ambiti locali di ognuno di loro), avrebbe aperto una discussione sulle pratiche non appiattita sulla dicotomia violenza/non violenza, avrebbe favorito una riflessione necessaria sul ruolo, le pratiche, la mentalità delle forze dell’ordine che invece non c’è stata (solo la vicenda Cucchi sembra aver aperto qualche spiraglio e fatto sorgere qualche ragionevole dubbio) e, chissà, forse avrebbe evitato l’implosione del movimento più iconografico e potente degli ultimi decenni.

Sono stati molti i momenti in cui abbiamo pensato che era giunto per SupportoLegale il momento di chiudere i battenti, ma la verità è che non ci siamo mai riusciti. Alla fine dei processi, poi alla sentenza, infine due anni fa. Dopo la fine del nostro lavoro processuale abbiamo capito che non avremmo potuto non sobbarcarci anche il resto, ovvero il sostegno di chi era finito in carcere con pesantissime condanne e a volte davvero pochi mezzi per rendere sopportabile la vita carceraria. Quando le condanne sono andate finalmente ad esaurirsi per la maggior parte dei condannati abbiamo nuovamente pensato che era giunto il momento di salutarci e che farlo prima del ventennale ci avrebbe preservato da un momento storico in cui nuovamente su Genova sarebbero venute a galla migliaia di parole inutili e ipocrite.

Ma alla fine c’era un pezzo di storia che ancora non avevamo raccontato ed era la nostra. Una storia che narra non solo la ristretta cerchia degli attivisti di SupportoLegale, ma anche il raggio più allargato di tutti coloro che in questi anni hanno seguito i processi, i pezzi di storia, di verità che sono scaturiti dal nostro lavoro, le centinaia di serate di aggiornamento sulle vicende processuali, le condanne, gli anni in carcere delle persone.

La storia che vogliamo raccontare è la NOSTRA storia, quella per cui sono nati i due slogan cui siamo più affezionati: «la memoria è un ingranaggio collettivo» e «in ogni caso nessun rimorso».

Al primo è dedicata la riedizione del fumetto uscito nel 2006 e che è stato parte delle tantissime iniziative che SupportoLegale ha intrapreso per raccogliere fondi per sostenere i processi. L’edizione curata da Coconino sarà anche questa volta in Creative Commons e vedrà la partecipazione di Gipi, Alessio Spataro, Claudio Calia, Giuseppe Palumbo, Ratigher, Maicol & Mirco e tanti altri. Con l’aggiornamento di SupportoLegale sullo stato dell’arte dei processi genovesi, un’introduzione di Erri de Luca e una storia inedita di Zerocalcare. SupportoLegale ha inoltre collaborato alla stesura del numero 54 di Zapruder, in uscita a marzo, dedicato a Genova, dove sarà possibile leggere anche gli scritti di alcuni dei manifestanti imputati.

Al secondo slogan è in qualche modo invece dedicato il documentario che SupportoLegale sta girando per raccontare la storia politica e umana di questo piccolo e testardo collettivo che per combinazione proprio nei primi mesi del 2021, a vent’anni esatti dal G8 di Genova, vede smantellare la vecchia sede della segreteria legale e insieme nascere l’archivio che accoglierà tutti i materiali su cui SupportoLegale (insieme alla segreteria legale e agli avvocati del GLF) ha lavorato in questi anni. Ancora una volta un progetto ambizioso, ma mai quanto costruire la difesa di 25 persone accusate di un reato senza senso, cercare di comprendere l’esatta dinamica dell’omicidio di Carlo Giuliani, seguire la débâcle della residua dignità delle forze dell’ordine italiane nei processi per le violenze alla Diaz e a Bolzaneto. Se siamo arrivati fin qui è perché non eravamo da soli, perché negli anni abbiamo sentito la vicinanza e la forza di moltissime persone.

Vent’anni fa ognuno di noi ha preso quello che aveva vissuto a Genova e ha deciso di reagire. Reazione è indubbiamente il termine che maggiormente ci rappresenta: non abbiamo resistito, abbiamo deciso prima autonomamente e poi collettivamente di reagire e abbiamo potuto farlo perché tanti lo hanno fatto con noi. Per noi e per loro, ancora una volta diciamo la nostra (https://www.supportolegale.org/2021/rapsodia-di-una-rivolta-19-anni-di-supportolegale-1/).

di Supporto Legale per volerelaluna

 

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