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I predoni della sanità e il collo di bottiglia del libero mercato

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Da Nord a Sud emergono scandali nella gestione dell’emergenza Covid che coinvolgono imprenditori e politici.

Mentre i medici e gli infermieri rischiavano la vita in prima linea, mentre ognuno sacrificava qualcosa per evitare che la pandemia si trasformasse in una strage ancora maggiore, alcuni imprenditori pensavano a come poter trarre ulteriore profitto dalla crisi.

E’ notizia di oggi, ad esempio, che a Saronno nel pieno della crisi, un imprenditore e una dirigente sanitaria si sarebbero organizzati per rivendere ad altre strutture, a prezzo maggiorato, le forniture di materiale per affrontare l’emergenza acquistate a nome dell’ospedale.

Ma è in Piemonte che per il momento iniziano a contarsi diverse inchieste su appalti, subappalti e manovre varie. Nei giorni scorsi infatti è stata portata alla luce una rete di tangenti e favori intorno alle forniture di camici e infusori chemioterapici in diverse Asl piemontesi. Diciannove sono le persone indagate e quattro le Asl coinvolte (quella della Città di Torino, la To4, quella di Novara e quella di Alessandria). Secondo le ipotesi dell’inchiesta cinque aziende, tra cui la Hartmann, multinazionale veneta leader nel settore della fornitura di prodotti ed apparecchiature mediche, avrebbero corrotto con gioielli, denaro e oggetti preziosi dipendenti delle aziende sanitarie locali al fine di pilotare le gare d’appalto di camici e divise. L’azienda “Paul Hartmann” con sede a Verona ha realizzato il 12% delle vendite in più nel primo trimestre del 2020.

Oggi invece ad essere messa sotto la lente d’ingrandimento è la gestione delle forniture da parte dell’Unità di crisi della Regione Piemonte. Si parla di prezzi alterati, maggiorati, modificati in corso d’opera, forniture mai consegnate, materiale “non conforme”. Mascherine e camici monouso scadenti, pagati salatamente e aziende che in piena emergenza hanno gonfiato i prezzi del materiale. E meno male che il responsabile dell’ufficio di coordinamento legale dell’area giuridica è il famigerato ex PM anti No Tav Antonio Rinaudo, ligio al dovere quando si trattava di perseguire gli attivisti e le attiviste delle lotte sociali, ma probabilmente un po’ distratto quando si tratta di appalti e imprese.

Anche in Sicilia il Coronavirus è diventato un buon affare per politici, amministratori e imprese. Antonio Candela, coordinatore per l’emergenza Coronavirus in Sicilia, insieme ad altre 12 persone ha ricevuto delle misure cautelari per un giro di mazzette. Un giro di appalti di 600 milioni di euro in cui erano coinvolti manager regionali, faccendieri ed imprenditori. Candela, ex presunto “paladino della legalità” avrebbe applicato un tariffario a proprio beneficio pari al 5% della commessa aggiudicata per orientare le gare di appalto.

Queste vicende probabilmente sono solo la punta dell’iceberg di quanto è successo in questi mesi nel campo degli appalti e sono uno dei motivi per cui alcuni amministratori hanno chiesto a gran voce scudi penali per evitare che emergessero queste condotte di fronte all’opinione pubblica. Mentre nelle RSA e negli ospedali si moriva e veniva combattuta una battaglia in prima linea, i fondi destinati a questa battaglia diventavano fonte di profitto per i predoni della sanità. Il collo di bottiglia del mercato attraverso cui passano forniture mediche e medicinali è stato una enorme dimostrazione dell’inefficienza del capitalismo nel gestire crisi di questo genere e nell’allocare le risorse in modo razionale. E’ necessario aprire una battaglia su questo tema per fare in modo che beni di questo tipo siano gestiti secondo la logica della salute collettiva della società e non secondo quella del profitto privato.

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