Il “gazebo no vax” e la gestione della pandemia
Oggi pubblichiamo questo ulteriore contributo, giunto la settimana scorsa, sulla gestione della pandemia e l’applicazione del Green Pass all’interno della rubrica Green Passion. Buona lettura!
Nel dibattito sul green pass assistiamo oggi ad una divisione tra chi è favorevole alle misure messe in atto dal governo e chi invece vi si oppone fermamente. All’interno di questo movimento di opposizione non esiste un’ideologia univoca catalogabile sotto un’unica etichetta, cercare di identificarne una sarebbe eccessivamente semplificante e stravolgerebbe quella che è la realtà con le sue molte sfaccettature. Quello che è vero è che al centro c’è il rifiuto dell’imposizione del green pass come strumento discriminatorio nei confronti dei non vaccinati, ma come spesso accade più importante del risultato è il processo messo in atto per arrivarci. Infatti, le riflessioni che generano il rifiuto di questa misura si differenziano tra di loro proprio perché rispecchiano le differenti concezioni di società e le diverse visioni politiche di chi le affronta. Risulta perciò più utile analizzare ciò che sta alla base di questa presa di posizione che non la presa di posizione stessa.
In queste settimane ho letto molti articoli interessanti che proponevano letture della situazione da punti di vista originali. Sono stato molto felice di leggere articoli scritti da persone che non si sono piegate per paura di cadere sotto l’etichetta semplificante e delegittimante che i media mainstream sono ormai soliti appioppare a qualsiasi posizione contro il pass, ma hanno invece dato una loro visione indipendente e in qualche modo audace della questione. Vorrei dare un contributo condividendo una mia interpretazione politico-sociologica su ciò che l’imposizione del green pass (specialmente per avere accesso alla retribuzione) ha prodotto nelle nostre coscienze nella speranza di fornire un ulteriore punto di vista, certamente discutibile, ma credo altrettanto condivisibile.
Le proteste di piazza contro il green pass, che pure è un bene che abbiano luogo, si focalizzano maggiormente su due questioni: i rischi del vaccino sulla persona e la violazione dei diritti fondamentali dei cittadini. Tali argomentazioni riflettono una concezione di società che certamente appartiene a molti, ma non a tutti coloro che si oppongono a queste misure. Dal mio punto di vista esse sono comprensibili ma fallaci e non forniscono le motivazioni più rilevanti a sostegno della causa no pass: l’una perché dettata dalla paura e dall’individualismo, l’altra perché non tiene conto del fatto che in uno stato civile diritti e doveri sono profondamente incordati tra loro.
Escluderò da questa analisi gli aspetti scientifici (ai quali comunque dobbiamo sempre rimanere ancorati nelle nostre valutazioni sull’utilizzare o meno il vaccino, pena il rischio di distacco completo dalla realtà) poiché voglio mantenere l’attenzione su altri aspetti legati alla questione.
Lo strumento green pass viene ufficialmente utilizzato dal potere per garantire la sicurezza dei cittadini. Con questo presupposto, attraverso l’utilizzo di modalità comunicative catastrofiche e distorcenti in cui le evidenze scientifiche sono state sistematicamente “sporcate” dalle esigenze politiche ed economiche, si è generata quell’opposizione dicotomica tra i vaccinati che hanno a cuore il bene comune e i non vaccinati egoisti che non sanno guardare oltre il proprio naso. Siamo giunti, insomma, all’imposizione di una morale di stato.
Quest’ultimo ha scaricato sui cittadini la responsabilità del prolungamento della pandemia (se volete che finisca, dovete fare così) e ha generato una forte tensione sociale. Ha subdolamente insinuato nella trama della società un odio profondo: dei vaccinati nei confronti dei “no vax” perché “fanno circolare il virus e prolungano le nostre pene”, dei contrari al vaccino nei confronti dei vaccinati “perché i pecoroni lasciano che i propri diritti vengano calpestati senza opporsi”.
L’utilizzo di questa tattica non è una novità: nel corso della storia la stessa tensione sociale è stata generata dal potere (in genere da stati fortemente autoritari) proprio per perseguire i propri scopi. Funziona bene perché sgrava l’apparato istituzionale dall’opera di convincimento forzato e impegna in questa i cittadini stessi, i quali generano una forte pressione sociale nei confronti dei concittadini che non vogliono piegarsi.
Da operaio di fabbrica ho l’opportunità di vivere uno degli ambienti che più fedelmente rispecchiano le dinamiche della società. Da questo contesto riporto un aneddoto che rende l’idea in modo efficace.
Dal 6 agosto 2021 è stato impedito l’accesso alla mensa aziendale a tutti i dipendenti sprovvisti di green pass.
Per questi ultimi (in maniera esclusiva visto che ne è vietato l’utilizzo ai provvisti di green pass) è stato allestito un gazebo all’aperto attrezzato con tavoli e sedie. Il “gazebo no vax” si è trasformato in un mezzo di identificazione, emarginazione e discriminazione per tutti gli utilizzatori. Per completare il quadro devo dire con gioia che, chi per piacere chi per solidarietà, qualcuno ha trasgredito le direttive aziendali pranzando “promiscuamente” con i “dissidenti” pur essendo vaccinato.
Trasportando questo esempio, sembra che la perversa strategia funzioni anche su larga scala: la quasi totalità di noi si è focalizzata sui “nostri” doveri, sul “nostro” senso civico, sulla “nostra” moralità. In tutto questo abbiamo dimenticato di chiederci in modo critico se tutte queste cose siano davvero nostre nel vero senso della parola. Soprattutto abbiamo smesso di considerare le responsabilità del potere.
Il punto è: come può un potere immorale imporre una morale di stato?
In tempo di pandemia abbiamo sempre parlato di covid come fosse un nemico invisibile calato dall’alto, arrivato all’improvviso per distruggerci senza che noi, povere vittime indifese, avessimo alcuna responsabilità in merito. Questa potrebbe essere la trama di un romanzo fantascientifico ma purtroppo non corrisponde alla realtà.
Tutto ciò che avviene in questo mondo segue un principio di causalità e, specialmente nell’ ultimo secolo, l’umanità (se vogliamo essere più precisi potremmo dire la parte occidentale di essa) rappresenta la principale causa generatrice di effetti nefasti per il pianeta e, di conseguenza, per lo stesso genere umano (questa volta, per essere più precisi, potremmo dire che quelli che subiscono i disagi maggiori sono i non occidentali).
La pandemia non costituisce un’eccezione: essa è il risultato dello sfruttamento smodato delle risorse, è il risultato di un’invasione sistematica dei territori abitati da esseri viventi non umani. È il risultato di un’incorreggibile mentalità antropocentrica. È il risultato dell’individualismo e della progressiva eliminazione di tutto ciò che è collettivo. È il risultato di una società che mette al centro il profitto.
In ultima istanza è il risultato di un sistema liberista e capitalista che ha fallito ma non vuole morire. Si oppone alla sovversione dello stato attuale delle cose perché non vuole rinunciare ai suoi privilegi e alla sua posizione di potere.
Ebbene la nostra classe dirigente, che in quanto tale dovrebbe avere una visione globale e lungimirante nelle sue politiche, ci ha visto corto. Ci ha visto corto o non ha voluto vedere oltre pensando solo a prendere tutto il possibile nell’immediato a discapito delle generazioni future.
Di certo i movimenti che rifiutano questo sistema e denunciano le conseguenze devastanti che provoca non sono recenti. Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario di Genova 2001: cito il G8 perché viene ricordato in maniera indelebile da molti di noi. Proprio in corrispondenza del forum politico ed economico, ebbe luogo un incontro collettivo per la critica dell’oggettificazione della terra in cui associazioni e gruppi si organizzarono e proposero l’adozione di sistemi alternativi denunciando quello esistente. Purtroppo, quel momento viene oggi ricordato soprattutto per le condotte ignobili dei rappresentanti dello stato, meno per i messaggi che venivano espressi.
I movimenti non avevano la forza per imporre il cambiamento, però avevano la forza per farsi ascoltare. Sono stati invece oggetto di una repressione senza precedenti.
Oggi, vent’anni dopo, il potere si scontra con le stesse questioni. Oggi più incombenti di ieri.
Si potrebbero pubblicare interi volumi sulle politiche che non sono state attuate in questi decenni ma non è questo il mio scopo e nemmeno sono fornito delle competenze per farlo. Ciò che invece vorrei trasmettere è il sentimento che porta ad un rifiuto così radicale non solo del green pass come misura isolata, ma di un atteggiamento ipocrita e autoritario di uno stato che oggi vuole imporsi come moralizzante pur continuando a rifiutarsi di rinunciare ai propri interessi a favore di un cambiamento reale. In queste circostanze non accettiamo una morale imposta.
Queste emozioni affondano le proprie radici nella percezione di una classe dirigente che negli scorsi decenni ha messo in atto una mercificazione della salute pubblica a vantaggio del capitale e a discapito soprattutto delle fasce medio basse della popolazione.
Inoltre, ricordiamo tutti i processi mediatici ai runners e ai furbetti della passeggiata col cane mentre i pendolari viaggiavano regolarmente stipati nei vagoni dei treni affollati e mentre le aziende continuavano a produrre. I contagi aumentavano notevolmente proprio nelle zone a ridosso dei siti di produzione.
Ma veniamo a questioni più contemporanee: i brevetti e l’operazione Covax.
Ormai ce lo sentiamo ripetere tutti i giorni. Siamo in una situazione emergenziale e certe misure che normalmente non lo sarebbero, oggi diventano lecite. Siamo in emergenza. Eppure, queste misure straordinarie non vengono prese nei confronti delle multinazionali produttrici dei vaccini. Se i brevetti sui vaccini decadessero, una produzione più rapida e in maggiore quantità sarebbe possibile e di conseguenza anche un accesso paritario ai vaccini da parte delle popolazioni che in questa lotta di classe, oggi, soccombono. E questo sarebbe certamente per il bene comune. Ma in questo caso, nonostante l’emergenza in corso, le colonne portanti del liberismo non possono essere abbattute. Sarebbe un precedente troppo grave.
Covax: programma internazionale in cui i paesi ricchi promettono cooperazione per garantire l’accesso ai vaccini da parte dei paesi che non possono permetterseli. Questo programma di grande solidarietà nelle intenzioni, nei fatti non sta funzionando. Purtroppo, gli stati occidentali, Italia compresa, mentre sono occupati ad impartire la propria morale di stato all’interno delle mura domestiche, si dimenticano che in strada ci sono tutti quelli che, pur avendo necessità o volontà di proteggersi da questo virus, non lo possono fare. Nel frattempo, è il via alle terze e quarte dosi, pur contro le indicazioni dell’OMS.
Il potere che vuole ergersi a difensore morale della salute pubblica si rivela per quello che è: pavido e classista difensore degli interessi del capitale.
Ora, lo stato è quell’istituzione che detiene sì il monopolio della forza, ma lo detiene perché i cittadini glielo affidano (e qui mi rifaccio al concetto di contratto sociale che dovrebbe essere la base dei cosiddetti stati liberali). I cittadini glielo affidano perché vogliono garanzie di giustizia e di protezione. Vogliono uno stato che prenda decisioni mettendo al centro i loro interessi e che non sacrifichi la purezza della giustizia. Che quest’ultima non sia frutto di una trattativa in cui le norme vengono applicate alla lettera solo con chi ha poca leva contrattuale, mentre con chi ne ha molta si scende a compromessi.
Sembra evidente che lo stato stia utilizzando il proprio potere nei confronti dei cittadini perché può farlo: essi sono ricattabili avendo bisogno di accedere a una retribuzione per la sopravvivenza, ma che non stia facendo lo stesso nei confronti di grandi entità come le big pharma proprio perché non può. Al centro rimane una questione di possibilità, non di giustizia. Questo atteggiamento incoerente genera un senso di prevaricazione e lo stato perde ogni legittimità agli occhi dei suoi cittadini che non si sentono né protetti né partecipi, ma si rendono conto di essere esclusivamente dei mezzi atti alla protezione dei privilegi di chi, in questo mondo, comanda e detiene il potere.
In questo contesto, vista l’assenza di una condotta esemplare e coerente da parte delle istituzioni, ritengo che ognuno debba essere padrone nell’esercitare la propria morale in maniera libera e discrezionale, esattamente come fanno i nostri governanti. L’unico modo per pretendere di esercitare questo diritto diventa quello di rifiutarsi di utilizzare il green pass.
Concludo semplicemente con un appello a tutti e tutte: cerchiamo di essere critici. Chiediamoci perché certe misure vengono prese e altre no. Chiediamoci chi realmente deve essere messo al sicuro da queste misure. Informiamoci in modo libero e indipendente. Sono certo che nessuno possiede la verità, ma tutti abbiamo la possibilità di cercare la nostra senza che essa ci venga imposta da qualcun altro.
Per inviarci eventuali contributi scriveteci alla pagina facebook di Infoaut o ad infoaut@gmail.com. Vi invitiamo a proporci riflessioni ragionate ed articolate al fine di evitare di riprodurre la tribuna da social network che, ci pare, non sia molto fruttuosa in termini di possibilità di avanzamento collettivo.
Qui i primi contributi pubblicati.
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