Il lavoratore Coop e la storia di Alfredo il partigiano
Io, mia sorella e i miei due cugini abbiamo una casa in campagna tra i boschi di Lari e Crespina ereditata da mio nonno. È molto isolata su una collina da cui si vede sia Crespina che Lari. I racconti dei nostri confinanti (prima dell’acquisto di mio nonno nel 1976) riguardo alla storia di questa casa sono sempre stati confusi perché i vecchi proprietari sono morti e gli eredi ricordano soltanto qualche racconto dei loro padri o nonni, ma noi non siamo mai riusciti a capire bene la storia di questa vecchia casa colonica. Di certo non c’era nulla ma i racconti parlavano di due uomini uccisi nel giardino della casa sul lato che guarda Crespina.
Qualche anno fa (precisamente nel 2010) per la festa della Liberazione, mentre eravamo a farci la classica braciata a Malvento (così si chiama la località dov’è la casa) tra amici e parenti, vedemmo salire un’auto lungo lo sterrato e fermarsi davanti al cancello di casa. Nella macchina c’erano due uomini, uno sulla sessantina, l’altro molto più vecchio. Scese il più giovane e ci disse che nella sua macchina c’era un vecchio partigiano che nel giorno della Liberazione avrebbe voluto rivedere la casa dove molti anni prima aveva combattuto contro fascisti e nazisti. Non dimenticherò mai i minuti che seguirono. Alfredo (così si chiama) scese dall’auto e dopo pochi metri dentro il giardino si fermò, chiese una sedia, si sedette e cominciò a piangere. A piangere davanti a trenta sconosciuti ripetendo a voce bassa e indicando il giardino: “erano lì, sono morti lì, uno è morto sul colpo, l’altro aveva l’arteria della gamba tagliata e piangeva come un bimbo, è stato un colpo di mortaio dei tedeschi”. Il tutto in un silenzio irreale, prima che i miei figli e gli altri bambini presenti rompessero il silenzio andandogli vicini cantando “Bella Ciao”.
Alfredo quel 25 Aprile rimase con noi tutto il giorno e ci raccontò di lui giovane partigiano, della nostra casa che veniva usata dagli americani come punto di coordinamento con i partigiani della zona, dei tedeschi che sparavano dalla collina di fronte e dei tanti amici e parenti morti da partigiani. Solo verso la fine della giornata Alfredo ci disse che i due giovani morti nel nostro giardino erano due americani, ma si capiva benissimo che a lui di dove fossero non importava nulla, per lui erano due ventenni morti per un colpo di mortaio dei tedeschi. Credetemi se vi dico che quando ripenso a quel 25 Aprile mi vengono ancora i brividi. Mi piacerebbe che qualche nostro dirigente della Coop oggi andasse a casa di Alfredo a spiegargli le “giuste ragioni” per cui i nostri negozi (aperti già quasi tutti i giorni dell’anno domeniche comprese) non possono rinunciare ad un giorno di apertura per il 25 Aprile, festa della Liberazione.
Vi allego la foto di quel giorno dei bimbi di casa con Alfredo il partigiano.
Inviata a Senza Soste da un lavoratore Coop di Livorno
da Senza Soste
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