Il Pd volta pagina. Una volta per tutte
A questo giro però qualcosa non è andato come storia avrebbe voluto: il tassello della manovra economica lacrime e sangue della destra c’è, quello dello sciopero generale Cgil pure (questa volta rafforzato anche da quello del sindacalismo di base che ha intelligentemente scelto la stessa data), ma all’appello è mancata la chiusura del cerchio, ossia la benedizione del Partito Democratico. Una discontinuità di portata epocale, il cui significato pesa come un macigno nel panorama politico italiano.
Andiamo a leggere le dichiarazioni dei gerarchi del Pd.
Fioroni (braccio destro di Veltroni): “Ritengo che ogni sindacato possa autonomamente e come meglio vuole dare il proprio contributo per salvare l’Italia e dare sicurezza agli italiani. Ma penso che nel Partito Democratico non debba riaprirsi la sarabanda o la giostra del ‘io vado, io sostengo, io faccio e io dico’, perché credo che al Pd sia chiesto il coraggio della responsabilità di dover contribuire a trovare una profonda condivisione in Parlamento per dare le risposte giuste al Paese. E non credo che uno sciopero generale sia il modo di aiutare a far crescere un paese che non cresce. Un sindacato è legittimo che faccia ciò che voglia, ma il Partito Democratico deve avere il coraggio della responsabilità e non ritengo che sia responsabile oggi aiutare ad uscire dalla crisi con gli scioperi”.
Bersani (segretario Pd): “Noi siamo un partito che come mille altre volte è presente dove sono le forze sociali e civili ma oggi abbiamo chiarito la nostra preoccupazione principale, cioè che non si disperda la convergenza raggiunta tra le forze sociali con l’accordo del 28 giugno.”
Per la cronaca l’accordo del 28 giugno è quello con cui la Cgil era tornata ad allinearsi con le conniventi Cisl e Uil sottoscrivendo un’intesa spazzatura con Confindustria. Solo che da quella data è successo che dall’interno della Cgil (con la Fiom in particolare) si sono levate voci di forte dissenso contro quella scelta della Camusso, e che dal basso dei luoghi di lavoro si è mossa una rabbia spontanea che ha in pratica costretto il vertice Cgil ad indire lo sciopero generale per il 6 settembre. Per la disperazione di Bersani, il quale sperava di non doversi più trovare sotto il fuoco dell’ala destra del suo partito (Veltroni in primis) che non vede l’ora di fargli la festa impallinandolo per ogni sua sortita che non mantiene il giusto equilibrio del partito di opposizione “responsabile”.
E così il Pd ha gettato la sua ultima maschera, quella che grazie all’amicizia storica con la Cgil poteva far credere a qualche distratto che una parvenza di sinistra ci potesse ancora essere. Non è più così, per chi non l’aveva capito finora: il Pd è un nemico conclamato dei lavoratori e dei ceti più bassi, e lo dichiara senza pudore.
Se neanche dopo una manovra come questa (che, lo ricordiamo, oltre alla pesantissima parte economica porta un attacco tremendo ai diritti dei lavoratori, allo Statuto e all’articolo 18) è giusto indire uno sciopero generale, quando dovrebbero protestare i lavoratori secondo il Pd? Possibile che non si rendano conto che il loro vocabolario è tremendamente anacronistico? Possibile che non si vergognino neanche un po’ a dire che “dobbiamo uscire dalla crisi solo con una condivisione in Parlamento”? E il mondo reale? E la popolazione che loro dovrebbero rappresentare e dalla cui voglia di mobilitazione dovrebbero prendere linfa e forza anziché contestarla? E la sinistra come parte politica che rappresenta e tutela i lavoratori?
Ci immaginiamo una sublime scena a coronamento di questa svolta: i cortei dello sciopero del 6 settembre che in tutte le piazza italiane oltre che contro le sedi dei partiti di governo marcino compatti anche contro quelle del Pd. A suon di lanci di coriandoli magari, che sennò con le uova poi parlano di terrorismo….
Per Senza Soste, Franco Lucenti
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