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La piazza triestina contro il pass verde nei luoghi di lavoro

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In vista dell’introduzione del green pass obbligatorio anche sui luoghi di lavoro, il clima è di tensione crescente.

Come noto dal 15 ottobre tutti i lavoratori e le lavoratrici dovranno essere in possesso del green pass, la certificazione che attesta l’avvenuta vaccinazione, la guarigione o la negatività a un tampone per Covid-19. Tuttavia, circa 2,6 lavoratori del privato e almeno altri 250mila del pubblico non hanno ricevuto nemmeno una dose di vaccino né risultano guariti dal coronavirus. Molti di questi sono concentrati in alcuni settori fondamentali, come quello agricolo, portuale e dei trasporti, le cui associazioni di categoria hanno già lanciato allarmi per la possibile carenza di personale e annunciando scioperi se lo stato e le imprese non garantiranno tamponi gratuiti per dare a tutti la possibilità di lavorare, compreso chi ha rifiutato la vaccinazione.

Non esistono stime esatte rispetto a quanti autisti di veicoli industriali siano sprovvisti di green pass, ma secondo gli operatori del settore è possibile che una buona parte di questi, in particolare tra coloro che provengono dall’Est Europa ma sono impiegati in imprese italiane, non sia vaccinata o abbia ricevuto dosi di Sputnik o Sinovac, vaccini non approvati dall’Agenzia del farmaco europea (Ema). Dunque per questi lavoratori sarà necessario, in mancanza di una deroga all’obbligo di green pass, assicurare punti per effettuare i tamponi lungo le autostrade, nei terminal, nei porti o nei distretti logistici.

Il settore agricolo pare essere più a rischio, in particolare per la presenza di un 60% di lavoratori e lavoratrici extra-Ue. Molti di loro infatti non hanno ricevuto i vaccini autorizzati dall’Ema, oppure non possono ricevere il green pass a causa della mancata regolarizzazione dei lavoratori del settore agricolo, quindi dell’assenza di contratti regolari che consentano loro di rifare i permessi di soggiorno scaduti. La stima è fra il 25-30%

A Trieste, il Coordinamento lavori portuali ha affermato che almeno il 40% dei 950 lavoratori e lavoratrici portuali non è in possesso della certificazione e ha annunciato uno sciopero con blocco del porto proprio per il 15 ottobre se l’obbligo del certificato resterà in vigore. Al porto di Genova invece, la percentuale dei lavoratori senza green pass è del 20%, ma mentre a Trieste i portuali (fra i quali pare esserci una percentuale molto più alta del 20% di non vaccinati) hanno chiamato uno sciopero per il 15 Ottobre chiedendo la cancellazione del green pass su lavoro per tutto il territorio nazionale, lunedì a Genova i camalli del Calp e le reti antifasciste hanno deciso di non condividere la piazza con le frange contrarie al certificato verde guidate da Italexit di Paragone. Nelle piazze osserviamo sempre più spesso al contrapporsi fra la ‘Libertà’ scandita nelle piazze, individualista e proprietaria, e la responsabilità collettiva, che riguarda più il concetto di cura.

Sta di fatto che mentre l’attenzione è concentrata sul certificato verde, l’esecutivo di Draghi si prepara a gestire la pioggia di miliardi del PNRR in assenza di qualsiasi dibattito pubblico o politico, senza che alcuna forza antagonista provi almeno a contendersi la torta. La cosiddetta ‘Pax draghiana’ resta oggi il nemico più pericoloso. Soltanto il conflitto può riaprire i giochi. La domanda più urgente è allora capire quali possano essere gli spazi entro cui creare una nuova politicizzazione ampia e non regressiva, che sappia articolare le istanze delle diverse soggettività in lotta con la richiesta di un contrasto alla pandemia che sia equo a livello globale. I punti di un agenda a venire restano le Lotte ambientali, le battaglie femministe, le vertenze contro le delocalizzazioni e i licenziamenti, la richiesta del salario minimo e l’introduzione del reddito universale di base, mobilitazioni interne alle logistica, riforma fiscale e del catasto. Il governo più liberista e servo della storia recente, il peggiore possibile quanto a provvedimenti economici e “riforme chieste dall’Europa”, si è incartato sul green pass. Ossia sull’”arma di distrazione di massa” che si era inventato perché non si parlasse troppo, soprattutto nei dettagli, di quel che ha fatto e va facendo su terreni ben più decisivi per la vita di tutti noi. L’incaglio non è avvenuto per il “sabato fascista” subappaltato a Castellino, Fiore, Aronica e un altro po’ di fascisti scortati fin sotto la Cgil. La gestione di quella giornata è stata talmente demenziale – e inattendibile, per chi frequenta le piazze da una vita – che persino Giorgia Meloni, temendo di pagare un prezzo troppo alto in termini di consensi (lei quei fascisti lì li conosce bene, venendo dalla stessa fucina missina), si è ricordata della “strategia della tensione”. Quella in cui i suoi camerati facevano (e fanno) da manovalanza per il potere. Si parla tanto di squadrismo e di fascismo; le istituzioni si riempiono la bocca di parole vuote ed ipocrite, mentre gli operai che denunciano lo sfruttamento e turni di lavoro massacranti da 12 ore al giorno vengono caricati di botte da squadracce vere e proprie, col silenzio-assenso di quelle forze di governo che in queste ore agitano strumentalmente lo spettro del neofascismo e dei fatti di Roma per imporre una nuova stretta sugli scioperi e sulle lotte sociali. E’ quasi assurdo che il governo più antioperaio e antipopolare della storia recente vada in difficoltà sul “diversivo” la lui stesso inventato per nascondere ben più corposi decreti in materia di privatizzazioni, spesa pubblica, investimenti, mercato del lavoro, “riforme” (dalla giustizia, privatizzata anch’essa, al catasto, dalle pensioni all’esercito). Se è vero che l’opposizione al green pass ha avuto un punto di risalita quando è stato introdotto obbligatoriamente anche per l’accesso al lavoro, non solo per altre attività socio-ludiche, è altrettanto assurdo che una lotta operaia avvenga prioritariamente su questo terreno “innaturale”, dove – a parte la difesa della parte di lavoratori affascinati o impauriti dalla “libera scelta sui vaccini” – di fatto non c’è molto da guadagnare.

In questo senso la piazza triestina rappresenta una novità rispetto a composizione e prospettive. Non si può dire altrettanto dei temi, che restano complessi e scivolosi, difficili da metabolizzare e su cui la Destra ha sicuramente più presa dove sfociano nell’irrazionale o nella propaganda facile.. ma tant’è, a Trieste è ancora tutto in ballo. ne parliamo con Davide direttamente dal varco 4 del molo 7, dove oggi fra portuali e una massiccia componente popolare si sono radunati a migliaia.

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Riportiamo il testo pubblicato ieri dai compagni di Trieste, che attraversando le diverse fasi di piazza e assemblee ci aiuta a capire come si sia arrivati ad oggi e ci dà alcuni spunti per una lotta ancora da impostare e sulla quale pendono ancora grandi interrogativi all’interno dei movimenti.

https://www.infoaut.org/precariato-sociale/una-prospettiva-sulle-mobilitazioni-contro-il-green-pass-a-trieste

 

da radioblackout.org

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