“L’importanza di essere Orlando”…sulle amministrative di Palermo
Scriviamo queste note in anticipo rispetto al risultato definitivo che verrà fuori dal ballottaggio del prossimo week-end convinti che già il primo turno abbia fornito sufficienti elementi di valutazione e ragionamento e che sia altamente improbabile assistere ad un ribaltamento dei risultati della scorsa settimana.
Se anche questa volta fosse vero che la Sicilia rappresenta un “laboratorio” della politica italiana, come, d’altronde, si è dimostrata in passato, allora politici e politicanti dello stivale dovranno prepararsi a grandi stravolgimenti. Le elezioni amministrative di Palermo rappresentano una buona, seppur particolare, chiave di lettura, non solo della politica propriamente detta, ma anche degli “umori” di un largo strato di elettori (e ovviamente di astenuti) di questo paese. Eppure, analizzando il voto della tornata delle amministrative per il capoluogo siciliano, saltano subito agli occhi quelli che sono gli elementi di contro-tendenza rispetto ai fenomeni che stanno caratterizzando l’Italia e l’Europa.
La scelta di un usato sicuro, primo tra tutti, stride e non poco con i risultati più o meno di rottura che sono usciti dalle urne di Grecia, Francia e gran parte dei comuni italiani. Questo risultato in realtà è meno sorprendente di quanto possa apparire e presenta delle grosse linee di continuità con quanto accade nel resto del continente. Orlando infatti non rappresenta soltanto la figura che si è presentata più di tutte in antitesi ai governi regionale e nazionale e alle loro politiche di austerity (e in questo senso è in linea con le rotture che si dicevano sopra), ma incarna anche quel sentimento populista che dall’Alba Dorada greca al Grillo di casa nostra sta avendo sfogo in organizzazioni che spaziano dal neonazismo duro e puro all’ambiguità estrema in cui storicamente sguazzano le forze reazionarie. Questo a Palermo è stato sì assorbito dal grillino Nuti, un perfetto sconosciuto che ha ammesso di aver goduto essenzialmente di un voto di opinione tutto figlio dell’exploit mediatico di Grillo e della sua chiusura di campagna elettorale in piazza Croci a Palermo, ma soprattutto dal volto noto di papà Orlando.
Un papà capace di risvegliare nei palermitani i pensieri felici fatti dagli appalti e dalle assunzioni che hanno regnato per anni sotto le sue due amministrazioni terminate ormai più di un decennio fa. Un papà capace di ri-attirare a sé i figliol prodighi che in quei dieci anni gravitavano attorno alla rete trasversale tra partiti di destra e di sinistra: è lampante come lo straordinario 48% da lui ottenuto discenda solo per il 16% dai voti alle liste che lo appoggiano e per il restante 32% dai voti disgiunti espressi da elettori di consiglieri di tutte le liste di centro-destra (da Costa ad Aricò passando per la Caronia). Un papà che se, come sembra scontato, uscirà vincitore dal ballottaggio avrà un consiglio comunale formato per il 60% dai suoi figli prediletti: trenta consiglieri su cinquanta saranno infatti tutti pescati dalla lista IdV epurata dai fedelissimi di Ferrandelli dopo la scissione per il teatrino delle primarie. Un risultato che non è però frutto di un grande risultato di quella lista, ma della debacle di tutte le altre (tutte al di sotto dell’8%).
Ed ecco emergere un’altra grossa linea di continuità con quanto risultante dalle votazioni di tutto il continente: la frantumazione dei grandi partiti che appoggiano le politiche di rigore dettate da banche, finanza e istituzioni che ne salvaguardano gli interessi e la conseguente dispersione del voto tra tanti gruppi e partiti fino ad ora quasi sconosciuti o rimasti a lungo in sordina. Evidente è l’apertura di una crisi del concetto di partito che perde la sua carica di affidabilità e non riesce a elaborare teorie sulle possibilità di uscita dalla crisi economica e politica, ma soprattutto piuttosto che puntare ad innovazioni seguendo il passo dei tempi e delle richieste dell’elettorato, ha provato solo a riciclarsi, palesando anche l’incapacità di leggere il disamore della “cittadinanza” verso questo modo di gestire la res pubblica.
In questo senso va letto il risultato che a grande sorpresa il partito di Grillo è riuscito ad ottenere arrivando quasi al 5% delle preferenze: un risultato che appare straordinario a chi vivendo la città ha facilmente notato quanto la presenza del cinque stelle sia stata pressoché nulla e quanto i grillini a Palermo non siano mai riusciti ad emergere. Un risultato dunque che discende direttamente dall’onda lunga di Grillo a livello nazionale e un voto di opinione verso un modello populisticamente contrario al sistema di partiti, corruzione ed inciuci oltre che alle politiche di rigore di Monti & co. Insomma un voto affiancabile in parte a quello che la maggioranza dei cittadini palermitani ha espresso per Orlando.
La frantumazione dei partiti e la fine del bipolarismo
Sotto gli occhi di tutti è il tracollo del PDL, che ha pagato, in termini di voto, non solo per l’appoggio al governo Monti, ma soprattutto per il fallimento dei dieci anni di amministrazione Cammarata che ha portato Palermo al dissesto finanziario. Un PDL che esce frantumato in una miriade di liste e piccoli gruppi e che non riesce più a costituire dunque quel polo capace di attirare a sé i voti di quei sistemi di potere e di clientela che hanno fatto la sua fortuna. Un centro-destra cittadino che è arrivato a presentare tre candidati sindaco con sei liste di poco al di sopra dello sbarramento e con un voto disgiunto a favore di Orlando con numeri da brivido.
Il PD e SEL seguono a ruota la sorte del Popolo delle Libertà, trainati solo dai voti espressi in favore del candidato Ferrandelli. Due partiti che sono riusciti a perdere in serie le primarie (sempre più una barzelletta politica) e, dopo averne accettato e subito il risultato, le elezioni contro Orlando ed IdV (alleati durante le primarie). Due partiti che escono completamente distrutti in termini di voti conquistati e di luoghi di potere accaparrati.
Di questa disfatta riesce ad approfittare solo in parte Rifondazione Comunista e tutti gli individui autocandidatisi come portavoce di movimento che sono saltati sul cavallo vincente. Nonostante infatti non siano riusciti a collezionare chissà quanti voti, e la lista di FdS e Verdi non sia riuscita a superare lo sbarramento neanche sotto la spinta del fenomeno Orlando, alcuni esponenti di ambiti di movimento si sono piazzati in posti di potere istituzionale – vedi il caso del futuro assessore all’istruzione – saltando immediatamente dal sindacalismo di base alla gestione politica dalle scrivanie di Palazzo delle Aquile.
Migliore, ma non eccezionale, è il risultato dell’IdV: la conquista del 10% e l’affermazione come primo partito a Palermo non possono essere catalogati come una vittoria del partito di Di Pietro (come si potrebbe fare in una valutazione sull’intero territorio dello stivale), ma appaiono invece evidenti come frutto del quasi plebiscito che gli elettori hanno espresso nei confronti del candidato Orlando. Questo specifico caso rappresenta la vera e propria anomalia delle amministrative nel capoluogo siciliano: un candidato a Sindaco che raccoglie quasi il 48% delle preferenze nonostante il suo partito superi di poco il 10%, e questo che, grazie alla debacle di tutti gli altri partiti e all’attuale legge elettorale fatta di sbarramenti e premi di maggioranza, si vedrà consegnare d il 60% dei consiglieri.
Ecco dunque accompagnarsi alla morte del tanto agognato (da chi?) sistema bipolare l’emersione di tutte le storture legislative che hanno cercato di imporre il passaggio a tale sistema. E non basta neanche il pasticcio sull’interpretazione del voto a placare la lingua della Finocchiaro sulla necessità di adottare provvedimenti volti a favorire la governabilità di fronte a questa frammentazione. Questo dovrebbe ormai aver palesato che l’Italia come la Grecia non è governabile, men che meno dal PD e dalla sua visione ancorata a un bipolarismo ormai estinto: se ad esempio si fosse adottato, come a un certo punto del contenzioso sulle percentuali del voto in Sicilia sembrava si dovesse fare, come denominatore per calcolare le percentuali il numero di tutte le schede valide (e non per il sindaco soltanto il numero di quelle con voto espresso per il sindaco, e per le liste quello delle schede con voto espresso per le liste) molte delle liste che ora gravitano tra il 6 e l’8% (cioè tutte quelle sopra lo sbarramento eccetto IdV, PD incluso) si sarebbero ritrovate al di sotto della soglia di sbarramento…a quel punto sì che la città sarebbe stata governabile!
Evidentemente Finocchiaro e PD non si sono ancora resi conto di quanto stia accadendo e credono di poter porre rimedio alla loro disfatta con qualche legge elettorale con sbarramenti e premi di maggioranza sempre più elevati: chissà se poi non gli si ritorceranno contro. A Palermo ci sono andati vicini con gli errori che PD e SEL hanno commesso a ripetizione fino a rasentare il grottesco.
Da aggiungere a questo scenario di frantumazione del sistema partitico e all’affermazione di uno sempre più populistico, anche a Palermo emerge chiaramente il dato dell’astensionismo che sale dal 29% al 37% e supera di quasi quattro volte il primo partito, oltre che nettamente le preferenze espresse per papà Orlando. Se questo dato sia da attribuire ad un rifiuto netto dei candidati alla rappresentanza e del sistema di delega o sia piuttosto una conseguenza indiretta della crisi economica e di quella degli strumenti clientelari non è poi così rilevante, di certo indica una sempre più evidente difficoltà di questa democrazia a rappresentare e governare i cittadini e le loro necessità. Astenuti che rappresentano dunque appieno il forte stato di crisi in cui si trova il sistema delle rappresentanza italiana e sicula (basti pensare alle percentuali di voto nelle carceri praticamente pari allo 0% anche se questo aspetto aprirebbe ad ulteriori ragionamenti) e che segnano il peso di un largo strato di delusi dalla politica che raccoglie non più solo i voti dei disinteressati o degli astenuti per convinzione politica, ma anche quelli di coloro che hanno voluto esprimere un’opinione precisa sul sistema di gestione nel governo della città, in questo caso, e che probabilmente vedremo aumentare ancora nel caso di elezioni politiche.
Le exit-strategy dalla crisi della rappresentanza: dalle larghe intese al populismo post-berlusconiano
C’è una Palermo in frantumi quindi – quella dei partiti e delle liste – e una che si ricompone attorno al nome di Orlando. Un palermitano su due tra quelli che si è recato alle urne ha votato per lui, più di centocinquemila in totale: voto trasversale che mette insieme geografie e storie cittadine molto diverse e che lascia aperti interrogativi cui forse soltanto le regionali autunnali potranno rispondere.
Orlando ha vinto la sua sfida attraverso un classico approccio populista: ha sfruttato il momento di evanescenza di tutti i livelli della rappresentanza politica; ha approfittato della posizione di debolezza da cui partivano i partiti che sul nazionale appoggiano il governo d’austerity di Monti; ha cavalcato la crisi di municipalizzate e partecipate del Comune di Palermo per riprendersi gli strati popolari. Non ha avuto bisogno di parlare di programmi ma solo di dare rassicurazioni.
Il voto su Orlando è quindi un potente mix tra voto proletario enorme nelle quantità e un voto di protesta anti-PD (o anti-inciuci) di una certa borghesia di sinistra stanca di vedere ridotta la politica locale semplicemente ad un gioco di accordi e compromessi. Questa composizione, seppur non numericamente significativa quanto la prima, ha da subito rappresentato un’importante posta in gioco tra i due contendenti di centro sinistra che tutt’oggi continuano a rimpallarsi – coup de theatre e recentissime strette di mano a parte – le accuse di presunti appoggi esterni provenienti ora dall’Mpa ora dal Pdl dell’ex sindaco Cammarata.
Anche il tentativo di riciclaggio dei visi, come tra l’altro ammesso dagli stessi leader dei partiti, è totalmente fallito: esempio palese sono le dichiarazioni di esponenti dei maggiori partiti di governo, all’indomani delle amministrative a Palermo, di aver sbagliato a puntare su volti nuovi per riproporre il vecchio (basta guardare il risultato elettorale del candidato del PDL, Costa). Da questo punto di vista l’unica cosa certa, ed è la matematica a dircelo, è che davvero Orlando è riuscito a prendersi voti che furono del centro-destra ed in particolare a prendersi quelle decine di migliaia di voti che arrivati alle liste di Costa, Caronia e Aricò mancano poi a questi stessi candidati nel computo delle preferenze per la scelta del sindaco.
Detti i presumibili motivi non resta che discutere del valore di questo voto e delle possibilità che anche questa tornata elettorale non sia semplicemente un caso isolato ma una possibile anticipazione di linee di tendenza. Lanciamo quindi una serie di suggestioni nella forma di domande:
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e se il voto di Orlando rappresentasse una delle possibili opzioni “istituzionali” alla lacerazione sociale che la Sicilia sta vedendo crescere sotto i colpi della crisi?
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Se quindi Orlando fosse una possibile risposta tanto alla fine del mai nato bipolarismo all’italiana quanto ai cicli aperti da lotte come quelle dei forconi?
Crediamo valga in questo caso un’operazione di assimilazione tra l’esperienza orlandiana e il caso-Grillo in quanto ci sembrano due affermazioni che vanno nella medesima direzione politica.
Ci spieghiamo meglio: la sensazione lasciataci dalla tornata elettorale – e ribadiamo che si tratta di valutazioni provvisorie pre-ballottaggio – è che al modello delle Grosse Koalition europee, declinate in salsa italiota nell’esperienza del governo Monti e prima in quella della regione siciliana col governo Lombardo, non si opporrà un processo di soggettivazione politica “agli estremi” dell’arco istituzionale come successo in Grecia per esempio; ci sembra piuttosto che in alternativa a questo modello si stia delineando una nuova retorica populista post-berlusconiana che rompe completamente tanto con paradigmi classicamente clientelar-feudali (quello finora dominante almeno dalle nostre parti e che proponeva modelli gerarchici legati alla filosofia dei primus inter pares) quanto con costruzioni di teoria e prassi della governance “inclusiva e democratica” propria dei sistemi di larghe intese ed incarnata in questo caso dalla proposta-Ferrandelli e dai suoi stakeholders.
Vince quindi, in questo momento, il candidato che non ha avuto bisogno di alcun coinvolgimento di base, di militanti e circoli, di campagne elettorali e volti noti, di supporti partitici e programmi di governo. Questo a pochi mesi dalle elezioni regionali che ci aiuteranno a mettere a verifica le nostre ipotesi.
Concludiamo intanto provando a sintetizzare, con una battuta, quel che abbiamo discusso in questa sede. In The Importance of Being Earnest O.Wilde gioca col doppio significato della parola “earnest”, non soltanto un nome proprio ma anche aggettivo che sta per “probo, affidabile”; L‘importanza di essere Orlando non utilizza simili giochi linguistici ma potrebbe comunque rappresentare un titolo sintetico e significativo di questa storia.
Infoaut Palermo
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