Mirafiori, tornando dai cancelli
Come sempre vi sono aspetti che nessun analista della fabbrica, sociologo del voto o commentatore del già dettato può a monte dare per certi. Mirafiori sorprende perché attraverso il voto stupisce: l’affluenza record da una parte è dettata dall’esercizio propagandistico del ricatto ma anche dell’ineludibile e sentita valenza che la vertenza è andata ad assumere. Il voto operaio eccede le cifre burocratiche delle schiere sindacali e come risultante svela la dignità della negazione a candidarsi in massa come schiavi. Tutto questo, nell’eccezione dell’età media alta tra gli operai (a differenza di Pomigliano d’Arco che ha lasciato presagire e contemplare la possibilità di una maggiore propensione all’accordo per la salvaguardia del termine lavorativo). Il referendum di Mirafiori va oltre Pomigliano d’Arco, dove il Si si era imposto con il 63% ed aveva rovinato i sogni tecnocrati di Marchionne.
Seggio 5, il luogo dove si è consumata la zampata decisiva del referendum, il voto dei colletti bianchi che hanno accettato – come si sapeva, come c’era da aspettarsi! – plebiscitariamente l’accordo separato del 23 dicembre, l’apporto degli impiegati al referendum di Marchionne con 421 Si e 20 No. Peso risolutivo nello scarto ridottissimo presente nel voto operaio del ricatto. Come correttamente sottolineano le fonti sindacali nelle aree operaie dove maggiore sarà l’effetto del modello organizzativo Marchionne i No prevalgono, al montaggio ed in lastratura la riduzione delle pause, e la nuova turnistica che potrebbe anche arrivare a prevedere dieci ore di lavoro consecutivo.
Le reazioni al voto, vista la tempistica dello scrutinio, tardano ancora ad arrivare nelle prime ore del mattino. A caldo sono solo gli ultrà gialli del sindacato che si lasciano andare alle prime considerazioni: verrebbe da invitare il segretario generale della Uil Luigi Angeletti a seguire le orme suggerite al candidato sindaco di Torino Piero Fassino che ha dichiarato che se fosse stato un operaio avrebbe votato Si, perchè nel suo gridare “Hanno vinto le ragioni del lavoro” sembra ometta una differenza che da esponente sindacale dovrebbe sempre ben tenere in mente, quella tra forza-lavoro salariata (implicitamente di parte, con un “per sé” di classe) e schiavizzata (esplicitamente pacificata, con la soddisfazione del padrone); non combina meglio il segretario della Fim Cisl Bruno Vitali, che si emoziona perchè “nasce lo stabilimento del futuro, è il primo referendum che vinciamo a Mirafiori da quindici anni”, dovreste chiedervi perchè…!
Speriamo che il gesto rabbioso di questa notte, il fuoco addosso le bandiere del fronte del Si davanti lo stabilimento Fiat, sia di buon auspicio ed indicazione per il futuro. Complessivamente, il referendum di Pomigliano e Mirafiori è spia di un’indicazione che i più hanno sempre pensato di poter continuare ad ignorare, rompendosi le ossa gettando nel magazzino della storia cicli di lotta quindi errori e conquiste, ora costretti in un angolo anche perchè loro stessi artefici delle difficoltà, della sfavorevole evoluzione dei rapporti di forza nelle relazioni industriali. Non c’è firma tecnica o sostanziale che si possa siglare sotto il ricatto, non c’è denuncia giudiziaria che possa portare all’ottenimento e/o riconquista di diritti e libertà. La Fiom sa bene che i numeri del referendum di Mirafiori le danno nuova forza, che il consenso sociale nella pentola a pressione Italia è reale e diffuso, ai metalmeccanici il compito giocarsi nella maniera più intelligente e combattiva le proprie carte per ribaltare l’accordo, per rifiutarlo per davvero: la ri-soggettivazione della forza-operaia come passaggio indispensabile nella battaglia, la diramazione di alleanze sociali per rigettare l’isolamento presunto e la generalizzazione delle istanze di lotta.
Verso lo sciopero generale metalmeccanico del 28 gennaio, con la certezza del fallimento della via concertativa e l’urgenza del conflitto!
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