Napoli: contro precarietà, carovita e devastazione ambientale, mobilitazione permanente
Riceviamo e pubblichiamo volentieri da LOSKA…
Emergenza e crisi sono ormai le parole d’ordine che scandiscono la quotidianità di questi ultimi anni: emergenza sanitaria, emergenza ambientale, crisi geopolitica ed economica. All’emergenza sanitaria del Covid, che ha mostrato la fragilità di sistemi sanitari sempre più votati alla privatizzazione, si affianca una ormai evidente catastrofe ambientale, determinata da un modello di sviluppo fondato sull’estrattivismo selvaggio e sulle energie fossili, e il rischio sempre più reale di un conflitto nucleare, in una guerra innescata dalle tensioni imperialistiche della grandi potenze mondiali.
I rincari e il carovita non sono che le inevitabili conseguenze di un sistema economico e sociale insostenibile che accumula ricchezza per pochi sulle spalle delle popolazioni e delle composizioni sociali più fragili: mentre i colossi dell’energia fatturano profitti miliardari, la popolazione vive l’ennesimo processo di impoverimento, costretta a pagare beni di prima necessità a costi sempre più inaccessibili e bollette gonfiate dalle speculazioni finanziarie del mercato energetico.
Noi sappiamo benissimo che non si tratta di vera crisi o emergenza, ma della quotidianità di quel capitalismo che produce ed estrae valore devastando l’ambiente e i territori, sfruttando, marginalizzando e reprimendo. All’insopportabile retorica che scarica verso il basso la responsabilità della crisi – spiegandoci i metodi migliori per cucinare la pasta risparmiando sulla bolletta del gas – si affianca la normalità del progetto neoliberista che continua a macinare profitti per le élites dell’economia e della finanza globali. Il copione delle crisi strutturali del capitalismo è sempre lo stesso: a loro profitti e plusvalenze, a noi il peso dei costi economici e sociali.
Sappiamo anche che sui nostri territori i processi di produzione e di estrazione del valore si concretizzano in forme feroci di accumulazione, espropriazione e devastazione. Mentre il centro storico di Napoli investe sul proprio ruolo di meta turistica d’eccellenza, popolandosi di friggitorie, pizzerie, b&b e negozi di souvenirs, lavoratori e lavoratrici continuano a essere sfruttati/e in cambio di salari da fame, le piazze e le strade vengono riempite da polizia e militari, trasformate secondo un’idea di sicurezza che impedisce qualsiasi forma di socialità e aggregazione che non sia votata al consumo, le e gli abitanti vengono cacciate/i dal centro storico da affitti esorbitanti e le case vengono rese disponibili per gli affitti brevi destinati al turismo. Le periferie a loro volta, lontane dalle luci della città vetrina, sono oggetto di altre specifiche forme di messa a valore, con grandiosi progetti di impiantistica per il trattamento dei rifiuti che promettono impatti devastanti per l’ambiente, per la salute e la vita delle le persone che vi abitano.
Processi che generano ricchezza solo per pochi, ma continuano a riprodurre povertà e marginalizzazione per la gran parte delle persone. In questa crisi diventa sempre più evidente che lo Stato non è che il garante dei processi di accumulazione capitalistica e degli interessi privati: mentre i profitti riempiono le tasche della classe padronale e della finanza, la gran parte delle persone deve imparare a districarsi in una giungla frammentata di bonus e aiuti, come se l’accesso all’istruzione, alla sanità, alla mobilità fosse una gentile concessione del governo.
Perfino una misura, del tutto insufficiente, come il reddito di cittadinanza – in un paese dove i dati sulla povertà assoluta, soprattutto al Sud, diventano ogni giorno più allarmanti e dove quei pochi spiccioli sono stati l’unica possibilità di sostentamento per milioni di persone – viene presentata come una spesa insostenibile e inutile e viene sottoposta a criteri di accesso sempre più rigidi che ne limitano la fruizione. Soldi che invece sembrano non mancare mai per finanziare le spese militari e l’industria degli armamenti.
I nostri territori non sono dunque altro che serbatoi di ricchezza – in varie forme – da accaparrare, dove le questioni sociali sono invisibilizzate e derubricate a costi inevitabili, e le contraddizioni e i conflitti potenziali generati dal neoliberismo sono trasformati in narrazioni criminalizzanti sull’insicurezza e il degrado, aprendo la via all’ideologia del decoro, all’intervento repressivo, al carcere.
D’altra parte marginalizzazione e repressione non sembrano disturbare in nessun modo la quotidianità della valorizzazione neoliberista e dell’ipocrita democrazia occidentale, che, anzi, vanno perfettamente d’accordo con l’esclusione e la violenza feroce che si abbattono sulle persone migranti e sui corpi e sulle soggettività non conformi. Il nuovo governo delle destre fasciste promette già di condire il tutto con nuovi autoritarismi e con una prospettiva ancora più razzista, patriarcale e omo/trans-fobica, con generale soddisfazione dei mercati e della finanza, preoccupati unicamente della stabilità della compagine di governo e dell’attuazione delle riforme.
Il 5 novembre saremo in piazza per rispondere alla chiamata del Movimento dei disoccupati “7 novembre”. Mai come in questo momento crediamo sia necessario riappropriarci delle piazze e delle strade, diffondere autogestione e partecipazione diretta, nella consapevolezza che qualsiasi forma di delega non può che riprodurre un sistema sociale ed economico insostenibile.
Vogliamo rivendicare un reddito universale e incondizionato per tutte e tutti per liberarci da un sistema fondato sullo sfruttamento e sull’oppressione, iniziare a costruire società e comunità inclusive e senza confini, libere da qualsiasi processo di marginalizzazione ed esclusione.
CSOA Officina99 / LOSKA
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