Palermo? Default!
Sempre più stretta la morsa della crisi sul territorio palermitano. La città è schiacciata sotto il peso delle migliaia di lavoratori in mobilità, cassa integrazione e licenziati. É veramente impossibile riuscire a vedere un barlume di possibile ripresa anche solo facendo una passeggiata per la vie del capoluogo siciliano. Le saracinesche si abbassano, giorno dopo giorno, senza più riaprire; commessi, addetti ai magazzini, amministrativi tornano a casa, senza stipendio e senza lavoro, la media distribuzione segue a ruota i negozietti che già da più di un anno cominciano a diventare una rarità, impossibile per i negozianti emergere nella crisi, superare il peso della pressione fiscale e combattere la concorrenza delle grande distribuzione organizzata che con i grandi centri commerciali -sta per aprire il quarto in città- ha soffocato l’economia locale. Ad inaugurare la catena di addii al mercato cittadino è stata la Coop 25 Aprile che ha dimezzato i negozi e messo in mobilità 92 dipendenti; la Indomar auto (un anno di cig per 8 impiegati); Ceifa (8 in mobilità); Elauto (9 in mobilità); Li Vorsi (53 in cig gennaio/aprile); a questi si aggiungono, nelle ultime settimane, e soprattutto a sorpresa visto l’importanza nella media distribuzione cittadina, Brico Arrigo (ha già licenziato tre dipendenti e altri 18 entreranno in mobilità a partire da aprile); Grande Migliore (che chiude per ristrutturazione e annuncia la cassa integrazione per 269 dipendenti) e la Rinascente (che preannuncia la mobilità per 20 dipendenti). Ma non è tutto, e continuando così molto altro si dovrà aggiungere, la lista è aggravata dai licenziamenti anche nelle cliniche private (Villa Serena ha licenziato 25 dipendenti, alla Triolo Zancla arriviamo a quota 12 tra licenziamenti e cassa integrazione, alla Stagno il numero arriva fino ai 32 dipendenti. Questo non è un semplice elenco di attività commerciali in difficoltà e in procinto di chiusura, è il riassunto di una crisi finanziaria che miete vittime; quei numeri non sono cassaintegrati, licenziati, uomini o donne, quei numeri sono famiglie, sono bambini, sono bocche da sfamare, sono vittime del sistema che pagano la crisi, che con le loro lacrime e il loro sangue recitano la sceneggiatura che ha scritto il governo Monti, che ha scritto la Bce, che hanno scritto le banche. In un tessuto come quello palermitano dove, tra l’altro, la crisi economica e solo l’ultima delle piaghe che dio capitale ha lasciato cadere sulla città. Il dissesto è palese e insopportabile, Palermo è sull’orlo del precipizio. Il problema abitativo (con più di 10.000 famiglia in lista di attesa per ricevere un alloggio) continua ad essere posticipato nelle priorità dell’agenda politica del consiglio comunale, il dissesto finanziario delle municipalizzate è sotto gli occhi di tutti, spazzatura per le strade e autobus inesistenti sono solo il sintomo del fallimento economico di Amat e Amia, manutenzione ordinaria dell’arredo urbano eliminata dai capitoli di spesa, e ancora mobilità paventata per molti lavoratori. Ormai molti, troppi anzi, palermitani conoscono solo un nome che fa rima con stato, è il nome dell’agenzia di riscossione crediti, la Serit che continua a vessare chi non ce la fa da parecchio tempo ad arrivare a fine mese, che oggi l’unica risposta che ha dalla non più, e forse già da molto tempo, rappresentativa classe politica sono i cartelloni pubblicitari che invitano la cittadinanza a partecipare alle primarie in vista delle amministrative, avanzando promesse e elargendo le solite e vecchie vane speranze. A questo si aggiunge, e scusate se è poco, una voce di corridoio, dicono che il comune getta la spugna… fallimento! Tombola. Conti in rosso, anche se l’ex sindaco Cammarata, chiudendosi alle spalle la porta di Palazzo delle Aquile, aveva dichiarato che era tutto a posto. In che senso scusate? Il comune è al tracollo, fine è l’unica parola che può essere pronunciata. Anzi no, potremmo azzardare il tanto di moda default, fa tendenza.
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