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Pisa, sfratto rinviato, ma è solo l’inizio

Lo scenario è sempre lo stesso: una famiglia sul lastrico ridotta in povertà dalla crisi e dall’indebitamento finanziario, che non riesce più a supportare le spese dell’affitto e le cure mediche della figlia gravemente malata.

Una famiglia come tante, purtroppo, che si ritrova in situazioni drammatiche dopo la perdita del lavoro di tutti e due i coniugi, ma non per questo intenzionata a lasciare la propria abitazione. Una famiglia che ha ben in testa il quadro della situazione: una città come Pisa in cui la giunta comunale rifiuta le richieste di emergenza abitativa e non adopera al fine di trovare alcuna minima soluzione, e i servizi sociali offrono come ultima risorsa un neppur troppo velato: “tornate a casa vostra”.

Questo è soltanto uno delle centinaia di casi di famiglie che si ritrovano a passare intere giornate rimbalzati da un ufficio ad un altro, in inutili colloqui con assessori e servizi sociali. Il percorso burocratico-istituzionale è evidentemente incapace di offrire alternative ai bisogni della gente; i servizi sociali divengono un interfaccia sempre meno credibile, senza più cartucce da utilizzare, capaci soltanto di fare la voce grossa ed accusare le famiglie di non fare abbastanza, sperando di mantenere un barlume di autorevolezza.
Soprattutto per quanto riguarda l’emergenza abitativa, è evidente come le istituzioni cittadine siano sempre meno determinanti in un contesto dove la rendita privata la fa da padrona; dove il cemento dei grandi gruppi di costruttori divora chilometri quadrati di verde, dove qualsiasi proprietario di casa può imporre un affitto pari ad oltre due terzi del reddito di una famiglia (per non parlare delle sempre più numerose famiglie senza reddito), dove ormai anche la gestione dell’edilizia popolare è messa in mano ad un’agenzia di strozzini interessati soltanto ai propri profitti.

Negli ultimi mesi, nuove esperienze si stanno sviluppando in città e nella sua periferia: assemblee organizzate dagli abitanti dei quartieri popolari, nascita di nuovi comitati autonomi di lotta che rivendicano il proprio diritto ad abitare e ad una vivibilità migliore nei propri territori, picchetti antisfratto ed occupazioni di spazi sociali ed abitativi, stanno dimostrando che un altra visione della società è possibile soltanto con l’autorganizzazione delle proprie capacità.
Ad esempio, le relazioni che si stanno andando a intrecciare tra gli abitanti dei quartieri periferici e gli studenti della città, fanno da collante sociale tra chi vive da sempre in uno stato proletarizzato e ghettizzato e da chi comincia, adesso, a non sostenere più i costi della crisi e del debito. Questo sta determinando una solidarietà attiva e partecipativa di intere famiglie, studenti e giovani disoccupati che, con una frequenza sempre in aumento, si ritrovano a organizzare la resistenza agli sfratti.

In vista della fine del mese, infatti, decine e decine di sfratti si presenteranno in alcuni quartieri della città, dove però gli abitanti non si faranno di certo trovare impreparati alle minacce di essere buttati in mezzo alla strada.

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