Spunti e riflessioni dalla due giorni in Giambellino
Il maltempo ha provato a metterci in difficoltà, ma l’energia era tanta e la curiosità di chi ha riempito il Giambellino arrivando da tutta Milano e da altre città ha fatto in modo che si rispettasse la programmazione della giornata. Così siamo stati sommersi dai sorrisi e dalla vitalità dei bambini che hanno ballato la break dance, dalla creatività dei writers che hanno dato un po’ di colore ai muri grigi e scrostati del quartiere.
Ahmed e la sua famiglia hanno preso casa dopo tre settimane dall’infame sfratto da parte del Comune di Cologno Monzese che non ha trovato nessuna soluzione per questa famiglia al di là della polizia. Il Giambellino ha accolto tra i suoi cortili solidali questa nuova famiglia. Ogni occupazione è una ricchezza per il quartiere, perché chi viene a vivere in Gimabellino lo fa con l’obiettivo di lottare nei territori per aiutare altre famiglie e persone in difficoltà, per affrontare i problemi in modo collettivo e risolverli mettendosi in gioco nella lotta e nella condivisione.
Siamo tornati a prenderci il centro di Milano per sbattere in faccia alla città di Expo i problemi delle periferie e per ballare e divertirci insieme. Domenica invece è stata la giornata dello sport popolare, perché quando si gioca a pallone non ci sono differenze di nazionalità o di religione, davanti alla gioia di un gol siamo tutti uguali. Il Giambellino, come gli altri quartieri popolari di Milano e di tutta Italia, non è libero dal razzismo, anzi giornali e televisione, insieme ai parafascisti come Salvini, contribuiscono ad alimentare la guerra tra poveri per poter governare indisturbati. Stare nei quartieri vuol dire anche questo, esserci per combattere il razzismo in ogni sua forma, cercare di far capire che il vero nemico non è lo straniero ma i politici, i palazzinari e la polizia che difende gli interessi di queste persone.
Sono stati due giorni di confronto, di musica, di sport, di riappropriazione. Due giorni di spunti e di contaminazione tra varie esperienze, tutte accomunate dalla lotta per la casa e dal lavoro territoriale come scelta politica di costruzione di comunità e relazioni diverse, che riescano a contrastare l’avanzare del capitalismo nelle forme che conosciamo molto bene: speculatori, ufficiali giudiziari che dettano il presente di tante famiglie in difficoltà, gentrification dei territori, privatizzazione dell’edilizia pubblica, razzismo, solitudine, polizia, business dei servizi base come luce e gas, servizi sociali che lavorano per gli interessi dei privati e delle istituzioni che rappresentano e non per risolvere i problemi e aiutare le persone in difficoltà.
C’è tanto lavoro da fare, ma i tempi sono cambiati e questo lo si sente ogni volta che si parla con chi vive e si organizza in mezzo alle contraddizioni e alle questioni aperte dei territori. Ci siamo allontanati per tanto tempo dai problemi reali, ma adesso in tanti in giro per l’Italia siamo tornati ad avere un contatto col reale. Cosa fare e come farlo, ecco la questione. Nella ricerca delle risposte si nascondono tante possibilità di incontro e si imparano tante cose.
Queste risposte non le troveremo dentro un’ideologia, che venga da Marx, da Debord o che si culli nell’illusione ingenua e ottusa di purezza e supposto “radicalismo” scollegato da ogni questione concreta. La soluzione non sta nemmeno nei partiti che fanno gli interessi di questo sistema, né in chi ingenuamente ambisce qualche poltrona per cercare di cambiare senza rapporti di forza l’esistente dall’interno del sistema e finisce inevitabilmente per essere assorbito dallo schifo generale. Troveremo le risposte dentro al movimento reale, nella quotidianità di lotta, tra picchetti, feste e resistenze che non sono algidi momenti di militantismo ma la costruzione di un presente in comune, una rottura che si fa sempre più di massa. Per questo è necessario imparare dalle esperienze di altre città e territori.
La scommessa sta nel rendere desiderabili dei rapporti diversi tra le persone, rendere effettiva la solidarietà ed eliminare definitivamente la guerra tra poveri nei nostri quartieri, creando percorsi di partecipazione reali che riescano ad eliminare il meccanismo della delega. Nel diffondere la consapevolezza che solo la lotta paga e che insieme possiamo far tremare quelli che stanno in alto e ci sottraggono interi pezzi della nostra vita. Uniti possiamo tutto perché la nostra lotta è una sola: al di là che questa si occupi di lavoro, casa, carcere, cibo, sport, cultura, dello spreco di soldi pubblici delle grandi opere e dei grandi eventi.
La nostra lotta è per riprenderci la felicità, per riscoprire la gioia di una vittoria collettiva che permetta finalmente ai nostri figli di crescere in un posto dove vale la pena vivere. Nessuno si deve più suicidare perché non riesce a pagare l’affitto o perché si sente solo, nessuno deve aspettare dieci anni per avere un tetto sopra la testa, nessuno deve lavorare per pochi euro in condizioni di schiavitù.
La nostra lotta è per la vita, per vivere qui e ora bene attraverso i mezzi di cui riusciremo a dotarci e dalla forza dei rapporti che riusciremo a tessere tra chi abita, in mille modi diversi, un territorio.
Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio
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