Su No Tav e spazi costituenti.. ‘indietro non si torna!’
“Tav, da Napoli alla Val di Susa le mani della mafia sui cantieri”. Prima o poi doveva arrivare, ed è arrivata, la salvifica parola di Roberto Saviano su Repubblica.it. Ma qualcosa scricchiola stavolta, il racconto perde di coerenza e di efficacia. La redazione non sa bene dove sistemare il pezzo che per questa volta non conquista, come suo solito, uno spazio centrale nella home del sito.
Non si può negare lo spazio a Saviano, si è investito troppo sull’eroicità super-partes della sua figura, ma ora l’indomito spirito di denuncia di Roberto ha deviato dal percorso pro-tav della macchina mediatica di Repubblica. L’eroe esiste in funzione del proprio ideale e per quello combatte – entro i limiti del codice civile s’intende – non gli si può chiedere anche il calcolo politico.
Ma c’è qualcosa di più, si vede qualcosa di più nel corto circuito comunicativo dei consiglieri del Principe. Si vede che fuori dagli scopi propagandistici di Repubblica le parole di Saviano non servono più a nessuno, soprattutto non servono ai No Tav. Il movimento non stava certo aspettando le sue parole per sapere che tav significa mafia. Saviano è abile, cerca il piano della conciliazione, il piano dell’opinione unanime guadagnata a buon mercato: chi mai può dichiararsi pro-mafia? E allora in fondo basta solo dialogo e una politica virtuosa che risani le storture del sistema e garantisca “la sicurezza economica del paese dall’assalto delle mafie”. Saviano confonde, mischia le carte, vorrebbe ridurre le istanze politiche del movimento alle sue ragioni, le dirotta su una dialettica del contrasto tra le opposte ragioni tra le quali, comunque, si sa, sempre si può trovare la parola più ragionevole. Come al solito questa parola è la sua, è il “punto su cui ci si deve trovare uniti”.
Ma no. Il trucco è troppo semplice.
La lotta No Tav esprime una radicalità che riconosce come essenziale non il rifiuto e la messa in discussione delle politiche non virtuose, ma il rifiuto della figura del politico contemporaneo come governance finanziaria. Esprime la radicalità di chi propone le sue istituzioni per la gestione del territorio e non è più interessato a mediare per restaurare una governance meno criminale diretta a “garantire la sicurezza economica del paese”.
Le ragioni del No Tav sono molteplici. Il movimento ha saputo documentarle in autonomia perchè altri non l’hanno voluto fare e perchè si era ben coscienti che non si poteva chiedere in prestito la voce di nessuno. Le ragioni del No Tav sono anche le ragioni ambientali, le ragioni contro le nocività e per il diritto alla salute, le ragioni della tutela dell’economia turistica della valle, le ragioni del territorio, sono anche le ragioni – ben chiare prima che parlasse Saviano – dell’opposizione strenua alle sicure infiltrazioni mafiose negli appalti dei lavori per la realizzazione dell’opera. La maturità della lotta No Tav, e il principio anche del suo potenziale di generalizzazione, risiede però nel fatto che l’orizzonte strategico del movimento ha permesso di non incardinare la lotta in nessuna di queste ragioni particolari ma al contrario di aggregarle attorno ad uno spazio costituente, prima ancora che di resistenza.
Lo spazio dell’organizzazione del rifiuto del dominio della governance finanziaria e sovranazionale in combutta con gli interessi del capitalismo di rapina italiano e internazionale e, allo stesso tempo, lo spazio della produzione delle nostre forme autonome di società e gestione del territorio.
Perchè questa scelta strategica? Perché la produzione di uno spazio costituente è una volontà politica non negoziabile, non reintegrabile in una riforma della governance capitalistica come vorrebbero Saviano o le altre figure simbolo di una democrazia d’opinione – per la quale tanto simpatizza il centro-sinistra – insterilitasi sul principio di legalità davanti al ventennio berlusconiano (leggasi Marco Travaglio, sostenitore delle ragioni No Tav purchè l’opposizione non superi il confine della legalità). Eppure i No Tav sanno che la posta in palio è precisamente questa: ridisegnare i confini del diritto sulla legittimità politica della lotta. Questo significa farsi spazio costituente quando quei confini sono diventati ormai solo il dispositivo di applicazione della rapina e dell’esproprio.
Allora la lotta No Tav non è solo una lotta per la difesa dei beni comuni, ma è una lotta per l’affermazione del comune come produzione dello spazio costituente per l’autoderminazione delle pratiche collettive contro le logiche della governance finanziaria.
In questo senso il movimento pone una domanda schiettamente politica, una domanda posta non nella forma della richiesta, una domanda che non aspetta risposta: come costruire le nostre forme di resistenza per guadagnare le forme di espressione dei nostri desideri collettivi? Una domanda che si rivolge a noi tutti per costruire i nostri spazi costituenti e attorno a questi aggregare consenso. Questo il divenire comune della Val Susa, il suo potenziale di generalizzazione. Questo il significato simbolico della lotta assunto pienamente dagli stessi valsusini consapevoli di esprimere un disagio non localistico ma di tutto il paese.
Non c’è pacificazione possibile. L’autoritarismo di Napolitano – uomo affezionato all’autismo di partito davanti a ciò che probabilmente scambia ancora una volta per i suoi personali fantasmi di Budapest, Praga e dei nostri anni ’70 -, le minacce dell’esecutivo, le operazioni repressive e l’inasprimento dell’occupazione militare in Valle ci fanno capire che alla fine ci dovrà essere un vincitore e un vinto. Ma di una cosa siamo forti: sappiamo che possiamo perdere ma che non saremo mai sottomessi perchè la lotta No Tav ha aperto per noi tutti un nuovo spazio costituente.
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