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Ad un anno dall’assalto di Capitol Hill pt 5. La polarizzazione

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Il nuovo attivismo di estrema destra

Steve Bannon, ispiratore dell’alt-right e consigliere elettorale di Trump, nel 2013 si definì come un “leninista” che ambiva alla distruzione dello Stato. Questa uscita, evidentemente provocatoria, nasconde però alcuni elementi interessanti rispetto alla mutazione che i circoli di estrema destra negli Stati Uniti vivranno dopo la crisi del 2008 e del perchè, in parte, il loro discorso diventerà egemonico, ben oltre i loro soliti circuiti. L’alt-right fu una galassia estremamente composita, in continua trasformazione, che arriverà alla notorietà tanto attraverso azioni violente e provocatorie, quanto nell’uso sapiente della rete e dei social network e nell’individuazione di alcune specifiche composizioni sociali in cui provare a radicarsi.

Anche in questo caso la crisi del 2007-2008 sembra rappresentare uno spartiacque. L’elezione di Obama, il primo presidente afroamericano, e gli effetti sociali della crisi provocheranno la nascita di nuove milizie e gruppi armati di estrema destra.

Un numero non indifferente di giovani maschi bianchi urbani e suburbani, spesso benestanti e studenti dei colleges, aderirono alla propoganda dell’alt-right. Il movimento basava la sua propoganda sulla vittimizzazione del maschio bianco e sulla sua presunta perdita di centralità nella vita politica americana, piuttosto che sulle teorie della supremazia della razza. L’alt-right ebbe la funzione di un vero e proprio incubatore di posizioni più radicali ed estremiste, che mantennero però le ambiguità ed un approccio politico che integra istanze economico-sociali nella narrazione nazionalista.

Nelle zone rurali, in particolare, si assistette alla nascita di nuove organizzazioni in grado di radicarsi (più o meno efficacemente) nel tessuto sociale, a volte anche esprimendo presenze nelle istituzioni locali.

A differenza delle precedenti strutture, molte di queste organizzazioni non propagandavano esplicitamente le idee della white supremacy e affiancavano alla dimensione paramilitare anche una serie di esperienze di supporto non immediatamente miliziane. Inoltre, il quadro teorico di riferimento per alcuni di questi gruppi ha subito una trasformazione: dal classico nazionalismo bianco sono passati al terzoposizionismo ed all’anarconazionalismo. In questo senso l’alt-right si approprierà di alcune pratiche tradizionali della sinistra radicale, come ad esempio le “autonomous zones” ed il ritorno alla terra, per dare vita a esperienze etnonazionaliste. Propaganderanno in una fase iniziale la costruzione di spazi comunitari etnicamente omogenei (qui in parte la novità: non la supremazia di per sè di una razza sull’altra, o la soppressione delle razze inferiori, ma la volontà di tenere separate le etnie) in contrapposizione tanto con lo stato quanto con l’universalismo di sinistra. 

La capacità di radicamento nelle aree rurali e nelle exurbs delle nuove destre, però, non si spiega senza considerare la sfida competitiva che queste organizzazioni hanno lanciato allo Stato su questi territori, in termini dell’organizzazione e della difesa delle comunità (bianche naturalmente). In particolare con l’occupazione di ranch e miniere per protestare contro le rendite federali; con la costruzione di iniziative di supporto sociale, di risposta e preparazione ai disastri naturali; con con le ronde antimigranti sui confini. Due delle iniziative di maggiore scalpore organizzate dai miliziani dei 3 Percenters e degli Oath Keepers furono quelle del cosidetto Bundy Standoff (del 2014)1 e dell’occupazione del Malheur National Wildlife Refuge (del 2016)2. Le due azioni accesero l’attenzione nazionale sulla rinnovata capacità organizzativa delle milizie e permisero loro di fare ulteriore proselitismo e costruire un’identificazione con alcuni settori della società rurale.

Le iniziative delle nuove milizie di estrema destra dunque non si inserivano per lo più nel solco della tradizione del passato – dove i principali obbiettivi erano mussulmani ed ebrei e le azioni venivano portate avanti con metodi terroristici. L’alt-right e il Patriot Movement volevano entrambi, sebbene con metodi ed ipotesi diverse, costruirsi una propria base sociale di riferimento e la crisi, con una parte della popolazione bianca benestante che sperimentava la paura di un impoverimento di massa (o di una perdita di centralità politica) rappresentava una buona occasione.

Le due milizie di dimensioni più significative nate in questa fase erano i 3percenters e gli Oath Keepers. I primi dovevano il loro nome alla falsa credenza che solo il 3% della popolazione americana avrebbe partecipato alla rivoluzione contro gli inglesi. La milizia naque nel 2008 sfruttando “i timori conservatori nei confronti del primo presidente nero degli Stati Uniti, la potenziale nuova regolamentazione delle armi, la possibilità di tasse più elevate e la situazione economica della Grande Recessione”. L’organizzazione naque in contemporanea al Tea Party e approfittò del clima di crescente nazionalismo all’interno del movimento.

Gli Oath Keepers  nacquero nello stesso contesto, ma con l’obbiettivo di mantenere il “patto” (Oath) tra gli aderenti alle forze armate ed alla polizia di tenere al sicuro gli Stati Uniti da nemici esterni ed interni. Il gruppo fece proseliti in particolare tra i veterani tornati dalle due guerre in Iraq ed Afghanistan e tra ex poliziotti ed altri aderenti alle forze dell’ordine in pensione. Gli Oath Keepers a differenza dei 3percenters non avevano inizialmente un’esplicita collocazione ideologica tra le file dell’estrema destra, tanto che a più riprese ebbero momenti di conflitto con gli attivisti dell’alt-right, ma si presentavano come un’organizzazione nata per garantire l’ordine costituzionale e la concezione dell’america “tradizionale”. Con l’incedere della polarizzazione, però, anche gli Oath Keepers si posizioneranno sempre più a destra, assumendo posizioni estremiste.

Altre milizie simili per blocco sociale di riferimento e connotazione ideologica – anche se meno note – sono la Light Foot Militia, la Civilian Defence Force e l’American Contingency.

Oltre alle milizie esplicitamente organizzate ed armate, l’alt right ebbe altre evoluzioni caratterizzate da un attivismo più urbano e suburbano, basato sulla lotta di strada ed orientato a colpire le minoranze e gli attivisti di sinistra.

I più noti di questa tendenza sono i Proud Boys: la loro ideologia si basa sulla “difesa dello sciovinismo occidentale”. Sono a tutti gli effetti un movimento giovanile fascista che però prova a mascherarsi come un fenomeno sociale di costume. Il suo fondatore, poi allontanatosi dal movimento era uno dei creatori di Vice News, Gavin McInnes. Il movimento è fondato sull’avversione verso i valori antifascisti, il movimento femminista e le rivendicazioni della comunità nera. Le loro principali azioni consistevano nell’ingaggiare provocazioni violente nei confronti dei manifestanti di Black Lives Matter e di altre organizzazioni di sinistra. Sono in termini generali la più diretta evoluzione del tentativo dell’alt-right di rendere socialmente accettabili le narrazioni vittimiste del declino occidentale. Il gruppo è tra i più esplicitamente collegati alla campagna di Trump, tanto che uno dei suoi leader, Enrique Tarrio, è stato anche tra gli organizzatori di “Latinos for Trump”.

A questa tendenza si possono iscrivere anche i Patriot Prayers che si propongono come l’ala radicale della destra cristiana. Anch’essi erano organizzati come una banda di strada sebbene con una composizione meno giovanile e meno ideologizzata.

Infine tra i movimenti di estrema destra vanno annoverate le fazioni libertariane più estremiste come i Boogaloo Bois. Questi ambienti sono innervati da un insieme diversificato di estetiche e modalità armate neo-dadaiste volte a scatenare o prepararsi alla seconda guerra civile americana. Considerano inevitabile la probabilità di un’altra guerra.I Boogaloo Bois sono per lo più libertariani di estrema destra, anche se hanno tentato in diverse occasioni di infiltrarsi nelle manifestazioni di BLM con l’obbiettivo di accelerare il processo di avvicinamento alla guerra civile scatenando momenti di violenza. Rispetto ad altre espressioni della nuova destra estrema i Boogaloo Bois hanno mantenuto una dinamica più avversariale nei confronti della polizia e a volte anche contro Donald Trump.

 Come si può notare questa galassia di organizzazioni e movimenti esprime una connotazione ideologica molto variegata che a volte è maturata in aperte contrapposizioni tra i vari gruppi. Si può osservare come esista una sovrapposizione tra i classici posizionamenti che convivono nella coalizione conservatrice ed il quadro ideologico delle diverse organizzazioni di estrema destra. Ciò fa pensare da un lato ad una generale radicalizzazione dei movimenti conservatori, e dall’altro ad una capacità da parte dell’estrema destra di muoversi in maniera più efficace per inserirsi in questa radicalizzazione in un rapporto di internità ed estraneità alla coalizione a seconda dei momenti.

L’agenda del trumpismo mainstream ha mutuato molte delle tecniche di propaganda e delle istanze di base di questa nuova estrema destra, generalizzandole e rendendole accettabili per il dibattito pubblico. Allo stesso tempo l’alt right e soprattutto le milizie hanno progressivamente assunto il ruolo di avanguardia militarizzata del movimento (si pensi al famigerato “Stand back, stand by” pronunciato dal presidente Trump). Il loro ruolo sarà centrale nella risposta violenta alle proteste di Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd, nelle mobilitazioni dei negazionisti del Covid 19 durante la pandemia e infine nelle insorgenze post-elettorali che culmineranno con l’assalto a Capitol Hill.

Si può ipotizzare inoltre che nel mutare dei cleverages si sia assistito anche ad un’ulteriore mutazione dell’estrema destra, che progressivamente si è trovata ad affiancare il comunitarismo etnocentrico della prima fase ad un esasperato liberalismo individualista durante il periodo di acutizzazione della pandemia ed i lockdown. Questo slittamento si può spiegare da un lato osservando la composizione di riferimento dell’estrema destra, cioè il ceto piccolo-borghese in sofferenza, che se nella prima fase aveva la necessità di valorizzare il proprio capitale contro lo Stato e le corporations facendo perno sulle comunità locali, nella seconda fase ha rivolto questa necessità contro le stesse comunità. Dall’altro lato è necessario considerare l’accelerazione che tanto la pandemia quanto le proteste contro il razzismo sistemico hanno dato alla messa in discussione dell’organizzazione sociale diseguale degli Stati Uniti. Ciò ha imposto all’estrema destra una dislocazione più esplicita in difesa dello Stato, della proprietà privata e dell’ordine costituito, rimarcando le dinamiche tipiche del fascismo, ma senza la potenza organizzativa e l’appoggio del grande capitale.

 

Paragrafo 9: Trump al governo, le sfide della pandemia e Black Lives Matter

L’evidente polarizzazione che ha accompagnato la campagna elettorale del 2016 non è svanita dopo la vittoria di Donald Trump. Anzi il presidente ha continuato a portare avanti uno stile politico divisivo, per molti versi senza precedenti. Anche questo aspetto, in un certo senso, ha rappresentato una novità per la politica statunitense. Trump non ha mai ambito a rappresentare il presidente di tutti gli americani, ma ha continuato a fare riferimento unicamente alla sua base elettorale agendo per amplificare le dinamiche avversariali. D’altro canto gli elettori democratici difficilmente avrebbero cambiato idea ed atteggiamento sul presidente (il tasso di gradimento in campo democratico per Trump è stato sempre sotto il 7%) e solo un approccio interamente votato alla coesione della coalizione conservatrice e dei nuovi elettori già strappati all’astensione e al partito democratico avrebbe permesso ai repubblicani di mantenere un certo consenso.  Tenere aperta la frattura politica, evidenziata con il voto, è il solo modo che l’amministrazione Trump ha per cercare di consolidarsi. 

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 La fragilità di questa condizione politica si misurò subito dopo l’insediamento, quando il neo-presidente si dovette misurare con la possibilità di realizzare o meno la sua agenda elettorale. Tra i primi punti del suo programma vi era la cancellazione dell’eredità di Obama ed in particolare dell’Affordable Care Act.

Sebbene l’ “Obamacare” fosse stato uno dei principali motivi di rinvigorimento della coalizione conservatrice nel 2009, la riforma aveva dimostrato una certa efficacia guadagnando nel tempo un consenso trasversale anche tra le file di quella working class bianca che era stata così determinante per la vittoria di Trump. I Repubblicani inoltre non erano stati in grado di proporre un’alternativa all’ACA in grado di mediare i diversi interessi in campo (con un Senato a maggioranza democratica), e nonostante l’appello del Presidente a procedere con l’abrogazione della riforma (che avrebbe significato lasciare milioni di cittadini statunitensi senza assicurazione sanitaria e provocare un deficit federale di 137 miliardi in dieci anni) questa non avvenne mai del tutto, anche se alcune parti dell’Obamacare vennero progressivamente svuotate. La difficoltà incontrata da Trump nel mantenere questo punto del suo programma elettorale lo espose ad un considerevole calo nei consensi. Si stima che il suo tasso di gradimento nei primi mesi di presidenza fosse intorno al 40%.

Dunque il repubblicano si gettò sul secondo punto del suo programma elettorale, promulgando il più grande taglio delle tasse dal 1986 che avrebbe dovuto liberare le forze dell’impresa e costruire nuovi posti di lavoro. Il progetto di legge vedeva una riduzione dell’aliquota di imposta per le corporation al 21%, una revisione delle tasse sul reddito individuale, un’estensione dell’esenzione dalla tassa di proprietà ed altre detrazioni.

Ed  in effetti l’era Trump ha visto una significativa crescita dell’economia americana, almeno fino allo shock generato dalla pandemia globale di Covid-19. Il tasso di disoccupazione è sceso al 3,5% nel 2019, un livello che molti studiosi considerano virtualmente quello della piena occupazione. Il prodotto interno lordo ha visto una crescita del 2,4% nel 2017, del 2,9 nel 2018 e del 2,3 nel 2019. Le politiche economiche di Trump rappresentavano di per sè una novità, infatti se da un lato rispondevano ai più classici canoni dell’economia liberista rispetto al ruolo dello Stato e delle tasse, dall’altro il pesante interventismo protezionista nel mercato si mostrava come una rottura con la tradizione austriaca che aveva dominato il punto di vista della coalizione conservatrice fino a pochi anni prima.

Ma dietro i numeri rassicuranti dei dati macroeconomici si nascondeva in realtà un perpetuo aumento delle disuguaglianze (in continuità con l’era Obama) e, come si è accennato prima, una disastrosa stagnazione salariale. In effetti era complesso attribuire l’andamento dell’economia al taglio delle tasse di Trump, alla sua campagna protezionistica ed all’atteggiamento anti-cinese, molti studiosi tendono a inserire i dati dei primi tre anni della presidenza del repubblicano nell’onda lunga degli stimoli di Obama. Altri attribuiscono il rimbalzo dell’economia ad una ripresa della speculazione finanziaria ed alla formazione di nuove bolle in diversi mercati.

Anche per quanto riguarda il re-shoring della manifattura i dati sembrano sottolineare che non vi sia stata una significativa discontinuità con il passato. Nel complesso, gli Stati Uniti hanno subito una perdita netta di oltre 91.000 impianti di produzione e quasi 5 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero dal 1997. Quasi 1.800 fabbriche sono scomparse durante l’amministrazione Trump tra il 2016 e il 2018 (BLS 2020; U.S. Census Bureau 2020a, 2020b). Gli Stati Uniti hanno registrato una perdita netta di impianti di produzione (stabilimenti) in ogni anno dal 1998 al 2018 (l’anno più recente per il quale sono disponibili dati).” Sebbene vi sia stato un calo rispetto al 2015 il trend non sembra essersi sostanzialmente invertito. In termini generali gli USA “hanno guadagnato circa 500.000 posti di lavoro nel settore manifatturiero negli Stati Uniti dal 2016 al 2019. Ma questi guadagni sono esattamente alla pari con i guadagni durante l’intero periodo di ripresa economica dal 2010 al 2019, durante il quale sono stati acquisiti in media 166.000 posti di lavoro ogni anno. I guadagni 2016-2019 non hanno rappresentato un miglioramento rispetto agli anni precedenti in quel decennio, e anche i guadagni complessivi del decennio sono riusciti a ripristinare solo una frazione dei posti di lavoro persi nel decennio precedente.”

Un indicatore significativo della condizione del lavoro è quello del tasso di scioperi  che tra il 2018 ed il 2019 ha visto una significativa impennata. Dopo decenni di declino, l’attività di sciopero è aumentata nel 2018, con 485.200 lavoratori coinvolti in importanti interruzioni del lavoro, un aumento di quasi venti volte rispetto ai 25.300 lavoratori del 2017. L’impennata dell’attività di sciopero è proseguita nel 2019, con altri 425.500 lavoratori. L’incremento è stato interrotto solo dall’irrompere della pandemia. La stagnazione salariale in una condizione di piena occupazione e un rinnovato attivismo sindacale hanno segnato il maggior numero di scioperi sul biennio dal 1993.
 

Nel 2017 le prime mobilitazioni sociali di sinistra iniziavano ad irrompere nelle piazze, a partire dal movimento delle donne che si espresse contro la presidenza Trump e riuscì a catalizzare intorno a sé una prima coagulazione delle istanze ambienaliste e contro il razzismo che stavano iniziando a vivere una nuova stagione di attivismo.

Da qualche anno inoltre iniziavano a diffondersi una serie di movimenti antifascisti, in risposta all’emergere dell’alt right e delle nuove milizie. Movimenti che avevano mutuato l’estetica, le pratiche e l’impostazione politica militante dalla più longeva esperienza “antifa” europea. La galassia antifascista non era un’organizzazione, ma una sorta di patto d’azione implicito in cui organizzazioni, collettivi e individualità dalle differenti sensibilità si univano per contrastare con azioni dirette, contromanifestazioni, informazione ed altre svariate pratiche militanti le iniziative di estrema destra. Le pratiche dell’antifascismo militante divennero più diffuse dopo i fatti di Charlottesville, in cui un estremista di destra uccise una contromanifestante che protestava contro il raduno “Unite the Right” lanciandosi con l’auto sulla folla.5

Nell’estate del 2018 poi contro le politiche di “tolleranza zero” sulle migrazioni di Trump, ed in particolare contro la pratica della “separazione familiare”, naquero i movimenti Occupy ICE e Abolish ICE (Immigration and Customs Enforcement). Ebbero luogo oltre 700 manifestazioni negli Stati Uniti e nel mondo. Il movimento contro le politiche migratorie pose le basi per una riorganizzazione della sinistra più militante ed introdusse una nuova tematizzazione del concetto di “abolizione”3.

Ma in questa prima fase l’opposizione a Donald Trump rimase per lo più confinata tra le militanze di sinistra ed i gruppi sociali maggiormente colpiti dalle sue politiche. Con molta probabilità a segnare il cambio di passo furono due fattori: da un lato il dirompere della pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti, dall’altro le proteste di Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd.

E’ difficile stimare il reale peso della pandemia nella parabola politica degli Stati Uniti considerando anche che si tratta di un fenomeno tutt’ora in corso, ma alcuni dati emergono in maniera significativa: secondo un sondaggio Gallup l’approvazione per Trump ebbe un crollo dal 49% del 22 marzo 2020 al 38% del 30 giugno dello stesso anno. Quasi il 60% degli americani disapprovava la risposta alla pandemia della presidenza, con pochissime variazioni nei seguenti cinque mesi.

Trump e la maggior parte dei governatori repubblicani hanno messo in campo una strategia di sistematica sottovalutazione del virus anche nei momenti di maggiore violenza dell’epidemia. A gennaio 2021 gli Stati Uniti erano il 4 paese per tasso di morti da Coronavirus (dopo Spagna, Brasile e Messico) misurato su base pro-capite. La scelta di questa strategia da parte di Trump non è da intestarsi unicamente alla sua incapacità, ma anche alle istanze del nocciolo duro della sua base elettorale. Secondo un altro sondaggio Gallup solo il 25% degli elettori repubblicani era “preoccupato di prendere il coronavirus” e oltre il 60% era “pronto a tornare subito alle attività normali”. Tanto la peculiare composizione del cuore del blocco sociale trumpiano a cui si accennava nel paragrafo sull’estrema destra, quanto l’attitudine libertariana di una parte della sua composizione contribuirono a generare un dibattito politico sulla pandemia estremamente polarizzato. Leonardo Baccini, Abel Brodeur e Stephen Weymouth nel loro lavoro sull’incidenza della pandemia da Coronavirus nelle elezioni del 2020 giungono ad ipotizzare che con il 5% in meno di casi Covid Trump avrebbe potuto facilmente vincere la rielezione. Dalla loro ricerca è emerso che l’impatto negativo dell’incidenza del COVID-19 sul sostegno a Trump è più forte (1) negli stati senza un ordine formale stay-at-home, (2) negli stati che Trump ha vinto alle elezioni presidenziali del 2016, (3) negli swing states, e (4) nelle contee urbane. Non troviamo prove che la variazione del tasso di disoccupazione sia correlata al sostegno elettorale per Trump. Ci sono alcune prove che i casi di COVID-19 abbiano influenzato la mobilitazione degli elettori, misurata come numero di voti espressi nel 2020 rispetto al 2016.

La fase pandemica dunque ha agito sulla coalizione trumpiana in maniera duplice: da un lato ha ulteriormente rafforzato la coesione di alcuni settori, dall’altro ha aperto significative contraddizioni tra le composizioni meno fideizzate al progetto neopopulista.

Non solo, la pandemia probabilmente ha avuto un ruolo significativo anche nella catalizzazione delle proteste contro il razzismo sistemico, di quelle anticapitaliste ed ambientaliste che hanno individuato in Trump il nemico più prossimo, mettendo però in discussione l’intero sistema di sviluppo e di organizzazione del vivere sociale negli Stati Uniti. Naomi Klein afferma, parlando delle proteste sorte dopo l’omicidio di George Floyd: Questa non è la prima rivolta di questo genere. Ma penso che ci fossero alcuni aspetti che erano unici a causa del Covid e dell’enorme impatto della pandemia per gli afroamericani in città come Chicago dove, secondo alcuni calcoli, il 70% delle vittime di Covid erano afroamericani”. Si stima in generale che il 16,8% delle vittime da Covid siano state afroamericane e che il virus abbia contaggiato in maniera più intensa le comunità latine, asiatiche ed afroamericane.

I pazienti neri che contraggono il covid-19 hanno tre volte più probabilità di richiedere il ricovero in ospedale a causa della gravità della malattia. In modo sproporzionato, le contee degli Stati Uniti con una grande popolazione nera rappresentano quasi il 60% dei decessi per covid-19 nel paese, nonostante rappresentino solo il 22% delle contee. La maggior parte degli stati degli Stati Uniti ha un numero sproporzionato di casi di covid-19 tra i pazienti di colore. I pazienti di colore hanno meno probabilità di essere in grado di ottenere test covid-19 in diverse grandi città degli Stati Uniti. Molti pazienti neri hanno una minore possibilità di essere attaccati ad un ventilatore dove le risorse sono troppo limitate per curare tutti, sulla base di algoritmi distorti che tengono conto delle comorbidità e dell’aspettativa di vita. Per i pazienti neri, anche la decisione di indossare una maschera richiede loro di valutare il rischio di essere presi di mira o addirittura uccisi dalle forze dell’ordine contro il rischio di contrarre il covid-19.

Questa disparità nella diffusione del virus ha evidenziato in maniera ulteriore le disuguaglianze nella distribuzione delle risorse sulla linea del colore, del genere e della classe. L’accesso alla sanità, le condizioni in cui si lavora, si abita o si studia, il ricatto tra salute e lavoro (per i cosiddetti lavoratori essenziali), hanno generato un’omogeneità delle esperienze. Il brutale omicidio di George Floyd da parte di un poliziotto ha funzionato da detonatore di questa esperienza collettiva di espropriazione.

Negli USA, la probabilità di un uomo di morire a causa dell’uso della forza da parte della polizia, nel corso della sua vita, è di 52 per 100.000; quella di una donna, invece, viene stimata a 3 per 100.000.

Tra tutti i sottogruppi di sesso e razza-etnia (Asian-Pacific Islander, Hispanic-Latinx, American Indian-Alaska Native, European/American/Middle Eastern-White), gli uomini afroamericani (African American-Black) hanno il rischio più alto di essere uccisi dalla polizia nel corso della loro vita: una probabilità di 1 per 1.000. Questa probabilità è pari a 2 volte e mezzo quella degli uomini bianchi. Allo stesso modo, le donne afroamericane hanno una probabilità pari a 1,4 volte quella delle donne bianche. […] tra i giovani afroamericani: l’uso della forza da parte della polizia è infatti la causa dell’1,6% di tutte le morti di giovani maschi afroamericani tra i 20 e i 24 anni.4

Il nuovo ciclo di proteste di Black Lives Matter ha espresso alcune importanti novità: innanzitutto la tematizzazione della portata sistematica del razzismo ben oltre le destre ed il trumpismo, in secondo luogo l’emersione di istanze politiche chiare e radicali (come ad esempio tra le altre il “Defound the Police”), in terzo luogo la durata del movimento (in altri cicli le proteste razziali si sono date come esplosioni di rabbia momentanee e non codificate), infine la significativa partecipazione alle lotte di settori di giovani bianchi e di una parte del sindacalismo (elemento che fa pensare ad una prima riuscita fusione, seppure embrionale, tra il tema della razza e della classe dopo le esperienze degli anni sessanta e settanta).

Il movimento ebbe una diffusione ed una capillarità raramente osservata negli ultimi decenni: ebbero luogo manifestazioni anche in città, paesi e contee dell’America rurale, vi furono diversi scioperi di solidarietà in settori più o meno tradizionali del lavoro e scienziati, artisti e sportivi presero parte attiva alla lotta.

Trump rispose alle insorgenze di BLM propugnando “law & order” e schierandosi apertamente dalla parte delle forze dell’ordine. Definì a più riprese i manifestanti di Black Lives Matter come “thugs”, seminatori di odio e la galassia antifa come “terrorismo domestico”. Le milizie e l’estrema destra inscenarono controproteste con continue provocazioni ai manifestanti. Sotto il simbolo della “Thin Blue Line” iniziarono ad organizzarsi con forme propriamente paramilitari gruppi di supporto armato alla polizia.

Anche sostenitori di Trump meno ideologizzati parteciparono a raduni e controproteste ed in alcuni quartieri suburbani vi furono episodi di tensione con gli abitanti bianchi che esponevano armi al passare dei manifestanti.

La polarizzazione aveva raggiunto il suo picco con diversi confronti armati ed episodi di violenza. Mancano stime del grado di partecipazione reale della coalizione trumpiana alle controproteste (al di fuori dell’estrema destra) e riguardo alla composizione di chi vi ha aderito. Senza ombra di dubbio però questi eventi hanno rappresentato momenti di radicalizzazione e proselitismo per l’estrema destra e le sue dimensioni militanti.

Il trumpismo in questa fase si è fatto più esplicitamente argine al cambiamento sociale, partito dell’ordine e difensore del privilegio bianco.

L’aspetto interessante che poi ha avuto anche riflessi in termini elettorali è che mentre BLM era stato in grado di ampliare i propri referenti sociali, nonostante gli importanti livelli di conflitto, il “trumpismo” andava via via riducendo la complessità di istanze che aveva raccolto. Ma bisogna evitare di sovrastimare questo fenomeno infatti Trump raccoglierà alle elezioni del 2020 oltre 74 milioni di voti, risultando il secondo candidato più votato nella storia alla presidenza degli Stati Uniti, dopo il suo diretto concorrente, Joe Biden che ne raccoglierà 81 milioni. Un dato che permette di comprendere a pieno quale fosse il livello di polarizzazione all’alba delle elezioni, tale da portare alle urne oltre 159 milioni di elettori, il 66,7 % della popolazione votante. Bisogna tornare all’inizio del ‘900 per trovare percentuali simili.

Note:

1 Il Bundy Standoff fu un confronto armato tra i sostenitori dell’allevatore di bestiame Cliven Bundy tra cui diverse milizie di estrema destra e le forze dell’ordine a seguito di una controversia legale tra il Bureau of Land Management degli Stati Uniti e Bundy. Il tribunale aveva imposto all’allevatore di pagare oltre 1 milione di dollari di tasse di pascolo arretrate per l’uso da parte di Bundy di un terreno di proprietà federale adiacente al suo ranch. 

2 Miliziani armati (tra cui il figlio di Bundy) hanno occupato il Maleheur National Wildlife Refuge contro la gestione pubblica delle terre comprese nel parco.

3  https://www.infoaut.org/approfondimenti/a-un-mese-da-capitol-hill-genealogia-e-prospettive

4 https://www.infoaut.org/approfondimenti/modelli-di-predizione-razzismo-e-violenza-della-polizia-negli-stati-uniti

5 Lo “Unite the Right Rally” era un raduno di estrema destra avvenuto a Charlottesville. L’obbiettivo degli organizzatori era quello di protestare contro la rimozione delle statue dei confederati ed allo stesso tempo dare una dimostrazione di forza unendo i diversi gruppi, le diverse organizzazioni e milizie solitamente litigiose dietro un obbiettivo comune. Quasi tutte le sigle citate nel precente paragrafo parteciparono alla manifestazione ad esclusione dei Proud Boys (che volevano evitare di essere associati a gruppi esplicitamente neonazisti). Durante il raduno era prevista anche una contromanifestazione della cittadinanza e dei gruppi di sinistra e vi furono diversi momenti di conflitto. Verso la fine della manifestazione un estremista di destra si lanciò con la propria auto sulla folla provocando la morte di una giovane, Heather Danielle Heyer, ed il ferimento di altri manifestanti di sinistra. Dopo lo “Unite the Right Rally” si assisterà ad un momentaneo terremoto all’interno dell’estrema destra, alcuni gruppi si dissoceranno dalla manifestazione, mentre altri radicalizzeranno ulteriormente la loro prassi.

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La Coalizione Don’t Buy Into Occupation nomina 58 aziende e 822 istituti finanziari europei complici dell’illegale impresa di insediamenti colonici di Israele.

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Conflitti Globali

Siria: jihadisti filo-turchi entrano ad Aleppo. Attacata anche la regione curda di Shehba

In Siria a partire dal 27 novembre, milizie jihadiste legate alla Turchia hanno lanciato un’offensiva dalla regione di Idlib e raggiungendo i quartieri occidentali di Aleppo. Come sottolinea ai nostri microfoni Jacopo Bindi, dell’Accademia della Modernità Democratica, l’Esercito nazionale siriano, responsabile di attacchi nella regione di Shehba, è strettamente legato ad Ankara. Questo gruppo, che […]

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Conflitti Globali

Una fragile (sanguinosa) tregua

Alle 10 di questa [ieri] mattina è partita la tregua di 60 giorni (rinnovabile) tra Israele e Hezbollah, orchestrata dagli Stati Uniti e in parte dalla Francia. Una tregua fragile e sporca, che riporta la situazione ad un impossibile status quo ex ante, come se di mezzo non ci fossero stati 4000 morti (restringendo la guerra al solo Libano) e 1.200.000 sfollati su un paese di circa 6 milioni di abitanti.

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Conflitti Globali

Entra ufficialmente in vigore il cessate il fuoco tra Libano e Israele

Riprendiamo l’articolo di InfoPal: Beirut. Il cessate il fuoco israeliano con il Libano è entrato ufficialmente in vigore mercoledì alle 4:00 del mattino (ora locale). Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato martedì sera che il suo governo ha approvato un accordo di cessate il fuoco con Hezbollah in Libano, dopo settimane di colloqui […]

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Traduzioni

“A fistful of dripping hate” Intervista a Phil A. Neel (Eng version)

Trumpism, war and militancy The year 2024 has been dense with significant events. Complexity is in motion, we see it accelerating in political transformations, electoral or otherwise, in the winds of war blowing across the globe, in social and political phenomena that are increasingly difficult to interpret with traditional keys. To try to provide us […]

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Approfondimenti

Il coltello alla gola – Inflazione e lotta di classe

Con l’obiettivo di provare a fare un po’ di chiarezza abbiamo tradotto questo ottimo articolo del 2022 di Phil A. Neel, geografo comunista ed autore del libro “Hinterland. America’s New Landscape of Class and Conflict”, una delle opere che più lucidamente ha analizzato il contesto in cui è maturato il trumpismo, di cui purtroppo tutt’ora manca una traduzione in italiano.

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Editoriali

Ancora Trump, non stupitevi

Ad un primo sguardo superficiale queste elezioni negli Stati Uniti sono state un replay di quelle del 2016. Trump vince nonostante le previsioni dei sondaggisti più autorevoli.

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Conflitti Globali

Il genocidio a Gaza e le elezioni USA

Gli ambienti a sinistra del Partito Democratico negli USA stanno affrontando un profondo dibattito con al centro la questione palestinese.

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Conflitti Globali

Elezioni USA: che paese arriva al voto del 5 novembre 2024? Intervista all’americanista Ferruccio Gambino

Usa: martedì 5 novembre 2024 il voto per le presidenziali. Ultimi fuochi di campagna elettorale, con i sondaggi danno la Harris avanti nel voto popolare su scala federale, con il 48,1% contro il 46,7% di Trump.

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Editoriali

Gli Stati Uniti verso le elezioni: guerre e guerra civile

Manca poco più di una settimana alle elezioni negli Stati Uniti e nonostante i pronostici regna l’incertezza.

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Culture

Hillbilly highway

J.D. Vance, Elegia americana, Garzanti, Milano 2024 (prima edizione italiana 2017). di Sandro Moiso, da Carmilla «Nonna, Dio ci ama?» Lei ha abbassato la testa, mi ha abbracciato e si è messa a piangere. (J.D. Vance – Elegia americana) Qualsiasi cosa si pensi del candidato vicepresidente repubblicano, è cosa certa che il suo testo qui recensito non potrebbe […]