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Argentina: confermata l’estradizione in Cile dell’attivista mapuche Jones Huala

Criminalizzazione originaria.

di Daniel Satur

Questo martedì la Corte Suprema di Giustizia argentina ha emesso un verdetto con cui convalida l’ordine d’estradizione in Cile del lonko mapuche Facundo Jones Huala, detenuto da gennaio nel carcere penale federale di Esquel, Chubut, nell’ambito di una causa penale realizzata nel paese transandino e sulla cui legalità ci sono più che troppi sospetti.

Il massimo tribunale nazionale ha respinto le motivazione della difesa di Jones Huala, che aveva denunciato irregolarità nel processo di prima istanza che aveva ordinato la sua estradizione e chiedeva la realizzazione di un nuovo processo orale e pubblico “nel quale sia assicurato al nostro difeso il dovuto processo nel quale poter opporre le relative effettive e reali argomentazioni”.

Il Potere Giudiziario cileno chiede che lo stato argentino invii il rappresentante della comunità mapuche affinché questi “termini di scontare” una condanna che ricevette nel 2018 per l’accusa di “incendio” e “porto illegale d’arma da fuoco di fabbricazione artigianale”. Dopo aver passato vari anni in prigione, in Cile dicono che deve scontare ancora altri 16 mesi di condanna. Con il verdetto delle ultime ore della CSJN, ora il Potere Esecutivo, attraverso la Cancelleria che è diretta da Santiago Cafiero, dovrà decidere se dar corso o no all’estradizione.

Una storia di persecuzione politica

Jones Huala da vari anni viene criminalizzato tanto dallo stato cileno come da quello argentino. Sebbene i fatti per cui fu condannato in Cile sono datati 2013, fu nel 2017 che aumentò la persecuzione contro di lui e la sua comunità in Argentina, a partire da un “accordo” tra i governi di Mauricio Macri e Michelle Bachelet per estradare il lonko.

Nel giugno del 2017 Jones Huala fu detenuto nel Río Negro durante un controllo stradale. Su di lui pesava una richiesta di estradizione in Cile. Mentre il Potere Giudiziario definiva la sua situazione, il Potere Esecutivo perseguitava e attaccava la sua comunità Pu Lof Resistencia Cushamen, che si mobilitava per la sua liberazione. Dopo una manifestazione a Bariloche fortemente repressa (con detenuti e feriti), il 1° agosto di quel anno la Gendarmeria, inviata dall’allora ministra della Sicurezza Patricia Bullrich, scatenò una brutale caccia nel territorio, il cui saldo fu la scomparsa e la morte di Santiago Maldonado.

Nel 2018 Jones Huala ebbe un primo processo di estradizione a Bariloche. Ignorando un suggerimento dell’ONU, alla fine lo stato argentino inviò il lonko in Cile. Lì fu giudicato e condannato nell’ambito di una causa piena di irregolarità, contraddizioni e con prove deboli. Di tutti i processati, fu l’unico a non essere archiviato, nonostante che non si potè nemmeno comprovare che fosse stato effettivamente presente nel luogo dei fatti. Condannato a nove anni di prigione (dopo ridotti a sei), fu un vero “processo politico” che consolidò la persecuzione della sua figura e la criminalizzazione delle proteste mapuche.

Tre anni prigioniero nel Centro di Compimento Penitenziario di Temuco (dove la sua comunità denunciò maltrattamenti), nel gennaio del 2022 a Jones Huala fu concessa la scarcerazione. Ma mentre la sua difesa preparava le condizioni affinché scontasse la sua condanna con la libertà condizionata in Argentina, per pressione del governo di Sebastián Piñera il Potere Giudiziario revocò quella scarcerazione e tornò ad ordinare che fosse detenuto. Siccome lui stava dall’altro lato della Cordigliera, fu dichiarato “latitante” e l’Interpol lanciò una “allerta azzurra”, che di solito non è altro che una richiesta allo stato affinché fornisca “informazioni sull’identità di una persona, il suo domicilio o le sue attività” relative ad una determinata indagine giudiziaria.

Per un anno lo stato argentino neppure cercò Jones Huala. Ma alla fine di gennaio di quest’anno la Polizia del Río Negro lo trovò casualmente. Fu per una probabile chiamata di alcuni abitanti di El Bolsón che avevano sentito dei “rumori molesti” in una casa. Lui non offrì resistenza e fu arrestato per un delitto minore, scarcerabile. Nonostante ciò, mentre la governatrice Arabela Carreras si vantava di un inesistente “lavoro di indagine” della sua polizia, lo tennero in prigione, prima in un commissariato di Dina Huapi (vicino a Bariloche) e successivamente nel carcere penale di Esquel, dove è rimasto alloggiato fino ad oggi.

La Carreras chiese al governo di Alberto Fernández e Cristina Fernández in Kirchner di avvisare sia l’Interpol che il governo cileno di Gabriel Boric che tenevano in prigione Jones Huala. Ma per mantenerlo in prigione e, eventualmente, estradarlo in Cile, era necessario cambiare la “allerta azzurra” con una “allerta rossa”. Con una pratica espressa, l’Interpol lo fece e così si assicurarono di non dover liberare il lonko per i delitti minori che gli erano imputati.

Dopo aver ricevuto dal Cile una nuova richiesta di estradizione, il giudice federale di Bariloche Gustavo Villanueva (che ha nelle sue mani il caso dal 2017) ha condotto un nuovo processo. Disattendendo la richiesta della difesa su possibili nuove irregolarità a scapito del lonko mapuche, il giudice tornò a sentenziare contro Jones Huala. La difesa contestò la sentenza e fece appello di fronte alla Corte Suprema, adducendo il fatto che furono negate prove che sarebbero servite a contestualizzare la persecuzione a livello politico e storico.

Alla fine, questo martedì, dopo un giudizio favorevole all’estradizione da parte del procuratore generale (ad interim) Eduardo Casal, i quattro membri massimi della casta giudiziaria argentina, Horacio Rosatti, Carlos Rosenkrantz, Juan Carlos Maqueda e Ricardo Lorenzetti hanno confermato la sentenza del giudice di Bariloche e hanno dichiarato “fondata” l’estradizione di Jones Huala in Cile.

Ora è il governo nazionale che deve decidere di realizzare o no l’estradizione. Sarà il Ministero delle Relazioni Estere e del Culto, guidato da Santiago Cafiero fino al 10 dicembre, quello che decide. Per questo avrà dieci giorni dal momento del ricevimento della pratica per il suo esame.

Criminalizzazione permanente

Come si sa, in Argentina Jones Huala è stato indicato come dirigente della “Resistenza Ancestrale Mapuche”, la RAM, sigla con cui si identifica una presunta organizzazione “terrorista” che opererebbe nel paese con finanziamenti internazionali. Ma in tutti questi anni lo stato non ha potuto provare nessun delitto commesso da questa apparente organizzazione né ancor meno identificare qualche colpevole di atti terroristi. Anche in diverse cause penali contro le comunità, anche senza parlare della RAM, si è finito con l’assolvere i membri mapuche imputati dopo che era stato provato che erano cause montate.

E un altro elemento che non si può eludere è che, anche se si rifiutasse di estradare Jones Huala in Cile, l’attuale governo nazionale (con il sostegno dei governatori della Patagonia) non lesina sforzi per perpetuare la criminalizzazione e la repressione delle comunità originarie che “osano” reclamare territori ancestrali strappati molto tempo fa dallo stato.

Tale è il caso del brutale sgombero realizzato nell’ottobre del 2022 dalla Polizia Federale nella comunità Lafken Winkul Mapu di Villa Mascardi, vicina a Bariloche. Lì, tutelate da una sentenza giudiziaria e inviate da Aníbal Fernández (successore della Bullrich nel Ministero della Sicurezza), le truppe federali si scagliarono contro donne e bambini, ruppero tutto quello che trovarono al loro passaggio e arrestarono vari membri della lof.

Le denunce per violazioni dei DDUU e dei popoli originari commesse in quello sgombero ebbero una portata internazionale e misero in evidenza la politica criminalizzatrice del Fronte di Tutti. Tale fu la brutalità esibita dal Governo che perfino l’avvocata Elizabeth Góme Alcorta, allora ministra delle Donne, Generi e Diversità, non poté sostenere una sola giustificazione e finì con il rinunciare al suo incarico.

Alla comunità Lafken Wincul Mapu apparteneva Rafael Nahuel, il giovane assassinato alla schiena il 25 novembre 2017 da agenti della Prefettura Navale. Il prossimo mercoledì 29 novembre (quattro giorni dopo il sesto anniversario di questo crimine di stato) nei Tribunali Federali di Fiske Menuco (General Roca) si conoscerà la sentenza contro cinque dei prefetti che quel giorno agirono.

Paradossalmente, oltre alla famiglia di Nahuel in quel processo agisce come querelante la Segreteria dei DDUU della Nazione, come dire lo stesso Potere Esecutivo che reprime la comunità mapuche di cui faceva parte la vittima. Lo stesso Potere Esecutivo che, inoltre, non sta rispettando un accordo firmato con quella comunità dopo il brutale sgombero, dimostrando qual è la vera priorità se si tratta di scegliere tra carte e proiettili.

Sia i crimini di Nahuel e di Maldonado come la lunga persecuzione contro Jones Huala si iscrivono in una tradizione di politiche repressive e criminalizzatrici dei popoli originari da parte dello stato capitalista argentino. Qualcosa che succede anche in Cile e in altri paesi latinoamericani. Sia la storiografia come la letteratura ne hanno dato ampiamente conto. 

Il fatto curioso? a questa altezza è che, con tutte le possibilità tecnologiche e investigative su cui contano il potere politico e i suoi giudici, sia le morti di innocenti come le cause penali contro membri di quelle comunità si basino su prove più che deboli e siano articolate “naturalmente” con il vetusto racconto razzista e classista di coloro che sono beneficiati dall’appropriazione dei beni naturali comuni.

Come non denunciare allora questi stati che uccidono e imprigionano a tutti i costi per allontanare le comunità indigene dai loro “preziosi” territori? E come non organizzarsi indipendentemente da questi stessi stati, e dai loro dirigenti politici, per lottare per il pieno rispetto dei diritti dei popoli originari.

La Izquierda Diario

18/11/2023

tratto da La Haine

Tradotto da Comitato Carlos Fonseca

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