Caso Regeni: quando il dito indica la luna, l’idiota legge Repubblica
Dopo mesi nel dimenticatoio mediatico della politica e dei mass-media, Repubblica torna a scrivere sulla morte di Giulio Regeni. L’occasione la offre la domanda di rogatoria internazionale che la procura di Roma ha emesso per poter interrogare la professoressa di Giulio all’Università di Cambridge, Maha Mahfouz Abdel Rahman.
L’articolo, a firma Foschini e Bonini, comincia creando il setting per lo scoop. Repubblica sarebbe “entrata in possesso” di un documento “di dodici pagine” che metterebbe in luce “l’ambiguità di Maha Mahfouz Abdel Rahman”. Non ce ne voglia chi legge, ma è Inutile girare intorno alle modalità con cui Repubblica ha ottenuto il documento: glielo hanno girato le autorità italiane. L’articolo continua cercando di mettere in dubbio la caratura accademica della tutor di Giulio e degli editori che hanno pubblicato i suoi lavori. Una mossa a dir poco goffa, in cui i due “giornalisti” arrivano persino a definire Routledge una “piccola casa editrice” (si tratta della più grande casa editrici di testi di scienze umane al mondo). Si cerca poi di mettere in dubbio la correttezza della professoressa, puntando il dito contro il fatto che non si sarebbe ancora fatta interrogare dalla procura di Roma e, soprattutto, avrebbe deciso di non consegnare spontaneamente il suo smartphone, il suo computer e tutti i suoi dispositivi informatici alle autorità italiane. Ora, che Foschini e Bonini non trovino nulla da ridire sul fatto che quelle stesse autorità italiane siano anche uno dei principali sponsor internazionali del regime di Al Sisi è già vergognoso. Ma che facciano finta di vederci qualcosa di losco nel fatto che un’attivista e ricercatrice sui movimenti sociali egiziani non voglia consegnare loro i suoi apparecchi elettronici è semplicemente grottesco.
La questione qui non è certo voler fare l’apologia di una grande università, che, in nome della tranquillità accademica, ben poco si è esposta per cercare verità e giustizia per Giulio. L’operazione mediatica di ieri però è insopportabile. Visto che le responsabilità della morte di Giulio sono fin troppo evidenti ma che è fin troppo evidente anche che a causa dell’ostruzionismo delle autorità del Cairo sarà impossibile determinarne l’esatta dinamica, si fa finta si essere in un vicolo cieco e di esplorare altre piste: se il colpevole non può essere colpevole bisogna trovarne un altro. A questo giochino infame si presta per l’ennesima volta Repubblica, il giornale che aveva offerto una maxi-tribuna ad Al Sisi per spiegare le sue ragioni a qualche giorno dal ritrovamento del cadavere di Giulio con un’intervista a doppia pagina effettuata dal direttore Calabresi. Il resto segue come da copione: pochi minuti dopo la pubblicazione dell’intervista arriva il post su facebook dell’allora premier Matteo Renzi che conferma che lui ha sempre saputo che c’era qualcosa di losco a Cambridge (altro che Al Sisi!), assicurando la sua attenzione sul caso dopo che il Partito democratico ha rimandato poche settimane fa l’ambasciatore italiano al Cairo, certificando l’impunità per gli aguzzini di Giulio.
Come abbiamo già più volte ribadito, le responsabilità sul caso Regeni non sono solo di alcune persone, ma del governo egiziano e italiano. Quest’ultimo in nome degli interessi economici che il grande capitale italiano ha nella zona, in particolare gli enormi giacimenti petroliferi di Zohr gestiti dall’Eni, ha ridimensionato e velocemente liquidato l’assassinio, che avrebbe potuto rappresentare un ostacolo nella dialettica economica tra i due paesi. Ancora una volta le industrie e le istituzioni nostrane ci dimostrano come non solo sia giustificato, ma anche necessario calpestare le vite e le morti delle persone in nome del profitto.
Sì sa perfettamente la verità su chi sono i mandanti e gli esecutori dell’uccisione di Regeni, ma come sempre, non lo si vuole dire perché significherebbe mettere a nudo un sistema economico che calpesta le vite di milioni di persone e parlare delle istituzioni che ne sono garanti.
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