Cina, tra crisi ed esplosione delle lotte
Circa 7000 persone hanno partecipato alle proteste contro licenziamenti e tagli ai salari a Dongguan, nel Guangdong. Le proteste hanno preso vita in uno stabilimento della ditta taiwanese Yue Cheng che produce scarpe per alcuni tra i più importanti brand occidentali. Le proteste riguardano sia i provvedimenti annunciati dalla dirigenza riguardo agli esuberi, sia i propositi dello stesso management di delocalizzare la produzione nello Jiangxi, regione dai salari medi più bassi. Fenomeno questo che si inserisce in un contesto di continua spinta alla “delocalizzazione interna” che è una delle tendenze più importanti che si verifica all’interno della Cina che affronta la crisi globale.
Ma è proprio la crisi globale che sta formando scenari in cui la stessa Cina potrebbe trovarsi davvero a faticare nel contenere le esplosioni sociali. Il crollo della domanda occidentale sta azzannando le caviglie di moltissimi piccole e medie imprese e dei loro lavoratori, mentre la rete tramite i microblog (come ad esempio Sina Weibo, una sorta di Twitter cinese) spesso prende parola contro le condizioni difficili che stanno accusando migliaia di persone nel paese, soprattutto quei lavoratori migranti che sonostati il cuore della crescita economica cinese a partire dalla “politica della porta aperta” di Deng Xiaoping che fece diventare il sud della Cina “la fabbrica del mondo”.
Ma oltre al sud della Cina sono in agitazione anche tante altre città cinesi. Come si apprende da China Files, i lavoratori della Pepsi a Chongqing, Chengdu, Nanchang, Fuzhou e Changsha hanno organizzato una campagna per proteggere i loro posti di lavoro e opporsi al rischio di perderlo, a causa di un’acquisizione in corso da parte di un’azienda di Taiwan degli impianti di imbottigliamento della PepsiCo. Continuano a montare le tensioni etniche nello Xinjiang, mentre si avvicina il momento del ricambio ai vertici del potere, in un contesto di probabile doppia recessione (double dip) che metterà la Cina a dura prova..
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