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Coronavirus: per i palestinesi la solidarietà durante la pandemia invoca lo spirito dell’intifada

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Dalle infermiere volontarie alla donazione del pane, la società palestinese è intervenuta per affrontare la mancanza di risorse mediche ed economiche.

Fonte English version
Di Fareed Taamallah – 19 Aprile 2020

“Non ricordo un periodo difficile in cui la nostra gente non fosse unita”, ha detto Sami Mohammad.

Sami ha assistito a molti eventi storici nei suoi 73 anni di vita e l’attuale pandemia di coronavirus che coinvolge il mondo intero ha riportato alla memoria ricordi di precedenti periodi di difficoltà e coesione della comunità, in particolare durante la popolare rivolta palestinese nota come intifada dal 1987 al 1993.

“La solidarietà sociale a cui assistiamo oggi a seguito della pandemia di coronavirus mi ricorda la Prima Intifada quando i palestinesi restarono uniti per resistere all’altro virus letale”, ha detto l’ex prigioniero politico alludendo all’occupazione israeliana.

Dall’inizio della pandemia, i governi di tutto il mondo si sono adoperati per convincere le persone a rimanere a casa e hanno sfruttato le loro capacità economiche e le forze di sicurezza per imporre restrizioni.

Ma nei territori palestinesi occupati, la situazione è molto diversa. Mentre l’Autorità Palestinese (PA), che amministra la Cisgiordania occupata, è tenuta a confrontarsi con fermezza conto il virus, l’occupazione israeliana manca di molti degli strumenti importanti che le agenzie di altri paesi danno per scontati.

Secondo gli Accordi di Oslo del 1993, la Cisgiordania è divisa in tre aree: Area A, sotto la sicurezza e il controllo civile dell’Autorità Palestinese (PA); Area B, dove l’AP ha il dominio civile ma la sicurezza rimane sotto il controllo di Israele; e l’Area C, che è sotto il pieno controllo civile e militare israeliano e comprende l’altamente strategica Valle del Giordano.

Ma gli accordi, i cui parametri sono spesso violati dalle forze israeliane, rendono l’AP incapace di controllare la sicurezza in vaste aree della Cisgiordania e nell’impossibilità di controllare adeguatamente i suoi confini.

Nonostante le difficoltà, tuttavia, la crisi in corso ha ispirato la cooperazione tra tutti i palestinesi, specialmente nelle aree rurali, che vanno dagli attivisti politici al settore privato.

Gruppi comunitari

Lo stato di emergenza dichiarato in Palestina il 5 marzo ha messo in luce le modeste capacità economiche e mediche dell’AP nel tentativo di affrontare la pandemia.

Attivandosi per colmare queste lacune, i palestinesi hanno mostrato una crescente solidarietà sociale mentre si offrono volontari per i ruoli e creano gruppi di comunità per supportare le forze di sicurezza e le squadre mediche palestinesi nella lotta contro il virus.

Nonostante siamo diventati una società consumistica, la nostra generosità e l’altruismo esistono ancora
– Sami Mohammad, ex prigioniero politico

Molti agricoltori hanno donato ortaggi alle aree infette, i grandi negozi nelle città hanno pubblicato elenchi di prodotti in vendita a basso prezzo, mentre alcuni negozi hanno cancellato i debiti di alcuni dei loro clienti più vulnerabili.

Nel frattempo, le ONG hanno introdotto meccanismi che garantiscono l’arrivo di beni essenziali ai cittadini da donazioni o collegando direttamente gli agricoltori ai consumatori con consegne a domicilio a prezzi equi.

Mohammad fu arrestato nel 1989 e trascorse tre anni in prigione per aver organizzato comitati popolari nel villaggio di Qira, situato nel governatorato settentrionale di Salfit in Cisgiordania, e per resistenza all’occupazione israeliana.

Dice che la cooperazione che vede oggi in Palestina a seguito del coronavirus è molto simile a quanto accaduto durante la Prima Intifada, in particolare il numero di donazioni e lo spirito di solidarietà tra le persone.

“Di solito gli esseri umani mostrano il loro lato migliore durante le crisi e nei momenti di bisogno. Nonostante siamo diventati una società consumistica, la nostra generosità e l’altruismo esistono ancora”, ha detto a Middle East Eye.

Superando le aspettative

Comitati di emergenza in tutte le comunità palestinesi sono stati rapidamente istituiti dall’AP per l’attuazione di piani e misure rapportati alle sue limitate capacità finanziarie e mediche.

A Qira, è stato istituito un comitato di emergenza, diretto da Aisha Nimer nella sua veste di sindaco. Composto da 10 persone, rappresenta il consiglio del villaggio, le fazioni politiche, i gruppi medici e i servizi di sicurezza. Il comitato coordina il lavoro di dozzine di volontari assegnati a sottocomitati specifici.

Nimar ha detto a MEE che tutte le attività sono svolte volontariamente dai 1.400 residenti stimati del villaggio e finanziate da un fondo di emergenza istituito tre settimane fa per raccogliere donazioni dai residenti locali.

Ha aggiunto che oltre 100 confezioni di cibo e circa 500 kg di pane sono stati distribuiti alle famiglie bisognose e finora sono stati raccolti oltre 4.000 dollari.

“La cosa più importante è rendersi conto che siamo in grado di garantire la nostra autosufficienza e che la risposta delle persone ha superato le nostre aspettative”, ha detto.

Una bella iniziativa 

Il comitato di emergenza ha istituito dei punti di osservazione all’ingresso di Qira chiamati “checkpoint comunitari”, al fine di distinguerli dai noti checkpoint dell’esercito israeliano, che operano 24 ore su 24 per impedire l’ingresso a coloro che non sono autorizzati.

“Stiamo svolgendo un servizio sociale perché proteggiamo il nostro villaggio e la nostra gente”, ha detto Malik Taleeb, che è responsabile dei punti di osservazione, spiegando che i checkpoint della comunità erano presidiati da 42 giovani residenti che svolgono il ruolo di turnisti.

I punti di osservazione sono simili ai comitati di sorveglianza organizzati per impedire ai coloni israeliani di entrare nel villaggio durante la Prima Intifada.

Il popolo palestinese è abituato a stare a casa sotto coprifuoco e isolamento a causa dei lunghi anni di occupazione – Ghanem Arabasi, ex prigioniero politico

Ghanem Arabasi, membro del comitato di emergenza e un altro ex prigioniero politico, ritiene che “l’occupazione e il coronavirus siano le due facce della stessa medaglia”.

“La solidarietà che stiamo vivendo oggi è molto simile a quella vista durante la prima e seconda intifadas, dato che il popolo palestinese è abituato a stare a casa sotto coprifuoco e isolamento a causa dei lunghi anni di occupazione”, ha detto Arabasi a MEE.

“La cosa positiva di questo calvario è che ci ha reso tutti uguali, ha rotto le barriere e riportato solidarietà e vicinanza nei cuori delle persone.”

Clinica sanitaria mobile

A Qira è stato istituito un sottocomitato per la salute che comprende infermieri e volontari della Mezzaluna rossa Palestinese, i soccorritori che forniscono servizi sanitari primari per gli anziani e le persone in stato di bisogno, nonché il monitoraggio dei soggetti confinati in quarantena domiciliare.

I volontari hanno avviato una clinica sanitaria mobile per “monitorare la situazione delle persone in quarantena, assistere le persone, fare iniezioni, misurare la loro temperatura e controllare la loro pressione sanguigna, vale a dire ciò che farà risparmiare alle persone un viaggio in ospedale,” ha detto l’infermiera volontaria Yasmeen Mahmood mentre misurava la pressione sanguigna di una donna anziana.

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Un sottocomitato logistico ha reclutato volontari per consegnare pacchi di alimenti, pulire il villaggio, disinfettare i luoghi pubblici, effettuare consegne a persone in isolamento individuale o in quarantena e condurre i pazienti negli ospedali.

Per raggiungere l’autosufficienza alimentare, il consiglio del villaggio ha assegnato un terreno di cinque dunum (4.500 metri quadrati) per coltivare ortaggi.

È stato istituito un sottocomitato agricolo per piantare 7000 piantine di verdure estive finanziate da donatori locali. I prodotti saranno distribuiti gratuitamente alle famiglie bisognose.

Due mondi separati

Una squadra speciale è stata assegnata per tracciare il ritorno dei palestinesi che lavorano in Israele, poiché il continuo transito tra i due territori è stato considerato un fattore di rischio nella diffusione del virus.

Il team è responsabile del trasferimento dei lavoratori ai centri di quarantena con un mezzo speciale, oltre a fornire loro le istruzioni necessarie.

“Tre case nel villaggio sono state assegnate per la quarantena domiciliare”, ha detto Nimer. “In questo momento abbiamo 24 lavoratori in isolamento e altri 43 dovrebbero arrivare nei prossimi giorni”.

Il destino dei lavoratori non è che un aspetto della vita palestinese che rende la lotta contro la pandemia molto più difficile.

“Dobbiamo affrontare due sfide principali: la mancanza di risorse finanziarie e l’occupazione israeliana”, ha affermato Nimer.

Le autorità israeliane fanno pressione sui lavoratori negli insediamenti minacciando di ritirare i loro permessi di lavoro se non tornano a lavorare nelle fabbriche israeliane.

Alcuni giorni fa, i coloni hanno attaccato il vicino villaggio di Hares, costringendo i suoi abitanti a rompere la quarantena domiciliare per affrontarli.

L’esercito israeliano ha istituito un posto di blocco all’ingresso principale del villaggio ma non ha fornito assistenza.

“Qui viviamo tra insediamenti illegali israeliani, dove i coloni vivono normalmente, mentre noi viviamo in quarantena domiciliare che offre loro il vantaggio di attaccare le nostre comunità, creando la sensazione di vivere in due mondi separati, anche se viviamo nella stessa area.

Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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