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Di cosa ci parla il caso Bo Xilai

 

Al centro del processo c’è il ruolo di Bo nell’insabbiare le indagini riguardanti l’omicidio del britannico Neil Heywood (che sarebbe stato commesso dalla moglie, a sua volta adultera nei confronti di Bo e per questo – secondo la sua “confessione” – costretta ad assassinare l’inglese), nonchè nell’essersi appropriato di ingenti quantità di fondi pubblici. Il caso fu sollevato dalla fuga dell’ex capo della polizia di Chongqing, Wang Lijun, al consolato americano di Chengdu, poiché lo stesso Wang temeva ritorsioni da Bo nel momento in cui stava indagando sulla moglie di Bo, Gu Kailai.

Ma dietro le accuse mosse a Bo, dietro i dibattimenti nella corte di Jenin, c’è un regolamento di conti interno alla nuova Cina guidata dal “principino” Xi Jinping; con costui che fa di temi come la lotta alla corruzione e ai privilegi, nonché dell’enfasi sulla coesione nazionale, le principali bandiere. E che ha voluto sfruttare il caso per dare una spallata decisiva ad una “nuova sinistra maoista” che era appunto impersonata da Bo e che rischiava ai suoi occhi di poter essere troppo aggressiva e destabilizzante di quegli “equilibri armoniosi” che devono governare il Dragone.

Come leggiamo da China Files, la sua amministrazione di Chongqing (32 milioni di abitanti) era fatta di “alloggi popolari, politiche sociali e lotta alla mafia; ma anche sms ai cittadini con citazioni dal libretto rosso e canzonette nostalgiche del periodo maoista in filodiffusione per le piazze della città.”

Un tentativo cioè di utilizzare l’immagine di Mao, la cui eredità simbolica è sempre più in gioco. Non certo però ai fini dell’emancipazione delle masse popolari, come si sarebbe detto qualche anno fa..bensì come veicolo di un neo nazionalismo, dall’impronta sociale e popolare, adeguato alle esigenze di coesione interna di una Cina pienamente immersa nella crisi globale e sulla quale spirano venti di guerra provenienti soprattutto dal Giappone guidato dall’ultranazionalista Abe.

Ma è proprio sulla nuova significazione della figura di Mao, e in generale sulla direzione politica da dare a questa Cina, che il gruppo di potere legato a Bo ha perso la sua battaglia nei confronti di quello rappresentato da Xi Jinping.

Interessante è sottolineare come questo processo, a differenza di tanti altri che si svolgono nelle corti del Dragone, sia stato sovramediatizzato e improntato alla “trasparenza”, per molteplici ragioni. Dalle principali emittenti mainstream fino a Weibo (il Twitter cinese) il processo a Bo si è trasformato in un caso nazionale, dalle tinte rosa e nere allo stesso tempo.

Dietro vi si leggono le contraddizioni interne al gruppo dirigente del PCC, in una Cina dove le tensioni sociali si contengono sempre più a fatica e dove la defenestrazione di Bo, rappresentante di una delle possibili nuove grand strategies per il Dragone e dotato di grande carisma e appoggio popolare, non è potuta essere liquidata come un tempo. A testimoniare ciò i diversi arresti effettuati nei confronti di manifestanti pro-Bo fuori dalla corte di Jinan.

Allo stesso modo però è stato le stesso gruppo dirigente cinese a volere questa sovramediatizzazione, sia per dare un messaggio chiaro agli oppositori politici interni ed esterni al Partito sia per respingere le accuse dall’Occidente riguardo ad un eventuale trattamento degradante nei confronti di Bo nonché sulla situazione dello Stato di diritto cinese.

Una vicenda insomma che ci parla di tutto ciò che si muove in questi mesi frenetici riguardo dalla Cina, mentre si avvicina il terzo plenum del comitato centrale del Partito dedicato al futuro dell’economia cinese; in molti hanno anche accusato il governo di aver sovramediatizzato il processo come diversivo riguardo a questo plenum.

Sebbene questa spiegazione non sembri in realtà convincente, visto il basso grado di dibattito pubblico interno riguardo a queste dimensioni, senza dubbio la spy story Bo Xilai ci parla di crescenti contraddizioni all’interno del Dragone..

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