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Difendere la terra

Hanno paura di girare non accompagnati o di rimanere da soli a casa quando fa buio. A casa loro, a scuola, nei negozi, sentono ovunque storie di fermi che durano ore, di persone che scompaiono e una parola fino a ieri sconosciuta: DNA.

Un bimbo di 5 anni gioca nel cortile di casa sua con il suo amichetto. Nel campo accanto pascolano dei maiali. Il bambino li indica con il ditino e dice al suo amico: “Sbirri maiali assassini”. “Cosa sono gli sbirri, mamma?”, chiede l’altro bambino. Questo tipo di dialogo è ormai consueto in Calcidica. Le fotografie di manifestanti lillipuziani, studenti in occupazione, magliette con la scritta “No all’oro” fanno il giro del mondo grazie ai media internazionali. Cosa sta succedendo, cos’è che ha fatto arrabbiare così tanto i ragazzini?

“Te lo dico io: arriva la compagnia e ti dice taglierò tutti gli alberi, inquinerò l’acqua, prenderò tutto l’oro e tu non avrai nulla. La polizia picchia tua madre e porta via tuo padre. Ti fermano per strada e ti chiedono dove hai preso la maglietta. Ecco che succede.” La quindicenne K.M. è una studentessa del I liceo. Una di quelle ragazze che la settimana scorsa hanno visto arrestare un loro compagno a Polìghiros. “Fino ad ora abbiamo imparato cosa sia un lacrimogeno e come correre per scappare dai MAT [celere, n.d.T.], ma anche che uno sconosciuto che ti si avvicina per strada non è un turista. E va bene. Ma andare a scuola e vedere che il tuo compagno di banco non è al suo posto? Quindi la prossima volta porteranno via anche i bambini dell’asilo? Per carità!” dice E.E.

Questa lotta  e i fatti degli ultimi giorni hanno influenzato il comportamento dei bambini: dai più piccoli ai più grandi, i bambini hanno paura di circolare non accompagnati o di rimanere soli a casa quando fa buoi. A casa loro, a scuola, nei negozi, sentono ovunque storie di fermi che durano ore, di persone che scompaiono e una parola fino a ieri sconosciuta: DNA. I cittadini fermati vengono spinti a dare campioni di materiale genetico, nonostante la legge stabilisca che questo può succedere solo se sono state formulate accuse a loro carico. Questo è capitato anche a C. L., studente 18enne: “Gli dico : ‘Voglio il mio avvocato’. E mi rispondono: ‘Dove credi di essere? Nell’ufficio del preside? Se non ci dai i campioni genetici, possiamo ricorrere alla violenza – è un peccato, sei un ragazzo giovane’. Tenevo la bocca chiusa, avevo stretto le labbra e provavano a forzarmi con il tampone ogni dieci minuti. Cosa potevo fare? Alla fine l’ho aperta. Dopo mi hanno fatto firmare una dichiarazione secondo cui avevano preso il campione con il mio consenso. Chi sono io per avere questo trattamento? Rambo? Non ho fatto nemmeno il soldato”.

“I ragazzi vivono una doppia paura”, dice la maestra d’asilo G.S. E lei, come gli altri tre educatori che ci hanno parlato, ha avuto paura di pubblicare i suoi dati personali (giustificando così lo slogan che urlavano i loro studenti la settimana scorsa fuori dal A.T. di Ierissos: “La nostra forma di governo è la democrazia, ma governa il terrorismo!”). “Hanno paura di vivere in un luogo distrutto, nel caso in cui proseguissero le estrazioni; e che la pace non tornerà più anche nel caso in cui si fermassero. Dopo il mio fermo, i bambini mi chiedevano: maestra, ti metteranno in prigione? E chi sarà la nostra maestra dopo?” dice G.S.

Stesso clima alle elementari (dimotikò), come ci racconta il maestro A.H.: “Durante la ricreazione giocano in piccoli gruppi di 2-3 bambini, con i loro fratellini e cuginetti; non ci sono grandi gruppi. Sono troppo piccoli per capire cosa succede esattamente e questo li spaventa ancora di più”. Al ginnasio e al liceo il clima è del tutto diverso, come spiegano i professori D. e G.: “E’ come se i nostri ragazzi fossero cresciuti improvvisamente in un anno. Si sono trovati all’improvviso nell’occhio del ciclone. Mostrano di avere una maturità e un autocontrollo da persone adulte. La cosa positiva è che – nonostante discutano in continuazione di queste cose – non esiste un clima di polarizzazione a scuola. Si vogliono bene tra loro, sia che i loro genitori lavorino nella compagnia sia no”.

Per tutti questi motivi, qui le stanze dei bambini e degli adolescenti non assomigliano alle altre: accanto ai poster di Pocahontas e di Plutarchos [un cantante, n.d.T.] trovi adesivi contro le miniere, fotografie di manifestazioni, slogan. Anche i dodicenni hanno un’opinione su ciò che sta accadendo nel luogo in cui vivono, come il ragazzino che mi si avvicina con un libro di educazione ambientale: “Qui dice che ‘l’acqua dolce è molto importante perché è fonte di vita per tutti gli organismi […] i polmoni del pianeta sono i boschi […] gli stabilimenti industriali utilizzano l’acqua e quando la scaricano nei laghi è piena di sostanze tossiche’. Ora capite perché diciamo no all’oro?”

Una giornata ideale per investire
“Il clima in Grecia è ormai ideale per investire” dichiarava Mercoledì scorso [il 27-2-2013, n.d.T.] da Ottawa il ministro degli esteri Dimitris Avramòpulos, che si è incontrato con il suo omologo canadese per parlare, tra le altre cose, di affari. Lo stesso giorno a migliaia di chilometri di distanza, a Salonicco, due ragazzi di 19 anni aprono alle 11 di mattina la porta dell’appartamento dove sono ospitati per pochi giorni di vacanza. Sette uomini in borghese e una donna mai visti prima (e che naturalmente non mostrano loro nessun mandato) chiedono loro di seguirli per “un giretto in centrale”.

La signora entra nell’appartamento e sveglia le due ragazze della compagnia. Le automobili entrano nel garage sotterraneo e da lì i ragazzi sono condotti da qualche parte “in alto” nella Direzione di Polizia. Gli hanno già preso i cellulari e così nessuno – né i genitori, né gli avvocati – sapranno per le prossime cinque ore e mezzo dove si trovano. Vengono condotti in camere separate. Dopo mezz’ora di attesa, il 19enne L. M. si trova per la prima volta faccia a faccia con i poliziotti che lo interrogheranno fino alle 8 di sera.

“Mi prendono per la maglietta e mi trascinano in un’altra stanza. ‘Perché mi avete portato qui? ‘, ‘Perché spacci droga’ mi rispondono e prendo la prima sberla. Era così forte che mi fischiava l’orecchio. ‘Dov’eri quella sera? ‘. Gli rispondo e prendo la seconda sberla. ‘Dì la verità, stronzo’.  È andata avanti così per 6-7 ore: mi facevano domande e dopo mi colpivano alla testa, alla nuca, alle guance. Ogni mezz’ora si fermavano e mi facevano stare in piedi con la faccia al muro. ‘Pensaci bene e dicci la verità, perché altrimenti ne prendi altre’, mi dicevano. Io chiedevo acqua…

Quando mi sono rifiutato di dare il mio campione di DNA sono entrati in 10, ho avuto paura che mi avrebbero picchiato ancora e così l’ho dato. Poi ho firmato un foglio in cui dichiaravo di non aver subito violenze. Dopo mi hanno portato in un’altra stanza dove un signore mi diceva di dire tutto quello che sapevo, perché il mio paese è diventato Zonianà e dovevo alleggerire la mia posizione e quella dei miei compaesani. Cosa gli dovevo dire, io non sapevo niente… allora mi hanno portato in un’altra stanza. Sono entrati 10 poliziotti e si sono messi ai quattro angoli della stanza. ‘Adesso giochiamo a ping-pong’ hanno detto, e hanno iniziato a tirarmi da un angolo all’altro mentre gridavano ‘Bastardo, vai a lavorare, anarchico’. Mi hanno lasciato libero alle 20.15. L’acqua non me l’hanno mai portata.”

Il Sabato a Megali Panaghìa, manifestazione–spot in favore delle miniere

Il “responsabile di produzione”, il “floor manager”, il “regista” hanno lavorato duramente. Lo “sponsor” era di prim’ordine. Anche se naturalmente la manifestazione – spot in favore delle miniere d’oro che abbiamo seguito Sabato a Megali Panaghìa ha avuto luogo grazie agli sforzi degli abitanti. Un enorme video-wall, microfoni senza fili, diretta Internet, megafoni, picchetti, manifesti eleganti, costosi striscioni sulle colline intorno: la scenografia della manifestazione era così “large” da sembrare esagerata: il rapporto abitanti-striscioni era inversamente proporzionale.

Il “floor manager” con il microfono senza fili in mano dava istruzioni per la scenografia ai circa 1.200 manifestanti, arrivati con 15 pullman: “La nostra gioventù venga avanti con gli striscioni”, “Su le mani”, “Fatemi un coro, per la miseria”. La folla non rispondeva con il dovuto entusiasmo, nonostante i suoi encomiabili sforzi, nemmeno quando Adonis Gheorghiadis è salito sul palco per salutare  (“Siamo noi che amiamo l’ambiente, non i signori di SYRIZA”), nemmeno quando è stata letta una lettera di supporto inviata dai rappresentanti parlamentari di Nea Dimokratia e del PASOK, Makis Voridis ed Evi Christofilopulu, né quando sono stati presentati gli agguerriti saluti del presidente del ΓΣΕΕ [Confederazione Generale dei Lavoratori Greci, n.d.T.] o quando è salita a parlare la “figlia di un minatore, moglie di un minatore e figlia di un minatore” [sic].

Altrettanto lodevolmente il manifestante con il gilet dell’AKTOR  [impresa edile, n.d.T. ] provava a comunicare entusiasmo con il megafono. Il surrealismo trionfava quando è salito sul palco il rappresentante dell’ Organizzazione per la Ricostruzione del KKE (perdonateci per esserci dimenticati il suo nome) a spiegare nei suoi 15 minuti di celebrità che gli sono stati concessi il motivo per cui “è un dovere di classe che gli abitanti dicano sì alle miniere: perché la classe lavoratrice esista, devono esistere le fabbriche”.

Tradotto da AteneCalling

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