Egitto: ancora scontri in piazza
Almeno 200 sarebbero i feriti degli scontri della scorsa notte nelle strade del Cairo quando alcune migliaia di manifestanti si sono dati appuntamento ancora una volta in Piazza Tahrir per manifestare contro il governo militare al potere.
Migliaia di manifestanti hanno deciso di spostarsi da piazza Tahrir verso gli edifici del Ministero della Difesa ad Abbassiya. Appena raggiunta la moschea di Nour il corteo ha dovuto respingere attacchi provenienti da più fronti: da una parte sostenitori del regime militare o, probabilmente, egiziani assoldati dal regime che hanno iniziato a colpire i manifestanti con molotov, coltelli e bastoni e, dall’altra parte, polizia ed esercito dapprima immobili e poi anch’essi all’attacco delle migliaia di manifestanti con colpi di arma da fuoco e gas lacrimogeni.
Gli scontri sono durati per diverse ore, fonti ufficiali parlano di almeno 200 feriti, molti sono stati gli arresti ed alcuni manifestanti sono stati portati via dai cosiddetti sostenitori del governo di Tantawi.
Le dinamiche della scorsa notte in piazza Tahrir fanno tornare alla mente la tristemente nota “battaglia dei cammelli” del 2 febbraio scorso, quando criminali fatti uscire dalle prigioni e pagati da Mubarak seminarono il terrore in piazza Tahrir a galoppo di cammelli e cavalli.
Gli avvenimenti di ieri si iscrivono in un periodo di forte mobilitazione: da due settimane, in seguito alla decisione di rilascio su cauzione di 10 poliziotti accusati di aver ucciso i manifestanti nelle giornate di gennaio e febbraio, ci sono manifestazioni a Suez, Il Cairo e Alessandria.
Le giornate sono accompagnate anche da grande tensione, basti ricordare il violento attacco al sit-in dei familiari delle vittime che chiedevano giustizia per i martiri della rivoluzione, o ancora gli scontri di venerdì notte quando alcune migliaia di manifestanti hanno marciato da Piazza Tahrir verso il quartier generale del Consiglio Supremo delle Forze Armate a seguito della repressione di Alessandria, dove in centinaia hanno tentato di bloccare le strade vicino al quartier generale del governo.
Accanto alla repressione violenta delle manifestazioni, un altro strumento molto usato dal regime militare è la criminalizzazione mediatica. E’ di pochi giorni fa il comunicato delle forze armate che identifica i manifestanti come ladri e criminali e il movimento “6 aprile”, uno dei principali movimenti egiziani che ha avuto un ruolo determinante nella rivoluzione, di essere un movimento sabotatore che aveva come unico scopo quello di dividere il popolo egiziano.
Il sentimento diffuso tra i giovani è che gli obiettivi della rivoluzione siano stati traditi; il popolo egiziano è ormai cosciente della propria forza, non si accontenta più dei “contentini” dati dal governo come il rimpasto governativo deciso dal primo ministro Essam Sharaf pochi giorni fa per placare le proteste dei manifestanti che da giorni si erano nuovamente riappropriati di Piazza Tahrir. Il popolo egiziano è ben consapevole che dalla caduta di Mubarak il cambiamento che c’è stato è stato solo un cambiamento di facciata: sono ancora attive le corti militari per i civili, la legislazione d’emergenza non è stata abrogata, giustizia ancora non è stata fatta per le vittime della repressione.
Intanto, fra le alte sfere militari da sempre vicine all’ex raìs Mubarak, non c’è alcuna intenzione di dare seguito alla promessa di essere un semplice “governo di transizione”. Di fatto le recenti mobilitazioni dimostrano che la partita rivoluzionaria in Egitto è ancora aperta e il popolo egiziano è tutt’altro che rassegnato a un finto cambio della classe dirigente.
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