Egitto, terzo giorno consecutivo di proteste. La polizia vieta il funerale di Shaimaa
Proseguono i cortei e le manifestazioni in tutto l’Egitto per commemorare il quarto anniversario della rivolta di piazza che nel 2011 portò alla deposizione di Mubarak. Le proteste iniziate domenica – proprio quel 25 gennaio in cui il raìs fu cacciato – ad oggi hanno provocato almeno 26 morti “ufficiali” negli scontri con l’esercito e la polizia del presidente Al-Sisi (che giustifica i suoi assassinii dicendo di sparare a terroristi islamisti), tra cui anche un bambino cristiano di 10 anni.
Il Ministero degli Interni ha inoltre annunciato che le forze di sicurezza hanno arrestato 516 persone in tutto il paese – tutte accusate di essere “elementi terroristici della Fratellanza musulmana” – dopo che lunedì nuovi scontri si erano verificati a Giza, Alessandria, Damietta, Fayoum, Beni Suef, Kafr Al-Sheikh e nel Nord Sinai.
Uno degli epicentri delle proteste è il distretto di Matariya, nella regione del Cairo, dove domenica 12 manifestanti sono stati uccisi e gli scontri con le forze di sicurezza sono proseguiti fino alla scorsa notte.
Nel frattempo, nella giornata di oggi è stato convocato un sit-in a Talaat Harb , nel centro del Cairo, luogo dell’assassinio dell’attivista Shaimaa Al-Sabagh, militante dell’Alleanza popolare socialista uccisa domenica dalla polizia mentre deponeva una corona di fiori in ricordo della rivoluzione. Nelle prime ore di questa mattina, infatti, la polizia aveva negato il funerale di Shaimaa in una moschea vicino a Tahrir, dopo che domenica una folla di migliaia di persone aveva partecipato ad una prima cerimonia ad Alessandria, città natale della giovane compagna.
L’uccisione di Shaimaa ha suscitato molte polemiche nei giorni scorsi, dopo che diversi testimoni oculari hanno accusato la polizia di avere utilizzato una forza eccessiva per disperdere la marcia pacifica che si stava dirigendo verso piazza Tahrir. Nel frattempo, il partito socialista ha tenuto diverse conferenze stampa in cui ha condannato il Ministero degli Interni per la brutale violenza utilizzata contro i manifestanti; a queste parole il ministro Mohamed Ibrahim ha ribadito negando le accuse e sostenendo che rispetterà i risultati delle indagini.
Nonostante le difficoltà e il pesantissimo clima repressivo messo in atto dalla macchina governativa – al cui comando si trova il regime militare del presidente Al-Sisi – una parte consistente della società egiziana continua dunque a scendere in piazza per rivendicare quei principi traditi con il golpe del luglio 2013, ed è plausibile che nei prossimi giorni assisteremo a nuove mobilitazioni in nome di quel 25 gennaio ormai così lontano.
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