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Genova 2001: spunti per la riflessione

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Proponiamo qui una riflessione sulle caratteristiche che ha assunto il movimento-evento di Genova luglio 2001. Per cercare di cogliere alcune peculiarità politiche in genere non considerate. Quando si guarda ai giorni della mobilitazione di massa contro il G8 molti preferiscono dare risalto agli atti di repressione operati dalle forze dell’ordine o alla cosiddetta “devastazione” della città. Il privilegiare questi aspetti che ci sono stati, ma non sono i più rilevanti politicamente, permette di trovare giustificazioni all’incapacità di comprendere gli aspetti essenziali di quei giorni di mobilitazione e di protesta radicale, impedisce di valorizzare le forme di insorgenza di massa che hanno espresso altissimi livelli di contrapposizione contro chi rappresentava le istituzioni e il dominio politico in un mondo economicamente  globalizzato  ma socialmente frantumato, discriminato e sfruttato.

Nel complesso a Genova luglio 2001  è emerso un chiaro rifiuto che ha visto crescere ed esprimersi una grande contrapposizione di massa   forte, spontanea non controllabile. Questa volontà sociale che si è tradotta in giornate di vera partecipazione e antagonismo hanno fatto saltare i piani di chi voleva governare la città per rendere infruttuosa la presenza di centinaia di migliaia di persone confluite nel movimento-evento da tutta Italia e da molte parti d’Europa. Chi gestiva le istituzioni non poteva impedire la presenza, ma mirava a far si che la partecipazione di così tanti giovani non assumesse aspetti di contrapposizione rilevante e a tale scopo aveva militarizzato una parte della città costruendo un fortino invalicabile che chiudeva la cosiddetta zona rossa. Il fine era ribadire l’avversità dei potenti alle istanze sostenute dal movimento contro la globalizzazione e il liberismo, impedire che i Capi di Stato fossero disturbati, che si ripetessero i blocchi dei lavori, gli assedi e gli scontri come era avvenuto da Seattle in poi in ogni città sede di incontri dei vertici internazionali. Non si voleva più tollerare che masse sempre più grandi di persone si mobilitassero e che la contrapposizione crescesse in altre città d’Europa. Contemporaneamente si era cercata una mediazione con chi voleva rappresentare o essere portavoce delle istanze e delle forze  più moderate inclini al dialogo per essere in qualche modo riconosciute e quindi imporre un’egemonia sul movimento.

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Ma le cose non sono andate affatto così! Sfuggita la situazione di mano agli uni e agli altri, la partecipazione spontanea, e la risposta all’intervento repressivo condotto con massicce cariche, con caroselli di  mezzi blindati che cercavano di travolgere la massa dei manifestanti nelle strade e nelle piazze affollate e resistenti, l’uso di elicotteri per scaricare lacrimogeni dall’alto sulla folla ha prodotto due giorni di scontri massificati che hanno resistito, fronteggiato e a volte anche attaccato le forze dell’ordine  che non sono state in grado di controllare razionalmente la situazione.
L’ingovernabilità della piazza ha dato vita a una reazione sconsiderata delle forze di Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Da qui l’uccisione di Carlo Giuliani, i pestaggi sui malcapitati che capitavano a tiro, e la ritorsione attuata, con pestaggi e torture, a evento ormai terminato con l’irruzione alla Scuola Diazi e nel carcere di Bolzaneto. Forzature decise e volute dalle forze di Governo e attuata dal Ministero dell’Interno e degli alti funzionari dello Stato che dirigevano la macchina repressiva messa in campo. Gianfranco Fini era a capo del dicastero ed era presente a Genova nelle sale operative.

Si può essere certi che le giornate del luglio 2001 sono state un momento di rottura e di contrapposizione con una portata politica e sociale enorme, hanno lasciato un segno nell’immaginario collettivo di chi lotta; così come, pur senza voler a tutti i costi accomunare ideologicamente insorgenze sociali differenti, gli scontri di piazza del luglio ’60, anche essi avvenuti nelle strade di Genova per impedire il congresso dell’MSI,  quelli di piazza Statuto del ’62 di Torino, a Valle Giulia ’68 di Roma,  a corso Traiano del ’69 di Torino,  al 12 marzo del ’77 di Roma.Sono trascorsi venti anni dall’evento e oggi la situazione è sicuramente diversa, importanti trasformazioni sono intervenute modificando scenari, rapporti di forza, aspettative e contesti, in entrambi i campi che allora si contrapponevano.
Si sono modificate e affinate le forme del dominio globale, sono emersi nuovi colossi capitalistici: Amazon, Apple, Facebook, Google, Microsoft, Netflix portando a significative ridefinizioni delle interdipendenze tra imprese multinazionali e organismi di governo sovrannazionali, ma anche influenzando e modificando profondamente il modo di vivere, le interrelazioni sociali, il consumo e le aspettative della maggioranza delle persone che popolano il pianeta.

Nel quadro internazionale dopo l’11 settembre, si sono intensificati i conflitti geopolitici, le potenze occidentali hanno acceso numerosi focolai, alcuni trasformatosi in guerre provocate e combattute per decenni Afghanistan e Siria. Dal 2008 si sono accelerate le destabilizzazioni economiche e sociali provocate da  crisi   finanziarie successive che non hanno trovato ancora conclusioni e rimedi effettivi, Il cambiamento climatico che sempre più destabilizza territorialmente e globalmente ambienti e condizioni di  sopravvivenza di una grossa parte della popolazione del  pianeta, le migrazioni che costringono milioni e milioni di persone ad abbandonare le zone depauperate. In ultimo, ma non per gravità, la pandemia scoppiata e diffusasi dal 2019 che ha messo drammaticamente, destabilizzando molti dei fondamenti e le certezze su cui si fondavano accentuando disequilibri che sorreggevano i processi di sfruttamento e di dominio del capitalismo globalizzato.
Socialmente sono intervenute importanti trasformazioni della riproduzione, della socializzazione,  della comunicazione,  sono cambiate le  modalità di consumo, le aspettative e le forme di erogazione del lavoro e delle retribuzioni, lo sviluppo ulteriore della tecnoscienza  ha generato potenti macchinari soprattutto comunicativi relazionali permettendo l’affinarsi di più potenti e condizionanti  reti  organizzative   che ridefiniscono i rapporti e le asimmetrie sicuramente a favore del capitalista collettivo, ma prendo anche nuovi spazi e possibilità per le ambivalenze che si ridefiniscono con differenti potenziali.
Localmente sono scomparse o si sono trasformate le forze politiche e sindacali, le realtà associative e i partiti istituzionali, ma soprattutto le forme di partecipazione sociale e di attivazione politica. I movimenti e gli eventi che sono emersi dopo l’esaurirsi del movimento no-global si sono collocati socialmente e politicamente in ben altro modo, praticando diverse territorialità e facendo emergere altre forme aggregative e di partecipazione a volte più ambigue ma sicuramente rinnovate.

Anche le attivazioni di massa in occidente, in Europa e nel nostro paese quando si sono date e costituite hanno assunto forme per esprimere contrapposizione e conflittualità anti-sistemica    molto diversificate basta osservare e riflettere sul movimento studentesco dell’Onda, su Occupy Wall Street sul movimento lotta contro la tav, il movimento del 9 dicembre, la protesta dei giovani di Fridays for Future, l’insorgenza di massa dei gilet gialli. Tuttavia tutte le contraddizioni sistemiche capitalistiche, accentramento delle ricchezza nelle mani di pochi super-potenti contro l’impoverimento e la precarizzazione generalizzata, espropriazione e concentrazione delle risorse con conseguente espulsione e distruzione di territori, sistemi ecologico-sociali esistenti,  che sono state le cause sottostanti contro cui il movimento no-global e contro il liberismo si è costituito e ha lottato persistono anzi sono implementate. Riflettere su Genova oggi come militanti autonomi e antagonisti, può servire allora non per guardare indietro, per celebrare mistificando e ignorando i problemi che lo scontro e i movimenti presentano, ma per riproporci la necessità che dobbiamo essere capaci sempre di leggere la potenzialità del possibile conflitto sociale, e pensare, spingere e agire perché questo maturi e si dia effettivamente.

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Il problema più grande si ripresenta costantemente: le soggettività individuali e collettive che si ripropongono in aggregati e forze politiche, non possono pensare di agire e influenzare i movimenti per riprodurre sè stesse. Per essere e crescere come soggettività alternative, antagoniste e rivoluzionarie devono sempre mirare a far si che il conflitto potenziale si dia, si estenda assuma qualità e indirizzi di rottura e di antistituzionalità. La contrapposizione politica nei movimenti può avere un senso e un significato solo se è chiaro che il “per sé” è per il conflitto, per la lotta massificata, per il movimento che in questa si dà, in altre parole per la classe intesa come parte che si soggettivizza contro, e non per la proposta/organizzazione che mira a produrre una sua egemonia su questo. La proposta/organizzazione deve sempre finalizzare il suo agire ad essere interna e ricompositiva e riproduttiva del conflitto e della contrapposizione per allargare, e con rotture successive, costruire forza, da veicolare contro il costrutto sistemico/istituzionale.
Gli eventi movimento no global sono stati compositi e diversificati, ma sempre capaci di far emergere dai territori in cui si proponevano le forze e le composizioni sociali non normalizzate, di raccogliere grandi partecipazioni che hanno proposto forti tensioni antistituzionali. L’idea della contrapposizione del “un altro mondo è possibile solo se lo si conquista con la lotta” è sempre stata presente e forte nei movimenti evento che si sono susseguiti.
Le tappe del percorso del movimento no-global contro il neo-liberismo sono note, meno compresi sono i caratteri peculiari che lo hanno definito; forse sarebbe importante, con una ricerca in tal senso orientata, analizzare, valutare, valorizzare i contenuti, le motivazioni, e in ultima istanza la politicità sostanziale intrinseca che questi eventi-movimenti ormai trascorsi hanno espresso. Attivazioni collettive che tentavano di affrontare problemi e contraddizioni ancora molto attuali per cui, anche oggi, non ci sono soluzioni predefinite.

 

Le tappe.

Le motivazioni del movimento scaturiscono da campagne di sensibilizzazione già affermatesi negli anni ’90; si rifiuta la sempre più incontrastata egemonia economica delle grandi multinazionali che, con l’accondiscendenza dei governi nazionali espandono i loro interventi e i loro interessi in modo sempre più invasivo in tutti i contesti sociale, ridefinendo produttivisticamente sistemi produttivi e di Walfare distruggendo con l’accelerazione progressive il potere di contrattazione e resistenza di lavoratori, piccole e medie imprese, agricoltori, popolazioni locali.

Sotto gli effetti devastanti di queste “espropriazioni” si consolida la volontà di opposizione al capitale e alla finanza globale, al potere smisurato di commissioni internazionali, questo connubio irresistibile di fatto diversifica al ribasso gli standard salariali ed estrattivi del pianeta, determinando così un impoverimento generale della popolazione mondiale nonché una progressiva verticalizzazione della politica.

Il primo appuntamento internazionale del movimento di opposizione al neo-liberismo avviene nel novembre 1999 a Seattle, decine di migliaia di dimostranti invadono la città in occasione della conferenza del World Trade Organization (Wto): nonostante venga dichiarano il coprifuoco, gli scontri di piazza sono fortissimi i manifestanti riescono ad interrompere il vertice.

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A Washington nell’aprile 2000 in concomitanza del G7 e delle riunioni del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale il movimento anti-globalizzazione mobilita decine di migliaia di persone si scontrano con la polizia che carica duramente i manifestanti per impedire che raggiungano i luoghi in cui si svolge il vertice. La guerriglia urbana dura fin che l’incontro non finisce.

Nel settembre è il momento di Praga, in occasione del nuovo incontro del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Nella città decine di migliaia persone, molte provenienti anche da tutta Europa, si scontrano con le forze dell’ordine locali: i fatti hanno risonanza europea.

Il mese successivo a Montreal si riunisce il G20 con i ministri finanziari e i governatori delle banche centrali dei venti paesi più industrializzati. Anche qui decine di migliaia di giovani e di cittadini scendono in piazza per contestare e possibilmente impedire e si scontrano con la polizia. La città è sconvolta dalla guerriglia.

A Nizza dal 7 al 9 dicembre si riunisce a Nizza il Consiglio Europeo, cioè il vertice dei capi di governo dei 15, anche questa è una buona occasione per portare in piazza nonostante il blocco delle frontiere decine di migliaia di manifestanti contestano duramente i potenti dell’Europa scontrandosi a più riprese con la polizia in assetto antisommossa.

Nel gennaio 2001, al Forum dell’economia mondiale di Davos il presidente statunitense Bill Clinton approva il Wto e loda la globalizzazione. Grande è la mobilitazione del movimento che si oppone al neoliberismo, partecipa anche José Bové.

A Napoli, in marzo si deve svolgere il vertice internazionale Global Forum, sotto la regia del ministro Bassanini più di quarantamila giovani affluiscono in città. Scontri durissimi tra manifestanti e polizia che si fronteggiano per un’intera giornata.

In aprile in Quebec Canada si ritrovano presidenti e governatori di Nord, Centro e Sud America si Trentamila dimostranti, contrari dalla possibile estensione del trattato di libero scambio Nafta si mobilitano e assediano il vertice. Anche qui gli scontri di piazza diventano incontenibili.

A Goteborg nel mese di giugno si svolge il Consiglio europeo dove si deve discute, tra l’altro, delle misure per salvaguardare l’ambiente. Gli scontri con i manifestanti sono molto duri: la polizia spara e due ragazzi rimangono feriti, di cui uno in fin di vita.

A fine luglio è la volta di Genova qui il movimento condensa tutta l’esperienza e la consapevolezza maturata nei precedenti percorsi.

L’ultima scadenza prima degli attentati alle torri gemelle dell’11 settembre.

I caratteri.

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Le aggregazioni delle soggettività collettive transazionali, che hanno dato vita al movimento no-global, si è realizzata nel tempo con il prodursi a catena di eventi urbani e metropolitani che si condensavano e trovavano modo di esprimersi e quindi assumevano visibilità, anche internazionale, nel produrre partecipazioni sociali temporanee finalizzate a realizzare momenti di contrapposizione ai vertici con mobilitazioni di massa ogni qualvolta la controparte capitalistica pubblicizzava incontri tra i capi di stato, summit economici, rettifiche di trattati e accordi tra potenze industrializzate in cui potenti della terra annunciavano di voler attuare svolte che avrebbero favorito un ulteriore sviluppo globale del sistema capitalistico.

Questi avvenimenti erano costruiti all’interno di metropoli, recepivano un grosso risalto sui media e ciò favoriva e accresceva la partecipazione che così diveniva capace di unificarsi sull’obbiettivo proposto.

In occasione del singolo evento si condensava una forza/presenza plurale ricca e composita, disponibile a confrontarsi che elaborava pensiero, posizioni e azioni ricomponendo e aggregando componenti e comportamenti anche eterogenee presenti e mobilitabili negli specifici territori e nazioni in cui avveniva l’evento; mentre contemporaneamente soggettivazioni locali o particolari si collegavano a reti diffuse costituite su particolari problematiche o in alcuni territori anche di altre nazioni e continenti. La valenza politica di questi processi si è data nella mobilità globale che hanno saputo assumere e nell’adattamento e affinamento delle forme di lotta praticate estesamente che ha reso incisive queste contrapposizioni di massa.

Ciò ha portato la controparte capitalistica e istituzionale a dover tentare di modificare continuamente la gestione dei territori metropolitani coinvolti, mettendo in atto delle strategie che non potevano che essere repressive, per rendere inadeguati o contenibili le forme complesse di partecipazione e i comportamenti di massa espressi.

Va sottolineato che questi movimenti ci sono rappresentati anche con differenze peculiari, a seconda delle nazioni dei territori e delle metropoli in cui avvenivano questi eventi. Ci sono stati tentativi e aspirazione a collegare, molto ideologicamente, popolazioni e esperienze sociali e locali differenti basti pensare all’Esercito Zapatista di liberazione nazionale del Chiapas e con prospettive diverse esperienze di aggregazione di massa non metropolitane, i produttori agricoliii mobiliti da Bovè, ma nella sostanza il movimento no-global è stato principalmente composto con le forze critiche, alternative e antagoniste presenti nell’occidente industrializzato.

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In prevalenza si aggregavano e si polarizzavano spezzoni di proposte politiche di forme organizzative già precedentemente definite o che erano capaci di mobilitarsi, ciò permise il formarsi sia di un punto di vista che raccoglieva differenti posizioni e diversi modi di organizzare e di considerare la contrapposizione. C’erano sicuramente differenze ideali e ideologiche che si contendevano a volte contrapponendosi e a volte integrandosi la presenza e l’egemonia in questi movimenti-eventi. I contributi più importanti sono stati apportati da gruppi e esperienze ecologiste, pacifiste, femministe, reti di volontariato alternative, sindacali, antagonisti, movimenti sociali e politici. Posizioni diverse e a volte in parte divergenti, ma uniformate e attraversate dal fatto di attingere tutte alla stessa composizione giovanili presente del mondo occidentale.

Se si analizza e si compara la catena di movimenti-eventi che si susseguono a partire da Seattle fino ad arrivare a Genova, si riscontra che sono più importanti i tratti che ricorrono che quelli che differiscono. Prevale sempre la necessità di contrapporsi con azioni che danno visibilità, ma che assumono anche un’efficacia specifica nel contestare la presenza dei grandi della terra. L’impegno è sempre stato tentare di impedire che questi Summit avvenissero o, laddove non era possibile impedirli, costruire un clima di estraneità e di opposizione in cui sicuramente le mobilitazioni erano la parte più importante ed emergente di indubbio valore politico. Si cercava di costruire una mobilitazione sociale ampia capace così di trasformarsi in manifestazioni di piazza che potesse essere riscontrata e amplificata dai media, e quindi comunicata e socializzata, come ostile, contraria, contrapposta ai processi di normalizzazione globale e al punto di vista capitalistico. La contrapposizione massificata visibile simbolica è stata la forza di questo ciclo di lotte fondato su eventi.

Nel movimento-evento confluivano le forze collettive presenti nei territori o nelle nazioni in cui si svolgeva l’evento e poi contemporaneamente si dava il coinvolgimento di soggettività individuali e collettive più politiche e determinate che si erano formate a livello internazionale che si ponevano la necessità e la volontà di essere presenti, di partecipare per comprendere e potenziare quanto avveniva dentro il momento di protesa e contemporaneamente a portare appoggio e forza alle differenti componenti che in esso agivano.

Al movimento no-global partecipavano differenti componenti anche diversamente schierate e collocate socialmente, ci riferiamo a percorsi di organizzazioni sindacali di lavoratori, movimenti e partiti politici che facevano riferimento a differenti posizionamenti ideologici critici e alternativi collocati nel sociale o istituzionalizzati e riformisti, trasformativi, anche reti di cattolici o di associazioni ambientaliste, che avevano finalità sociali particolari, tutti condividevano la necessità di partecipare attivamente e di contribuire a rafforzare la protesta, infatti i processi e trasformazioni globali influenzano e determinavano fortemente anche quelli che erano i terreni di intervento specifico di queste forme di aggregazione. Un’altra componente, presente che sicuramente ha assunto qualitativamente, per l’utilizzo di forme di contrapposizione più efficaci e dure, l’egemonia all’interno dei momenti reali di contrapposizione sono stati le aggregazioni politiche che ponevano l’antistituzionalità come tratto polarizzante e caratterizzante l’agire, anche soprattutto in forma di autoorganizzazione, di azione diretta, di presenza di contrasto attivo.

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Questa parte, composta prevalentemente da militanti giovani, autodefinitasi blocco nero era costituita da aggregati molto variegati e differenziati a seconda delle situazioni locali avevano riferimenti autonomi, internazionalisti, libertari, ambientalisti, riproponevano comportamenti sociali trasgressivi, radicali, simbolicamente di forte rottura che da anni si erano aggregati e diffusi all’interno di specifiche situazioni metropolitane ha avuto internità e continuità di presenza in tutte le scadenze del movimento no-global.

Il conflitto di piazza è l’elemento costitutivo e caratterizzante gli eventi-movimento no-global si è concretizzato come volontà sociale di esprimere sempre una presenza antistituzionale, gli scontri di massa agiti soprattutto da giovani manifestanti, l’attacco ai simboli del neoliberismo, siano esse le sedi in cui si svolgevano i vertici, le banche, i simboli delle multinazionali e quindi la contrapposizione alle forze dell’ordine che intervenivano e contrastavano è stato il tratto caratterizzante l’agire dei manifestanti, con diversa forza e modalità è emerso trasversalmente in tutti gli appuntamenti stabiliti sia nell’continente nord americano sia in Europa.

Tutte queste considerazioni, se sono veritiere ci fanno affermare che le giornate del luglio 2021 di Genova non è state un anomalia ma bensì un avanzamento un salto quantitativo nella partecipazione e qualitativo nella radicalità politica e anche nella capacità di ricomporre e di contenere tendenze diverse ma unificate nella volontà di contrapposizione. Se proprio si volesse cercare un anomalia scaturita dal conflitto datosi in quei giorni bisognerebbe soffermarsi sull’incapacità di alcune forze organizzate, l’atteggiamento delle “Tute Bianche” ma anche di spezzoni del sindacalismo di base è stato emblematico, di comprendere, prevedere e rapportarsi all’insorgenza spontanea e di massa che è emersa e ha caratterizzato quel conflitto sociale.iii

Come si è arrivati a Genova?

Nei mesi precedenti è iniziato un lungo e articolato lavoro di preparazione e organizzazione dell’evento. A livello locale e a livello nazionale numerose forze politiche e sociali si sono aggregate per dar vita a dei Social Forum. Questi erano momenti aperti di dibattito di confronto, in forma assembleare, appositamente costituiti per favorire e organizzare la partecipazione alla scadenza. In questi incontri periodici venivano dibattuti i temi e le problematiche che il movimento intendeva assumersi. Nei fatti sia localmente che a livello nazionale si diede una polarizzazione tra due macrocomponenti: una più moderata molto verbosa, ma anche capace di argomentare le posizioni sostenute composta dal mondo dell’associazionismo, del volontariato cattolico, la rete Lilliput, Attac Italia, forze politiche come Rifondazione comunista, spezzone del sindacato la Fiom aderì e partecipo al corteo internazionale del 21 luglio. L’altra nei proclami, più “radicale” egemonizzata dalla rete che si definiva “Disobbedienti” presenti a Genova come Tute Bianche, in cui prevaleva la componente veneta, sorretta da una importante rete di centri sociali. Questa componente aveva consolidato nel tempo una importante esperienza e capacità a proporre e produrre comunicazione simbolica di grande efficacia che utilizzava tatticamenteiv la potenza e l’accondiscendenza dei media. Collaterali a queste polarizzazioni erano presenti altre individualità capaci di proporre e motivare ragionamenti alternativi, componenti collettive coerenti nel sostenere motivazioni e atteggiamenti capaci di autodeterminarsi in propri contenuti e specificità come il blocco pink, sindacati di base e alternativi, reti di altri Centri sociali che non avevano intrapreso il percorso di istituzionalizzazione e che avevano già sostenuto le mobilitazioni di Napoli nella primavera precedente, aggregati libertari e anarchici.

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Col tempo emerse nei Social Forum una tendenza sostenuta da molte forze organizzate, a indirizzare se non a egemonizzare il dibattito e i lavori preparatori, ciò produsse una prima importante divergenza reale anche se non sempre ha assunto forme esplicite, ma evidente chi non si riconosceva nelle linee emergenti, parliamo di molti giovani non intruppati e di alcune componenti dissidenti incominciò a non legittimare e condividere gli indirizzi proposti e quindi a non sentirsi più di tanto vincolato alle decisioni prese.

Dunque mano a mano che si avvicinava la scadenza ogni componente tendeva a esprimere il proprio punto di vista per accrescere la mobilitazione. Ci fu un importante attenzione costruita dai media che sempre più dedicavano spazio a queste tematichev. La cosa andò in crescendo spinta anche dalle affermazioni velleitarie del portavoce delle Tute Bianche che virtualmante dichiarava che nell’evento di Genova ci sarebbe stata battaglia. A ciò seguirono esagerazioni giornalistiche e dichiarazioni miste di timore e fermezza espresse dai responsabili istituzionali e dai dirigenti delle forze dell’ordine. Tutto ciò favori l’attenzione e le aspettative sull’evento e convinse decine di migliaia di giovani sia italiani che europeivi, a partecipare ed essere presenti e attivi alla mobilitazioni di luglio a Genova.

Cosa è successo a Genova?

Lungi da noi la volontà di riproporre una cronaca dettagliata degli avvenimenti ci interessa pero ricordare alcuni tratti salienti che hanno caratterizzato socialmente e politicamente quelle giornate.

Dall’inizio della settimana incominciano ad affluire a Genova le persone che intendono partecipare ed essere protagoniste dell’evento. In un primo momento ci si dedica ad affrontare i problemi logistici e organizzativi che non sono pochi come collocare e come gestire la presenza di decine di migliaia di persone. La città di Genova aveva concesso alcuni spazi che si mostano comunque insufficienti. A partire da martedì incominciano a svolgersi gli appuntamenti calendarizzati. Si trattava soprattutto di eventi musicali, incontri e momenti di dibattito che avvengono in forma assembleare o seminariale. A questi partecipano anche numerose associazioni e personaggi anche stranieri, che in qualche modo vogliono contribuire un discorso contro il liberismo e in opposizione al vertice programmato. Contemporaneamente incomincia, da parte delle forze dell’ordine e delle istituzioni, la separazione degli spazi della città e la costruzione della zona rossa. Le forze di polizia dispiegano il dispositivo che militarizza l’intero territorio. Sono decine di migliaia i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri e gli agenti dei servizi impegnati. Nella città ligure si intensificano i controlli alle autostrade, alle stazioni e all’aeroporto. Dalla giornata di mercoledì diventa operante il blocco della città.

Il social forum di Genoa aveva stabilito che dovevano svolgersi 3 giornate di mobilitazione. La prima giovedì prevedeva un corteo dei migranti. Si voleva in questo sottolineare l’influenza delle scelte del neoliberismo sullo spostamento di grosse masse di persone che erano costrette ad abbandonare i territori in cui erano nati in cui erano vissuti a causa delle scelte economiche di depauperare vaste zone del cosiddetto terzo mondo soprattutto dell’Africa dell’America Latina ma anche dell’Asia.

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La giornata di venerdì 20 era dedicata alle Piazze tematiche, per questo erano stati fissati dei punti di ritrovo all’interno dei quali le diverse componenti avrebbero espresso le loro posizioni e costruito forme di lotta in contrapposizione ai lavori del vertice. Quella era anche la giornata scelta per le iniziative che in qualche modo dovevano rappresentare la violazione delle imposizioni poliziesche. Sabato doveva prevedere invece la partecipazione più ampia, con il corteo internazionale che doveva raccogliere tutte le componenti confluite a Genova per esprimere la contestazione e la contrapposizione alle decisioni attuate dal vertice degli otto grandi della Terra.

Già giovedì si vede una partecipazione di massa imprevista al corteo degli immigrati: decine di migliaia di persone confluiscono nella manifestazione, grandiosa per slancio e partecipazione pacifica.

Quello che colpisce è il modo di fluire dei partecipanti, completamente spontaneo, non raggruppato in spezzoni distintivi di posizione o di appartenenza. Si trattava di un fluire continuo di persone che percorrono la città seguendo l’itinerario stabilito fino a raggiungere il lungo mare. Si capisce immediatamente che la partecipazione di massa e la spontaneità sarebbe stata la cifra che avrebbe caratterizzato anche le altre giornate.

Venerdì giorno delle piazze tematiche. Si comprende subito, già dal mattino, che sarebbe stata una giornata conflittuale. Nei giorni precedenti numerosi partecipanti raccolti in piccoli gruppi avevano cercato di contestare e di violare simbolicamente la zona rossa, nella notte tra mercoledì e giovedì chi gestiva l’ordine pubblico della città decise di rafforzare il dispositivo predisponendo lungo tutto il percorso tutto il perimetro che definiva la zona rossa un ulteriore rafforzamento degli sbarramenti con il posizionamento di container che sostanzialmente costruivano un muro artificiale invalicabile che divideva la città in due. Completamente controllate e gestite alle forze dell’ordine, le porte di entrata e di uscita che dovevano permettere ai residenti di spostarsi. Il resto del territorio è completamente militarizzato.

Numerosi gruppi, anche consistenti, si avvicinavano alla alle barriere in qualche modo esprimevano il loro dissenso. In questa guerriglia virtuale, anche con performance significative, erano attivi soprattutto i componenti dei gruppi alternativi come i Pink che poi confluirono anche all’interno delle manifestazioni che si allargavano all’interno della città non presidiata.

Nella tarda mattinata di giovedì cominciano un affluire masse di manifestanti che volevano partecipare alle piazze tematiche, in particolare i network antagonisti che, con i COBAS, si radunano nei pressi di piazza Da Novi. Dopo poco si unisce il corteo che si era formato raggruppando il blocco nero.vii Si forma così uno spezzone consistente e gli antagonisti incominciano a muoversi all’interno della città. È una componente numerosissima composta soprattutto da giovani che, muovendosi, sanzionano i simboli del neoliberismo,  distruggendo alcune vetrine di banche, filiali di Assicurazioni sedi di multinazionali o di imprese. il corteo tenta di snodarsi nella città fino a che intervengono nutriti plotoni delle forze dell’ordine che, con l’uso di lacrimogeni e di cariche, provano a disperderlo. A questo punto i manifestanti incominciano con sassaiole e bottiglie molotov. La polizia, sorpresa dalla risposta, continua con cariche di alleggerimento spingendo il corteo fino a quando a un certo punto riesce a spezzarlo dividendo le sue componenti in due parti. Una di queste – in cui erano presenti soprattutto esponenti e le forze organizzate dai Cobas e dai sindacati di base – viene spinta e seguita verso il mare, altri gruppi sparpagliandosi e riunendosi ripetutamente continuano a percorrere le vie cittadine, continuando con vari attacchi simbolici. In questo percorso viene toccato anche il carcere di Marassi e qui c’è, sempre simbolicamente, il sanzionamento con la rottura di alcuni vetri e il tentativo di sfondare il portone principale. Poi il corteo si dirige nuovamente all’interno della città.

La divisione in gruppi impedisce alla polizia di costruire un efficiente controllo della situazione. A più riprese vengono bersagliati mezzi delle forze dell’ordine e piccoli plotoni rimasti isolati. In molte strade vengono erette barricate con l’utilizzo di auto presenti, di cassonetti e di altri suppellettili urbani che sono rimossi e incendiati. Ma già nella mattina e nel primo pomeriggio si erano verificati fatti significativi, più di una volta erano stati presi di mira blindati delle forze dell’ordine E in almeno due occasioni questi sono fermati, circondati e  assaltati dai manifestanti. Gli appartenenti della polizia trovandosi isolati avevano deciso immediatamente di abbandonare i mezzi e di scappare velocemente a piedi inseguiti, ma senza molta determinazione, dai manifestanti presenti.

Questa forma di conflitto prosegue e si estente in molti quartieri per diverse ore.

Nel frattempo le Tute Bianche decidono di anticipare la partenza del loro spezzone. Anche perché diventa sempre più evidente che la giornata sta prendendo una piega diversa da quella prevista.

Il loro spezzone, molto consistente, organizzato scenicamente, incomincia a sfilare scendendo dallo stadio e percorrendo una direttrice che porta a imboccare via Tolemaide. Il corteo si trova a percorrere vie in cui erano presenti carcasse di barricate, macchine che ancora bruciano.

La tensione comincia a salire fino a quando un consistente gruppo di carabinieri improvvisamente carica la testa del corteo dei disobbedienti. Questo sconvolge lo spezzone, perché gli organizzatori avevano concordato un “impatto” formale in un altro luogo nella cittàviii.

La testa del corteo dei disobbedienti non regge all’impatto con le cariche dei Carabinieri si sfalda e le tute bianche incominciano ad arretrare sempre su via Tolemaide. Tuttavia, a più riprese, le cariche continuano. A questo punto tutte le componenti e tutti i manifestanti presenti nella città, compresi i giovani del blocco nero, confluiscono indipendentemente dalle posizioni politiche per contrastare e rispondere alle cariche della polizia e delle forze dell’ordine. Emerge così una forte rabbia di massa che spontaneamente contrasta l’avanzata dei plotoni, rispondendo ai caroselli dei blindati e dei mezzi anfibi portati in piazza dalla polizia, contrapponendosi al lancio d’acqua degli idranti e dei lacrimogeni che nel frattempo erano incominciati anche a piovere dal cielo lanciati da elicotteri della polizia. Il movimento spontaneo resiste più di un’ora in via Tolemaide e nelle vie adiacenti. Gli scontri sono violentissimi la contrapposizione molto massificata. Si vedono momenti in cui i manifestanti arretrano, in altre situazioni i manifestanti avanzano mettendo in seria difficoltà le forze dell’ordine che alcune volte sono costrette anche a arretrare per non dire ad abbandonare il terreno. In questo susseguirsi di andata e ritorno si produce quello che poi porterà ai fatti di Piazza Alimonda: un plotone di carabinieri viene messo in fuga dai manifestanti, due mezzi dei carabinieri rimangono fermi e isolati, un carabiniere spara e uccide Carlo Giuliani.

Quando si diffonde la notizia che è un ragazzo è stato ammazzato colpito da un proiettile cresce lo sgomento e la rabbia, continuano gli scontri e le contrapposizioni fino al tardo pomeriggio di venerdì mentre nel frattempo lo spezzone dei disobbedienti decide di arretrare e di ritornare allo stadio Carlini.

Non è importante tanto scendere al dettaglio dei fatti accaduti già ampiamente descritti e analizzati da altri. Quello che va sottolineato è che in questa giornata si espresse una conflittualità altissima. Una conflittualità data dalla partecipazione spontanea di massa di decine di migliaia di giovani che erano conflitti a Genova e che, indipendentemente dalle formazioni ideologiche di appartenenza, decisero di contare e di rispondere alle cariche delle forze dell’ordine e di non scappare. La situazione era ormai uscita dal controllo sia nella polizia sia degli organizzatori della protesta.

La valenza politica di questa protesta fu significativa perché mise in luce come una forte disponibilità antagonista e antistituzionale stava prevalendo all’interno del movimento no global.

La giornata di sabato vide poi una immensa partecipazione, sicuramente alla manifestazione parteciparono più di centomila persone confluite da tutta Italia.

Si riproposero scontri importanti in risposta alle provocazioni e alla militarizzazione delle forze dell’ordine, ma gli effetti di questi contrasti furono meno nefasti. La polizia non decise di ripetere le cariche del giorno precedente, grazie anche all’immensa partecipazione di massa e al fatto che le forze dell’ordine non poterono che contenere e contrastare anche da lontano i gruppi che si contrapponevano e che agivano violentemente all’interno della città. Si continuò ad utilizzare gli elicotteri per gasare i manifestanti, numerosi furono i pestaggi operati nei confronti di partecipanti inermi alla manifestazione la polizia cominciò così a vendicarsi del fatto che le era stato impedito il controllo e l’esercizio dell’ordine pubblico all’interno della città non militarizzata dalla zona rossa.

La cronaca ci consegna l’incredibile volontà di vendetta delle istituzioni “democratiche” nei confronti dei manifestanti che si erano fermati a dormire nella scuola Diaz e quanto avvenne nel carcere di Bolzaneto. Tuttavia quello che è prevalso in quelle giornate è la forza spontanea di massa che ha saputo esprimere comportamenti consapevoli di resistenza e di antistituzionalità.

Il dopo Genova.

g8 1 copia

A partire dalla giornata di venerdì incominciarono i distinguo pubblici per criminalizzare anche dall’interno alcuni spezzoni di movimento. Le dichiarazioni, al limite della delazione, operate anche dai portavoce delle tute bianche e di alcuni esponenti del sindacato di base.

Una parte della verità emerse: quasi nessuno pagò.

Col passare del tempo si seppe furono picchiati anche giornalisti che riprendevano le violenze, avvocati che assistevano i fermati, infermieri medici che prestavano i primi soccorsi ai feriti.

Anche sui giornali incominciarono ad emergere notizie e testimonianze fotografiche che smentivano quanto affermato dalle dichiarazioni formali delle forze dell’ordine e dei responsabili delle istituzioni.

Nelle settimane seguenti fu messo fu attivato un’ampia rete di soccorso e di controinformazione rispetto a quanto era accaduto anche di sostegno delle persone arrestate, delle persone ferite e dei giovani stranieri che in qualche modo trovarono difficoltà a rientrare all’interno di loro paese.

Ciò che successe Genova ebbe un risalto internazionale senza precedenti. L’intera stampa internazionale si soffermò su quanto era accaduto e sul trattamento che avevano avuto tanti. Nonostante tutto, chi governa non prese mai le distanze da coloro che, nelle istituzioni, avevano deciso e diretto le forze dell’ordine. Tutto questo sostenne l’ipotesi che in realtà ci fu un via libera politico all’azione repressiva.

Altra storia che andrebbe narrata è la perdita di egemonia sociale nonché la parabola politica di chi non seppe e non volle valorizzare l’antistituzionalità di massa che si era espressa in quelle giornate.

Ma quello che è importante, anche a anni distanza dai fatti, è di ribadire che l’importanza di quanto accaduto non va ricercata nelle azioni repressive pure pesantissime e infami, ma nella capacità spontanea di massa di costruire un percorso antagonista antistituzionale. Questo, pur cresciuto e sviluppatosi spontaneamente, rimane come indicazione per chiarire che a livello di massa non ci fu mai compromesso, mai accordo con gli ambiti istituzionali e che la protesta fu sempre genuina e fondata sulla contrapposizione e sul rifiuto di quanto il neoliberismo e il sistema capitalistico persegue.. Un atteggiamento e una convinzione che emerse successivamente e che conquisto altri spazi e altre lotte, una tra tutte il movimento no tav. Guardiamo al presente partendo da un passato ricco e memorabile, ma consapevoli che qui e oggi abbiamo la necessità di costruire un futuro che ne sia un degno seguito.

 Vedi anche il VIDEO https://www.infoaut.org/precariato-sociale/genova-2001-un-momento-in-cui-non-si-poteva-non-esserci-video

i La scuola Diaz e una palazzina li adiacente fu presa come simbolo da colpire perché era diventa la sede temporanea in cui si erano stabilite le strutture e i collettivi autorganizzati che fornivano i principali supporti tecnici al movimento: informativi, Indymedia, giornalisti freelance, i fotografi e i videoperatori, radio Gap un raggruppamento temporaneo di radio antagoniste (Onda Rossa Roma, Blackout Torino, Radio Onda d’Urto,  Radio Ciroma Cosenza, Radio Città Fujiko, agenzia Amisnet, Radio K Centrale Bologna); i Legal team degli avvocati e dei giuristi, la struttura sanitaria di intervento composta da Medici, infermieri e sanitari del movimento. Inoltre era diventato il punto di riferimento d’indirizzo delle comunicazioni, con traduttori e assistenti logistici per le delegazioni provenienti dall’estero.

ii Confédération Paysanne

iii Anche 20 anni dopo l’incomprensione persiste, nulla si è ragionato per comprendere che tipo di composizione sociale e politica era emersa da quei movimenti, e che potenziale antagonista spontaneo si è lasciato disperdere per perseguire percorsi di sostanziale istituzionalizzazione delle proposte politiche che fino ad allora erano risultate tatticamente, per capacità e tenuta organizzativa tutta interna, maggioritarie. La riproposizione che è sempre la repressione (o atteggiamenti “esterni agli interessi” del movimento in questo caso l’agire del blocco nero) la causa da additare per coprire le proprie inadeguatezze progettuali e di comprensione della situazione e della composizione sociale trovano ancora una volta conferma in quanto sostenuto da Negri in “Da Genova a domani” e nel volume Gli autonomi – Vol. IX I «padovani». Dagli anni Ottanta al G8 di Genova 2001

iv Per sopperire a una sempre più evidente difficoltà di costruire radicamento in contesti sociali determinanti e che porta progressivamente a sopperire all’assenza di conflitto reale e di presenza territoriale con la proposizione di una conflittualità simulata e virtuale capace di emergere solo nei media e quindi costitutiva di un’identità e di una autorappresentazione funzionale alla sopravvivenza del gruppo. Problema su cui tutti dobbiamo ragionare e ricercare rimedi effettivi.

v Anche con una determinazione competitiva probabilmente tutta interna alle logiche comunicative dei media che tendono in particolari momenti a rilanciare notizie e servizi che attirano l’attenzione del pubblico per sottrarre spazio ai diretti concorrenti.

vi Vennero all’evento migliaia di giovani baschi, greci, tedeschi, francesi, inglesi e numerose furono le delegazioni provenienti anche dai paesi del nord e dell’ est Europa.

vii È ormai risaputo che alcuni centri sociali antagonisti del nord avevano stretto condiviso azioni con le componenti anarco-libertarie delle stesse città in cui erano presenti per unificare le forze e rendere più incisive le proteste, ciò si era già avvenuto in occasione della manifestazione di Torino seguita alla morte in carcere di due compagn* accusati di azioni no tav: Sole e Baleno. Il blocco nero era sostanzialmente composto da antagonisti italiani e giovani stranieri confluiti a Genova per sostenere la protesta no-global. Ciò si era già dato anche a Praga e a Nizza.

viii Il questore Francesco Colucci (questore di Genova durante il G8, rimosso dal ministero dell’Interno dopo gli scontri), ascoltato dalla commissione parlamentare d’indagine sul G8, millantò (di questo non si ha certezza) che c’era un accordo con Casarini, il leader delle Tute Bianche, per una “sceneggiata”, interpretata dai media come una violazione della zona rossa simbolica e controllata.

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