Grecia. Sanità in crisi: quando a prendersi cura dell’altro è la lotta!
Come l’austerità trasforma la sanità pubblica in un bene di lusso
“La crisi finanziaria si è trasformata in crisi umanitaria, che non può e non deve lasciare indifferente nessuno e che non deve concludersi con la perdita di vite umane” terminava così una preoccupata missiva indirizzata all’ONU dall’associazione dei medici d’Atene. Ma in Grecia di crisi si muore già da un pezzo e le prospettive di vita per la popolazione sono ormai di gran lunga inferiori dalla media europea. Effetto delle così dette riforme imposte dai memorandum che hanno letteralmente raso al suolo il sistema sanitario pubblico, trasformato in circa 2 anni in un costosissimo oggetto di mercato. Si inizia nei primi mesi del 2010 con il 60% dei tagli contenuti nella manovra tutti rivolti alla sanità: tagli al sistema dei turni degli ospedali e ai salari del personale, diminuzione delle operazioni e delle cure mediche mentre la richiesta di visite aumentava del 25%, apertura e promozione di ambulatori privati. E grazie alla legge Xenagiannakopùlu la possibilità di chiudere un ospedale tramite una semplice decisione ministeriale.
L’assalto alla sanità continua tra il settembre 2010 e l’aprile 2011 con il ministro Lovèrdos che alza il costo dei ticket e poi decide di introdurre il pagamento intero di tutte le cure a spese del cittadino se sprovvisto d’assicurazione sanitaria privata o di qualche pezzo residuale di copertura welferistica. Arrivati nell’ottobre del 2011 gli ospedali da 137 sono già stati ridotti a 83: migliaia di nuovi disoccupati della sanità e 4500 posti letto in meno. Ad essere colpite per prime sono le strutture di assistenza e cura psichiatrica, le infrastrutture previdenziali e l’ekàv, il sistema nazionale delle ambulanze. Poco prima delle recenti elezioni con altri decreti d’aggiustamento il governo ha venduto 556 letti attrezzati del sistema pubblico ad assicurazioni private, e irrigidito il sistema di ricovero in base alla categoria di diagnosi e di terapia del paziente (che in altri termini significa aggravamento delle condizioni di salute e morte per chi non può permettersi una celere e costosa diagnosi della patologia), per finire con l’introduzione di un’amministrazione comune per ospedali pubblici e privati.
Nei fatti in due anni il 30% della popolazione greca tra disoccupati, lavoratori part-time, precari, lavoratori in nero e chiunque non riesce a versare ogni due mesi 870euro per mantenere il libretto sanitario non accede più all’assistenza medica e non gode del diritto alla salute. Per loro non c’è nessuna assicurazione privata e il libretto sanitario è un lusso che non possono più permettersi. Con una legge sono stati anche equiparati i farmaci con indicazione di principio attivo a quelli di “marca”, entrambi a carico del cittadino assicurato o meno. Più di 250 farmaci mancano dal mercato o sono pressoché introvabili, soprattutto antibiotici, farmaci contro l’ipertensione, antidepressivi, contro il cancro, e anche i vaccini per i bambini (come ad esempio per la meningite, la difterite e il tetano). Infiammazioni, infezioni polmonari o intestinali, trombosi o parkinson non si curano o leniscono più con i famosi Voltaren, Klacid , Clexan, Pulvo, Seroquel, Mirapexin, Submicort e solo chi può permetterselo li ordina via internet da qualche farmacia online facendoseli spedire da Londra in 24h con un corriere privato. Ormai una semplice colocistectomia che prevede un ricovero di 3 giorni costa 1350euro, un parto costa 900euro, o una vittima di un incidente stradale standard per un ricovero di 20 giorni dovrà sborsare come minimo 7900euro. Se non si è in possesso di un reddito semplicemente si non viene più curati, oppure la pratica ospedaliera viene immediatamente trasmessa all’ufficio delle entrate.
Dall’ospedale di Kilkìs alle lotte di domani
“La situazione non è solo tragica, qui si va verso il genocidio!”, l’ha dichiarato Leta Ziotàki, direttrice del reparto di radiologia dell’ospedale di Kilkìs e da 15 anni presidente dell’associazione dei medici della regione, dopo aver raccontato di che tragedia si tratta quando un medico deve scegliere chi tra i pazienti avrà la possibilità di usufruire dei pochi micro-ematocriti a disposizione nell’ospedale o quando ci si accorge che l’AUSTRALIAN ANTIGEN (antibiotico per evitare l’epatite B da inoculazione) non c’è più, è finito!
Anche Leta Ziotàki come tutto il personale ospedaliero durante gli anni 90 e i primi del 2000 è stata messa alla gogna mediatica da parte dei diversi governi che additavano nei lavoratori del pubblico impiego tutti i mali della società greca definendoli come “pigri” e “fannulloni”, esaltando le straordinarie opportunità che avrebbe goduto la società tramite le privatizzazioni “dove solo la qualità del servizio detta la regola”. Eppure dal 2010 la società greca ha compreso quale imbroglio si nascondeva dietro quelle campagne politiche e culturali contro la sanità pubblica visto che ormai non sono più rare le famiglie che scoprono con orrore la propria figlia firmare dopo il parto per uscire alla ricerca dei 900euro da rendere per il servizio ospedaliero un tempo gratuito.
Da circa due anni le lotte dei dipendenti del sistema pubblico sanitario si sono fatte di giorno in giorno più dure e incisive: dalle lettere al ministro ai primi scioperi di qualche ora, fino ad arrivare agli scioperi di 48 ore, ma poi “ci siamo resi conto che i modi classici di protesta non bastavano più nelle condizioni in cui eravamo” racconta Leta Ziotàki durante un suo intervento ad una assemblea del 16/3/2012, aggiungendo che “ in un periodo di guerra e di governi sovra-nazionali (rispettivamente crisi economica e Troika, ndr), i mezzi di lotta conosciuti non bastano, c’è bisogno di autogestione e di azioni ben organizzate tra loro”, e così “lavoratori e lavoratrici dell’Ospedale di Kilkìs ci siamo riuniti in assemblea per prendere le nostre vite nelle nostre mani. Abbiamo risposto al loro fascismo con democrazia, autodeterminazione, uguaglianza e giustizia. Abbiamo usato le forze a nostra disposizione!”. E su 600 dipendenti in 300 hanno costruito l’occupazione: “ogni giorno ci dividevamo in gruppi e andavamo alle casse facendo evitare alla gente di pagare il ticket e il resto del costo del servizio […] Abbiamo occupato anche il protocollo impedendo per tre settimane che fosse registrata qualsiasi attività compresi i licenziamenti”. Così l’ospedale di Kilkìs è stata la prima grande esperienza di occupazione ed autogestione di una struttura sanitaria da parte dei dipendenti in conflitto contro i governi della crisi. Dopo decine di scioperi generali e in piena stagione di memorandum in questa città nei pressi di Salonicco si è realizzata una straordinaria esperienza di lotta che è riuscita a mettere insieme le capacità e i saperi del personale ospedaliero, divenuto protagonista del complessivo esercizio di cura e assistenza dell’altro, all’urgenza della battaglia contro i tagli sia dei salari che del welfare. Nel quinto punto della prima dichiarazione hanno scritto: “I lavoratori presso l’ospedale generale di Kilkis rispondono a questo totalitarismo con la democrazia. Occupiamo l’ospedale pubblico e lo mettiamo sotto il nostro controllo diretto e assoluto. L’ospedale di Kilkis, d’ora in poi sarà autogovernato e l’unico mezzo legittimo del processo decisionale amministrativo sarà l’Assemblea Generale dei lavoratori.”, esprimendo e praticando un rifiuto netto delle istituzioni dell’asuterity, e appropriandosi di un istituzione decisiva della riproduzione sociale liberata dalle frontiere del reddito, del genere e del colore della pelle come volevano le forme di criminalizzazione della povertà attuate dai governi contro i precari e le precarie sia indigeni che migranti. [Leggi l’intero documento tradotto in italiano]
Non è un caso se negli ultimi mesi sono fiorite ad Atene, Salonicco, Patrasso, Creta, e altre città numerosi ambulatori, consultori e farmacie sociali: mentre l’FMI, la BCE, la UE e il governo dell’austerity con i tagli alla sanità della nuova spending review hanno già condannato a morte e malattie migliaia di uomini e donne, nei conflitti sociali stanno emergendo forme di contro-istituzioni, certo non ancora sufficienti, ma che indicano la possibilità non solo di resistere ai cavalieri dell’Apocalisse in giacca e cravatta della Troika ma anche di sottrarre i condannati a morte al loro destino. Il prendersi cura dell’altro è terreno di lotta e alterità alla crisi capace di assestare un duro colpo all’ideologia dell’individualismo neoliberista, e mentre il governo dell’austerità lavora per criminalizzare ancora più duramente le povertà e Alba Dorata urla fino a strozzarsi “sangue greco ai greci, a noi!”, i movimenti hanno un anticorpo quanto mai liberogeno da difendere e sviluppare.
su twitter @fulviomassa
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