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Guerre in Medio Oriente, brindano le industrie belliche

Guerre e conflitti che dilaniano la regione più tormentata del mondo sono una miniera d’oro per le industrie belliche, non solo quelle statunitensi.

di Manlio Dinucci*

Roma, 1 novembre 2014, Nena News – Appena un anno fa – con il ritiro di truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan e gli annunciati tagli al budget militare – i grossi azionisti delle industrie belliche statunitensi vedevano nero sul futuro dei loro profitti. Ora però, con le operazioni militari del Pentagono in Siria e Iraq e il nuovo confronto con la Russia, il futuro è tornato radioso. Il 23 settembre, primo giorno degli attacchi aerei in Siria, due navi Usa hanno lanciato 47 missili Tomahawk, ciascuno del costo di 1,4 milioni di dollari, distruggendo impianti petroliferi e altre installazioni siriane con la motivazione che erano in mano all’Isis. Pochi giorni dopo la Raytheon, produttrice dei Tomahawk, si è aggiudicata un contratto di 251 milioni di dollari per la fornitura di altri missili e le sue azioni sono salite del 4% in meno di un mese, mentre l’indice generale di Borsa è sceso nello stesso periodo del 2%.

Aumenti analoghi o superiori hanno registrato le altre maggiori contrattiste del Pentagono: la Northrop Grumman + 4%, la General Dynamics + 4,5%. Le azioni della Lockheed Martin, che produce tra l’altro i missili Hellfire sempre più usati dai droni Reaper della General Atomics, hanno registrato un aumento record del 9,5%. La stessa Lockheed ha varato il 18 ottobre la settima nave da combattimento litoraneo (Lcs) che, dotata di alta manovrabilità e capacità di navigare su bassi fondali, può avvicinarsi alle coste nemiche per lanciare attacchi in profondità. Poco prima, in aprile, era stata consegnata alla U.S. Navy la prima delle 10 navi da assalto anfibio della nuova classe America, da cui possono decollare anche i caccia F-35B della Lockheed. Ottime notizie per il business bellico anche sul fronte spaziale. Il 10 ottobre la General Dynamics ha sperimentato il collegamento, tramite il sistema satellitare Muos (di cui una delle quattro stazioni terrestri è a Niscemi), tra un aereo in volo sul Pacifico e una base negli Usa con una capacità di tramissione dieci volte superiore alla precedente.

Il 14 ottobre, la U.S. Navy ha installato il sistema d’arma Aegis della Lockheed (di cui sono dotate già 74 sue navi da guerra) nella base Deveselu in Romania, che diviene la prima base terrestre (la seconda sarà in Polonia) dello «scudo» missilistico Usa in Europa, dotata di un radar Spy-1 e di una batteria di missili Sm-3: questi – assicura il Pentagono – «non avranno capacità offensiva ma solo quella di intercettare missili balistici lanciati da paesi ostili» (con chiaro riferimento anche alla Russia, che dovrebbe fidarsi della parola del Pentagono che quelli in Romania e Polonia non saranno missili per l’attacco nucleare).

Il 17 ottobre, è atterrato alla base Vandenberg in California, dopo essere rimasto 22 mesi in orbita, l’aereo spaziale robotico X-37B fabbricato dalla Boeing. Lanciato con un razzo nello spazio, l’aereo (lungo 9 metri e pesante 5 tonnellate) è in grado di rientrare autonomamente alla base. Quale sia la sua missione è top secret, ma vi sono fondati motivi per ritenere che esso sia progettato per mettere fuori uso i satelliti nemici, prima di lanciare un attacco nucleare, o anche per trasportare armi nucleari nello spazio. Vanificando la promessa dell’amministrazione Obama di ridurre il budget militare, il Pentagono dichiara che, poiché «gli Stati uniti devono restare in grado di proiettare la propria potenza in aree dove ci viene negato l’accesso e la libertà di operare, manterremo un vasto portafoglio di capacità militari». Continuerà così a gonfiarsi, con centinaia di miliardi di dollari travasati dalle casse pubbliche, il portafoglio dei boss dell’industria bellica. Nena News

*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

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