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Hezbollah-Israele: nuova guerra o risposta tattica?

Era dall’attacco israeliano nei pressi di Quneitra, il 18 gennaio, dove perirono Jihad Mughnyah (figlio di Imad, storico capo militare Hezbollah, morto in un’esplosione a Damasco nel 2008, probabilmente opera del Mossad), e altri membri high-ranking di Hezbollah, insieme con un generale dei Pasdaran iraniani (Mohammed Ali Allahdadi), che il mondo intero si aspettava la reazione del Partito di Dio libanese.

Ed eccola puntualmente arrivata stamani, dopo dieci giorni esatti: 6 missili anti-tank Kornet 9M133 (di cui 3 hanno colto l’obiettivo) hanno ucciso (almeno) 2 soldati israeliani, e ferito una decina. Il tutto è avvenuto nei pressi del Mount Dov, in quella zona che prende il nome di Fattorie di Shebaa, nel Golan occupato, nel 1967, e annesso illegalmente (per il diritto internazionale), da Israele nel 1981.

Conviene ricordare che Israele si é ritirato dal sud del Libano, che occupava illegalmente da più di 15 anni, nel 2000, e che questa mossa politica, utilizzata poi a fini elettorali dall’allora primo ministro Ehud Barak, non venne considerata “portata a compimento” dalla controparte libanese, in quanto lo Stato ebraico decideva di continuare a controllare (a suo dire per motivi di sicurezza) le suddette Fattorie di Shebaa. Da allora in avanti sia Hezbollah, forza preponderante nell’alveo politico (e militare) libanese, sia altri attori del paese dei cedri, che fossero essi filo-USA o filo-panarabi, hanno considerato “capitale” liberare quella parte di terra. Sono ancora vive nella mente dei libanesi le parole dell’ex presidente della Repubblica Michel Suleiman: “Il conto alla rovescia per liberare il resto della nostra terra è incominciato. E oggi affermo solennemente che ogni mezzo é lecito e legittimo per raggiungere questo obiettivo.

 

Quale risposta? Israele nel pantano siriano, tra Iran, Siria, Hezbollah e al-Qaeda

Nonostante molti analisti avessero speculato sulla risposta Hezbollah all’attacco israeliano del 18 gennaio, e avessero sottolineato la presunta incapacità del movimento sciita di libanese di reggere 2 fronti di guerra aperta (Siria-Golan e, appunto, Libano del Sud-Shebaa), oggi Hezbollah sembra aver risposto.

Già prima del 18 di gennaio Nasrallah, segretario generale dell’organizzazione, neanche tanto velatamente aveva fatto comprendere la potenza di fuoco Hezbollah contro Israele. La paranoia era già scattata nel nord d’Israele all’idea che il movimento sciita avesse avuto la capacità di invadere addirittura l’intera Galilea, nonché di colpire con una profondità strategica mai vista prima (il tweet più digitato in Libano in queste due settimane è stato #PrepareYourShelters….).

In un crescendo di dichiarazioni, Israele decideva di intervenire, almeno indirettamente, nel conflitto siriano, uccidendo una serie di senior-members di Hezbollah nei pressi di Quneitra.

Questo attacco, a detta di molti analisti d’intelligence israeliani, e di alcuni giornali liberal (come Haaretz), avrebbe fatto il gioco dei qaedisti di Al-Nusra, i cui combattenti, impegnati nella guerra contro le forze dell’Esercito Arabo Siriano di Assad, controllano una parte di frontiera del Golan sul lato siriano.

C’è chi si è addirittura spinto a sostenere che Nusra e Israele collaborino in qualche maniera, con i primi nel ruolo di milizia che fornisce servizi d’intelligence allo stato ebraico, sullo stile dello SLA1, e Israele in cambio fornisca loro training militare e armi. Ma queste sembrano letture forzate, anche se, come è ben evidente nel caso di collaborazionismo Turchia-Daesh (ISIS) a Kobane, e non solo, sono calcoli di realpolitik a guidare le élite di potere, e non certo considerazioni di morale….

Quel che invece é certo è che, se fino all’attacco del 18 gennaio, l’approccio israeliano nei confronti del conflitto siriano sembrava improntato al low-profile, dopo aver ucciso uno dei comandanti in capo come Jihad Mughnyah e il generale Allahdadi, uno degli uomini del plenipotenziario generale di brigata delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane Qassem Soleimani2 la situazione sembra capovolta.

Non è ancora chiaro se Israele avesse la reale intenzione di uccidere Allahdadi, ma è facile assumere che lo Stato ebraico fosse a conoscenza che in quel convoglio ci fosse un gruppo di persone impegnato nella progettazione e nel coordinamento della trasferta di forze Hezbollah verso i confini del Golan siriano (verso la città siriana di Dara’a, in mano ai ribelli siriani).

In tal modo Israele avrebbe rotto quella finta-intesa con l’Iran per il non-intervento dello Stato ebraico nel conflitto siriano. Nella misura in cui Israele non fosse intervenuto direttamente contro il regime di Assad, ma avesse preferito una strategia di basso profilo che implicava solamente il bombardamento delle linee di rifornimento Hezbollah (azione con una certa legittimità internazionale) in Siria, l’Iran non avrebbe risposto3, né tantomeno lo stesso Hezbollah.

Ma il 18 gennaio Israele ha rotto lo status quo, cambiando le carte in tavola e trasformandosi, almeno per il momento, in un obiettivo.

 

Reazione Hezbollah: eye-for-eye

Ed ecco quindi l’attacco Hezbollah, volto a ristabilire la deterrenza verso lo stato ebraico, e a sottolineare come il balance-of-power del conflitto siriano stia ancora in mano all’Asse della Resistenza.

Dal 18 gennaio, come detto, molti analisti avevano smussato la capacità di risposta Hezbollah.

La principale ragione risiedeva nel fatto che lo stesso Iran, principale rifornitore di armi a Hezbollah, disapprovasse un nuovo aumento della tensione tra l’organizzazione libanese e Israele. Tutto ciò alla luce dei colloqui sul nucleare con gli Stati Uniti, e anche per non far venire meno quella cooperazione sul campo tra USA e Repubblica Islamica contro il Califfato.

Inoltre lo stesso Hezbollah sarebbe stato frenato nel rispondere a un tale attacco, poiché incapace di giustificare operazioni nelle zone del confine Siria-Golan con il suo ruolo di attore politico volto alla Resistenza libanese contro Israele. Lo stesso fatto di operare nei pressi del Golan siriano, e il rischio di portare il Libano in una guerra, avrebbero dunque minato la legittimità del movimento sciita agli occhi dei libanesi, in grado sì di comprendere, almeno in parte, l’intervento Hezbollah in Siria a difesa delle comunità sciite e cristiane dall’estremismo sunnita nelle zone dei confini est tra Siria e Libano (Qalamoun, Yabroud…), ma non di capire operazioni militari in zone a maggioranza drusa (come il Golan).

Di contro, risultava chiara fin da subito che Hezbollah non poteva lasciare passare sotto silenzio la morte di cinque suoi membri tra i più prominenti, ma, allo stesso tempo, sembrava altrettanto certo che avrebbe esitato ad agire in modo da impigliarsi in un confronto su larga scala con Israele.

Furbescamente Hezbollah ha fatto notare, tramite un messaggio convenuto al comandante UNIFIL di stanza nel sud del Libano, come il suo attacco fosse una risposta a quello israeliano del 18 gennaio, e di come il movimento sciita abbia lanciato il suo attacco al di là della Blue Line (al di fuori del Libano), in maniera tale da de-legittimare un’eventuale risposta israeliana su larga scala come nel 2006 (bombardamenti a tappeto del Sud del Libano e dei quartieri sud di Beirut).

La domanda è: ora cosa farà Israele? Per ora ha risposto con altri missili lanciati in territorio libanese vicino a Kfar Chouba, e un militare spagnolo della forza internazinale Unifil è morto.

Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha parlato di una violazione della sovranità territoriale, e Tsahal ha preso anche di mira postazioni dell’esercito siriano nei pressi del confine Golan-Siria. Ma Netanyahu è stato prontamente smentito dal think thank israeliano INSS, che ha parlato invece di “un atto proporzionato, seguendo la legge dell’occhio per occhio, in risposta all’attacco del 18 gennaio”.

E’ chiaro dunque come la stessa tattica Hezbollah di colpire al di là della linea Blu, dall’interno delle fattorie di Shebaa (un commando emerso da un tunnel??), e dunque non da territorio libanese (evitando così il coinvolgimento delle zone sud e di Beirut come nel 2006?), tolga il terreno da sotto i piedi di Israele. Non sembra perciò probabile, per lo stato ebraico, e per Netanyahu, che è impegnato in campagna elettorale, sostenere una grossa campagna militare, dato che si tratta di un territorio conteso, di confine, un’area di 25 km quadrati che é sempre stato al centro del confronto con Hezbollah.

“In generale, ciò che accade in Shebaa, rimane in Shabaa”, ha detto stamani il generale israeliano Ziv, utilizzando il nome arabo per il territorio di confine.

Vedremo se i falchi invece torneranno a volare in Israele….

____________

 

NOTE

1South Lebanon Army. Esercito mercenario composto da libanesi che, durante gli anni della guerra civile libanese, fungeva da milizia al soldo di Israele

2Per capirci, quello che durante gli scontri tra milizie sciite e esercito USA in Iraq, nel 2008, inviò un messaggio al generale americano Petraeus, sottolineando di essere in controllo di tutti gli interessi iraniani in Medio Oriente…

3 La stessa leadership iraniana sembra rimanere fedele alla separazione tra i negoziati strategici con gli Stati Uniti, e, dall’altra, quello che avviene nel contesto tattico della guerra siriana. La stessa dichiarazione che “la risposta [all’attacco israeliano] sarebbe giunta a tempo debito” é una dimostrazione del pragmatismo di Rouhani e delle élite delle IRGC attuali

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