Il caso Huawei e la guerra non solo commerciale tra Usa e Cina
Per chi segue l’attualità politica internazionale, i report sull’esito del G20 argentino affermavano in coro una considerazione. Ovvero che la cena di lavoro tra Trump e Xi ai margini del meeting avesse sancito una tregua tra Usa e Cina. I due paesi sono da mesi impegnati in una guerra che riguarda gli ambiti commerciale e tecnologico, alcuni dei nodi andavano sciolti proprio in Argentina.
Ai margini del G20 i due paesi sarebbero dunque stati in grado di stemperare le tensioni, attraverso accordi sulla ripresa del commercio tra i due paesi, sullo stop temporaneo ai dazi, sul contrasto al traffico internazionale di droga. Ma un nuovo elemento irrompe in questo quadro, mettendo a repentaglio questa narrazione. Viene infatti arrestata in Canada Meng Wanzhou, la direttrice delle operazioni finanziarie di Huawei, nota azienda cinese di elettronica e secondo produttore mondiale di smartphone.
Teoricamente, Meng sarebbe stata arrestata perchè la sua compagnia avrebbe violato le disposizioni americane che vietano esportazioni verso l’Iran. Le quali sarebbero state aggirate, sin dal 2016, attraverso particolari giochi bancari. Ma ovviamente, questa è solo una spiegazione ufficiale dell’arresto.
Il caso Huawei in controluce non mostra solo la difficile tenuta della tregua, minata alla base subito dopo essere stata raggiunta. Ci informa anche dell’ampiezza dello scontro tra Usa e Cina, sbrigativamente definito come relativo al solo commercio. La realtà è che c’è una sfida in corso per il dominio nel campo dell’innovazione tecnologica, vale a dire nella capacità di appropriarsi dei profitti del futuro, ovvero del sale della competizione capitalistica. In questo, i progressi cinesi nel campo dell’intelligenza artificiale si mischiano a quelli nello spionaggio.
E qui entra in gioco Huawei. Negli ultimi mesi infatti si sono intensificati i report da paesi come Australia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, oltre ovviamente agli Usa stessi, sul fatto che Hauwei potesse agire come testa di ponte cinese in pratiche di spionaggio. Anche il Giappone a breve dovrebbe stoppare le sue relazioni con Huawei. Per alcuni senatori americani repubblicani, Huawei sarebbe addirittura una spia del governo cinese mascherata da operatore telefonico.
Non a caso molte compagnie occidentali attive nello sviluppo delle reti 5G hanno di recente escluso Huawei da partnership finalizzate allo sviluppo delle reti stesse. La paura è che la Cina possa inserirsi all’interno di quelle reti attraverso quelle che sono chiamate in termine tecnico backdoors, ovvero punti di accesso da remoto.
Siamo dunque nel campo della cybersicurezza, un ambito che però non riguarda solo dimensioni informatiche ma anche temi quali la libertà di accesso all’informazione. La polemica dei lavoratori Google rispetto al possibile ritorno dell’azienda nel mercato cinese ne è una prova.
Intendiamoci, nessun doppio standard di pensiero è concesso qui. Gli Stati Uniti, magari con meno clamore, da sempre utilizzano le stesse tecniche di spinoaggio in campo industriale, per non parlare di quello in ambito politico. Do you remember lo scandalo Prism/NSA? Per non parlare poi del ruolo svolto dai cosiddetti GAFA (Google, Amazon, Facebook, Apple) nel raccogliere dati sulle abitudini e i sentimenti della popolazione mondiale, e nel girarle quando servono alla Casa Bianca.
Ciò che conta qui dire però è che in termini di competizione intra-capitalistica globale, la Cina è arrivata ad un punto critico della sua ascesa. In campi come la robotica, il trasporto automatizzato, la logistica, il Dragone oggi è all’avanguardia, e in procinto di divenire egemone all’interno della competizione capitalistica per il controllo di questi settori. Un rischio enorme per gli Usa, che da sempre fonda il suo dominio anche sulla sua primazia tecnologica. Non a caso da mesi Washington cerca di mettere i bastoni tra le ruote a Pechino. Oggi con l’attacco a Huawei, ieri con la simile operazione condotta ai danni di ZTE. Questa è un’altra compagnia cinese del settore tlc a cui gli Usa hanno imposto qualche mese fa un blocco all’acquisto di semiconduttori fondamentali per i suoi prodotti, poi rimosso.
In conclusione, possiamo che dire – per assurdo – le parole di Trump, che ha affermato di non esser a conoscenza dell’arresto di Meng, potrebbero essere anche sincere. Del resto, è anche a livello di strategia di lungo periodo degli apparati, che va oltre i singoli presidenti e le loro inclinazioni, che si sviluppano e decidono politiche e gli assetti del mondo del futuro. E lo scontro tra Usa e Cina, per la stessa articolazione capitalistica globale, è qui per restare.
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