Il Kazakistan è davvero pacificato?
Il tema dell’aumento dei prezzi del gas e delle materie prime è diventato centrale e trasversale geograficamente negli ultimi tempi.
In Kazakistan qualche mese fa alcune proteste sono scoppiate proprio per questa ragione ed avevano portato a un bilancio di 164 morti tra i dimostranti e 18 tra le forze dell’ordine, oltre 8000 arresti, oltre tre miliardi di danni economici dovuti agli scioperi, al blocco delle comunicazioni e dei trasporti e per i danneggiamenti. Dopo agitazioni e rivolte durate quasi una settimana – soprattutto grazie all’intervento delle truppe dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto) – il presidente Qasym-Jomart Toqaev è riuscito a riprendere il controllo della situazione e ha promesso anzi che entro la fine del mese di gennaio quest’ultime verranno ritirate completamente dal paese.
Ad oggi le testate internazionali parlano di pacificazione del Kazakhstan ma proprio per la dimensione di questi eventi e per la loro interconnessione geopolitica, ci chiediamo se sia davvero possibile parlare di pacificazione e in che termini, se sia corretto identificare queste lotte come di una classe operaia che si è ribellata e se la forte presenza femminile all’interno della manodopera kazaka abbia avuto un ruolo importante nell’impedire la proliferazione del fondamentalismo islamico.
Ne abbiamo parlato con Maurizio, ricercatore sul Kazakistan.
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