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Informazione e manipolazione sulla “crisi siriana”

Da più di un anno stiamo così assistendo al precipitare della situazione interna dello stato siriano, nei decenni scorsi famoso per l’immutabile “normalità” mantenuta col bastone dell’esercito e il lavorio costante dei servizi segreti interni ma anche da una redibistruzione dei proventi del transito del petrolio e dalle buone relazioni storiche con Mosca (una normaliità in fondo comoda anche al vicino nemico israeliano).

Dall’inizio di questa “Crisi” non manca settimana che i media occidentali non parlino delle “orribili violenze perpetrate dall’esercito contro la popolazione civile inerme”. Senza escludere la brutalità del mantenimento dell’ordine entro uno stato fondato e mantenuto militarmente (ma con particolari concause storiche che andrebbero sempre tenute presenti), e senza vedere in Assad jr. il paladino di un nuovo e improbabile fronte anti-imperialista, bisogna rilevare senza tentennamenti che prove (perlomeno dubbi) di una profonda intromissione occidentale e qaedista (e sì, possono andare insieme, Libia docet) dentro lo sconcassamento attuale. Nessuno dimentica i massacri di Assad padre contro le città di Homs e Hama (non ci dimentichiamo neanche del massacro dei palestinesi a Tall-El-Azar se è per questo) ma è indubbio che diverse incongruenze su come ci vengono raccontati i fatti iniziano ad essere palesi. Già lo scorso anno diverse ricostruzioni alla moviola mostravano come alcuni video caricati su youtube di presunti scontri avvenuti in Siria, erano in realtà filmati di spari e repressioni consumate invero entro i confini israeliani. Ogni settimana sentiamo parlare di centinaia,  a volte migliaia di vittime civili, senza che nessuno mostri mai qualcosa di più di immagini mosse e dalla provenienza dubbia. E’ vero che la fermezza siriana esercita una censura inmparagonabile con le “democrazie” occidentali ma è altrettanto vero che la media war viene costantemente praticata da queste ultime contro gli ostacoli di turno che l’Occideente intende abbattere. La “sollevazione” siriana ha seguito a catena le rivolte arabe dello scorso anno ma, a differnza di Egitto e Tunisia e similmente alla Libia, l’entità dello scontro si è subito misurata in termini miliatri, con armamenti copiosi e l’indubbia presenza di un’intenazionale jihadista. Bisogna tenere a mente anche le guerre balcaniche degli anni ’90 e degli attori che vi presero parte, ricordandoci come lo smembramento di forti aggregati nazionali sia un interesse di lungo corso dell’imperialismo occidentale (specie in tempi di pesante dis-artciolazione causata dalla globalizzazione e dalla sua crisi recente). Stiamo attraversando una fase storica foriera di profondi e violenti cambiamenti. In questo divenire, ognuno gioca le sue carte. Una sana avversione per le tesi complottardedi chi vede dietro ogni sussulto politico-sociale nel terzo mondo la mando degli Stati Uniti non deve comunque farci dimenticare che anche questi soggetti sono all’opera, perseguono i loro fini e posseggono mezzi e capacità superiori alle nostre e dei tanti compagni che possiamo riconoscere in ogni rivolta contro l’assetto esistente. 

Notizie di arresti di decine di istruttori militari francesi e inglesi in territorio siriano vengono sistematicamente ignorate dai media di casa nostra. Bisogna fare lo sforzo di consultare l’informazione un po’ più  est (Russia e Asia) per scoprire che questi fatti sono realmente accaduti. A questo proposito, publichiamo qui di seguito questo interessante contributo proveniente da alcuni italiani che vivono in Siria, circolato di recente in rete e ora pubblicato dal quotidinao della Cei (L’Avvenire). Non lo prendiamo per oro colato ma ci sembra interessante rilevare come le notizie di “massacri di cristiani” in giro per il mondo vengano spesso iper-mediatizzate anche in contesti molto più turbolenti e problematici mentre una loro testimonianza in loco da un paese in fondo molto più vicino venga bellamente ignorata.

 

«I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare»

Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.

Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.

Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.

Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.

Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime? Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.

Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.

Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.

Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?

Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.

Un gruppo di italiani che vive in Siria
(Testo raccolto da Giorgio Paolucci)
Pubblicato su: http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/i-ribelli-ci-uccidono.aspx

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