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Irlanda del Nord: condannata una militante repubblicana

Tra questioni irrisolte e repressione del dissenso, come procede in Irlanda del Nord? In mancanza di chiarimenti da parte degli “addetti ai lavori”, cerchiamo di orientarci.

di Gianni Sartori da Osservatorio Repressione

Per un certo numero di “addetti ai lavori” il dramma irlandese (soprattutto lo sciopero della fame del 1981) ha rappresentato se non proprio il fondamento di una carriera (libri, articoli, consulenze, partecipazione a convegni, dibattiti, trasmissioni radiofoniche…), perlomeno un buon trampolino di lancio. Giornalisti e scrittori soprattutto, ma anche operatori turistici “alternativi”, quelli che vi portano a vedere i murales.

Sia di Destra (vedi i soi-disant “terceristi” nostrani) che di Sinistra (qui andiamo già meglio, in genere c’è stata buonafede, perlomeno inizialmente). Oltre a una vasta schiera di non classificabili (in genere provenienti da Destra, ma talvolta – saggiamente e proficuamente – approdati a generiche posizioni progressiste, magari impregnate di cattolicesimo che per l’Irlanda non guasta mai). Salvo poi commentare in maniera vergognosa (schizofrenica?) altre lotte di liberazione (come tutte, quella irlandese compresa, non certo prive di ombre e contraddizioni). Vedi per es. le lodi sproporzionate a un’opera discutibile come “Patria” sulla questione basca.

Grazie anche al contributo di tali personaggi, a Bobby Sands e compagni era toccato in sorte (loro malgrado presumo, erano tutti giovani proletari, gente comune) il ruolo di icona (di “santino”).

Invece su coloro che, magari sbagliando, a Belfast e a Derry hanno creduto di dover procedere su quella stessa strada (per la riunificazione dell’Isola, per l’autodeterminazione e magari, se non è chiedere troppo, per il socialismo) anche dopo gli accordi del Venerdì Santo (firmati nel 1998 da Tony Blair e Bertie Ahern), è calato il velo impietoso dell’oblio (o peggio). Nella più benevola delle ipotesi, abbandonati al loro destino di sconfitti della (o dalla?) Storia.

Riepiloghiamo. Recentemente (febbraio 2023) l’Unione europea e il governo di Londra avevano messo a punto un accordo sulle modalità di applicazione del protocollo per l’Irlanda del Nord (teoricamente in vigore dal 2020). Con la dichiarata intenzione di evitare che – dopo la Brexit – si ricostituisse una frontiera fisica per la libera circolazione delle merci in Irlanda.

Accordo poi approvato ufficialmente dagli Stati membri della Ue il 21 marzo 2023. E di questo ne siamo tutti contenti, ma forse qualche contenzioso è destinato a rimanere ancora aperto.

Come sembrerebbero indicare alcuni segnali, qualcuno di bassa intensità (ordinaria amministrazione). Come in questi giorni la rimozione forzata parte della polizia nordirlandese (la PSNI, erede della RUC) dei cartelli a sostegno dell’Ira (posti – si ritiene – da militanti di Saoradh) nelle aree repubblicane di Derry (in particolare a Creggan, il quartiere di Patsy e Peggy O’Hara). Mentre questo avveniva, gruppi di giovani esprimevano il loro dissenso lanciando pietre sui mezzi della PSNI. A cui viene anche rinfacciato di non aver agito con la stessa determinazione quando si trattava di rimuovere i simboli unionisti, compresi quelli inneggianti alle bande lealiste UVF e UFF.

Altro segnale (un messaggio agli “irriducibili”?) l’arresto avvenuto il 18 maggio di una militante repubblicana, la sessantacinquenne di West-Belfast (principale enclave del proletariato cattolico-repubblicano) Perry Fionnghuale Perry, conosciuta anche come Nuala.

Già condannata in giovanissima età per la sua militanza, ora Perry viene accusata di aver raccolto informazioni e di averle messe a disposizione dei dissidenti della Real IRA. Il processo, senza giuria, a suo carico si era svolto in marzo per concludersi con la condanna. Per l’accusa avrebbe ricopiato (fotocopiato?) alcuni documenti di un rapporto in merito al recupero di armi da fuoco da parte della polizia. Documenti rinvenuti nella sua abitazione nel febbraio di cinque anni fa durante una perquisizione.

Certo in fondo si tratta di piccole cose. Ben più rilevante (e a mio avviso preoccupante) la recente dichiarazione del portavoce per gli affari esteri del Sinn Fein con cui si ribaltava una presa di posizione storica. Di fatto, la rinuncia (temporanea? Definitiva?) all’impegno (più volte ribadito in passato, anche come promessa elettorale) di ritirarsi dall’accordo di difesa comune dell’UE (Pesco) e dal progetto Partnership for Peace (PIP) della NATO.

Ancora un segno dei tempi?

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