Israele blocca la Saoirse e la Tahrir
Unità da guerra israeliane hanno fermato e abbordato le due imbarcazioni di Freedom Waves, “Saoirse” e “Tahrir” partite due giorni fa dalla Turchia e dirette a Gaza city con l’intento di rompere il blocco navale della Striscia. Secondo i media israeliani non ci sarebbero stati feriti o violenze ma la notizia non ha ancora avuto una conferma dagli attivisti a bordo che, presumibilmente, sono stati tutti arrestati. Sono queste le notizie che arrivano dalle acque internazionali a poche miglia dalla costa di Gaza. Le comunicazioni con le due navi pacifiste – che hanno a bordo 27 attivisti e giornalisti e materiale sanitario per 30mila dollari – si sono interrotte e non è ancora chiaro se la “Saoirse” e la “Tahrir” vengano ora trainate verso il porto israeliano di Ashdod. Poco prima di essere fermate le due imbarcazioni delle Freedom Waves avevano respinto l’intimazione giunta dalle navi israeliane di invertire la rotta o di dirigersi verso i porti egiziani. Subito dopo i comandi militari israeliani hanno dato l’ordine di fermare la mini-flotilla. Manifestazioni in sostegno delle Freedom Waves e contro l’azione di forza compiuta da Israele sono previste stasera nei Territori palestinesi, in Italia e in altri paesi.
Intanto Ankara ha smentito le notizie di stampa secondo cui le due imbarcazioni salpate due giorni fa dai suoi porti, sarebbero state scortate da navi da guerra turche. Il governo turco è stato pesantemente ammonito da Dipartimento di stato Usa dal fornire alcuna scorta o forma di protezione alle navi pacifiste dirette a Gaza. Gli Stati Uniti hanno fatto sapere di ritenere l’iniziativa di Freedom Waves «pericolosa» e hanno esortato i cittadini americani ad astenersi da attività del genere. A bordo delle due imbarcazioni ci sono giornalisti e pacifisti, giunti da Australia, Canada, Irlanda e Stati Uniti, e anche palestinesi e un arabo israeliano.
La nuova campagna, “Freedom Waves to Gaza”, è partita in sordina con l’obiettivo dichiarato di non dare il tempo alle autorità israeliane di preparare contromisure, come accaduto lo scorso luglio con la Freedom Flotilla II, bloccata nei porti greci dai divieti del governo di Atene messo sotto pressione da Tel Aviv e Washington. Anche stavolta la sfida lanciata dai movimenti di solidarietà internazionali è la blocco navale imposto da Tel Aviv alla popolazione della Striscia di Gaza, chiusa in un assedio totale dal 2006, quando Hamas ne assunse il controllo politico e militare.
«Israele ha imprigionato Gaza e la Cisgiordania – ha detto Majd Kayyal, studente palestinese di filosofia, di Haifa, a bordo della Tahrir – proibendoci ogni contatto fisico. Vogliamo rompere l’assedio che Isralee ha imposto alla nostra gente. Il fatto di essere in acque internazionali è già una vittoria per il movimento». Freedom Waves ha approfittato dell’iniziativa anche per inviare un messaggio alla comunità internazionale, in primis alle Nazioni Unite, chiedendo di prendere azioni immediate che pongano fine al blocco criminale della Striscia, blocco in violazione dalla Quarta Convenzione di Ginevra. Si muove anche la società civile in Israele e nei Territori occupati. Attivisti palestinesi ed ebrei hanno organizzato manifestazioni in Cisgiordania e in territorio israeliano. A Ramallah e a Gaza city ieri sono tenute manifestazioni davanti agli uffici delle Nazioni Unite.
L’ultimo tentativo di rompere via mare il blocco di Gaza è del luglio scorso da parte della Freedom Flotilla II. All’epoca, le imbarcazioni coinvolte vennero bloccate nei porti greci su ordine della Marina di Atene che subì dure pressioni da parte del governo israeliano (la stessa nave irlandese Saoirse, in viaggio in questo momento, fu sabotata prima di riuscire a salpare). L’anno prima, nel maggio 2010, era stata la volta della prima Freedom Flotilla, un viaggio finito nel sangue: l’esercito israeliano abbordò la nave turca Mavi Marmara e uccise nove attivisti turchi. L’attacco provocò un raffredamento delle relazioni tra Israele e Turchia, che non ha mai smesso di chiedere a Tel Aviv scuse ufficiali e un risarcimento finanziario alle famiglie dei nove attivisti uccisi.
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