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Israele: Netanyahu torna al potere con l’ultradestra

Dopo lo spoglio del 85 % dei seggi (ore 12 del 2 novembre) il blocco dei partiti che sostengono Benyamin Netanyahu si avvia a conquistare 67 seggi sui 120 della Knesset, quindi la maggioranza.

Alle liste che sostengono invece il premier centrista Yair Lapid andrebbero, al momento, solo 47 seggi. Da segnalare il terzo posto per la coalizione di estrema destra guidata dal partito Potere Ebraico di Itamar Ben Gvir che raggiungerebbe da solo 15 seggi. “L’ascesa dei partiti religiosi di estrema destra alle elezioni israeliane è un risultato naturale delle crescenti manifestazioni di estremismo e razzismo nella società israeliana, di cui il nostro popolo soffre da anni” ha commentato il premier dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mohammad Shtayyeh citato dall’agenzia Maan. Ai nostri microfoni Michele Giorgio, giornalista e corrisponde de Il Manifesto da Gerusalemme.Ascolta o scarica

Da Radio Onda d’Urto

Di seguito riprendiamo da Invicta Palestina un interessante punto di vista sulla partecipazione palestinese alla politica istituzionale israeliana.

I partiti palestinesi devono abbandonare la farsa democratica di Israele

Rimanendo fedeli partecipanti alla farsa democratica di Israele, i politici continuano a legittimare l’apparato istituzionale israeliano, danneggiando così non solo le comunità palestinesi in Israele, ma i palestinesi ovunque.

Fonte: English  version

Di Ramzy Baroud – 31 ottobre 2022Immagine di copertina: Membri della Joint List Osama Saadi, Ayman Odeh, Ahmad Tibi e Mansour Abbas, Gerusalemme, 22 settembre 2019. (AFP)

Indipendentemente dall’esito delle elezioni israeliane di martedì, i partiti palestinesi non trarranno benefici politici significativi, anche se complessivamente raggiungeranno la loro più alta rappresentanza di sempre. La ragione di ciò non dipende dai partiti stessi, ma dal sistema politico distorto di Israele, che si basa sul razzismo e sull’emarginazione dei non ebrei.

Israele è stato fondato sulla difficile premessa di essere la Patria di tutti gli ebrei, ovunque, non degli abitanti nativi della Palestina, e su una pulizia etnica sanguinaria; quella della Nakba, la distruzione della Palestina storica e l’espulsione del suo popolo.

Tali inizi non furono certo favorevoli all’instaurazione di una vera democrazia. E non solo l’atteggiamento discriminatorio di Israele è persistito nel corso degli anni, ma è addirittura peggiorato, soprattutto perché la popolazione palestinese è cresciuta in modo sproporzionato rispetto alla popolazione ebraica.

La triste realtà è che alcuni partiti palestinesi hanno partecipato alle elezioni israeliane dal 1949, alcuni in modo indipendente e altri sotto l’egida del partito al potere Mapai. Lo hanno fatto nonostante le comunità palestinesi in Israele fossero governate da un governo militare fino al 1966 e praticamente governate, fino ad oggi, dagli illegali “Regolamenti di Difesa (di emergenza)”. Questa partecipazione è stata costantemente propagandata da Israele e dai suoi sostenitori come prova della natura democratica dello Stato.

Questa affermazione da sola è servita da pilastro dell’Hasbara israeliana nel corso dei decenni. Anche se spesso inconsapevolmente, i partiti politici palestinesi in Israele hanno fornito i contenuti per tale propaganda, rendendo difficile per il popolo palestinese sostenere che il sistema politico israeliano è fondamentalmente distorto e razzista.

I cittadini palestinesi hanno sempre discusso tra loro i pro e i contro della partecipazione alle elezioni israeliane. Alcuni capiscono che la loro partecipazione convalida l’ideologia sionista e l’Apartheid israeliano, mentre altri sostengono che astenersi dal partecipare al processo politico nega ai palestinesi l’opportunità di cambiare il sistema dall’interno.

Quest’ultimo argomento ha perso gran parte del suo merito quando Israele è sprofondato nell’Apartheid, mentre le condizioni sociali, politiche e legali per i palestinesi sono peggiorate. Il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, noto come Adalah, cataloga decine di leggi discriminatorie in Israele che prendono di mira esclusivamente le comunità palestinesi. Inoltre, in un rapporto pubblicato a febbraio, Amnesty International ha descritto come “la rappresentanza dei cittadini palestinesi di Israele nel processo decisionale sia stata limitata e minata da una serie di leggi e politiche israeliane”.

Questa realtà esiste da decenni, da molto prima del 19 luglio 2018, quando il Parlamento israeliano ha approvato la cosiddetta legge sullo Stato-Nazione ebraico. Questa legge è l’esempio più lampante di razzismo politico e giuridico, che fa di Israele un regime di Apartheid a tutti gli effetti. È anche la proclamazione più articolata della supremazia ebraica sui palestinesi in tutti gli aspetti della vita, compreso il diritto all’autodeterminazione.

Coloro che sostenevano che la partecipazione palestinese alla politica israeliana fosse servita a uno scopo in passato avrebbero dovuto fare di più che denunciare collettivamente la Legge dello Stato-Nazione: avrebbero dovuto dimettersi in massa, con effetto immediato. Avrebbero dovuto approfittare del tumulto internazionale per trasformare la loro lotta da parlamentare a popolare.

Pultroppo, non l’hanno fatto. Hanno continuato a partecipare alle elezioni israeliane, sostenendo che se avessero ottenuto una maggiore rappresentanza alla Knesset, avrebbero dovuto essere in grado di sfidare l’ondata di leggi discriminatorie.

Ciò non è accaduto, anche dopo che la Lista Congiunta, che ha unificato quattro partiti palestinesi nelle elezioni del marzo 2020, ha ottenuto il suo maggiore risultato di sempre, diventando il terzo blocco politico più grande della Knesset. Questa presunta vittoria storica alla fine è stata pari a zero perché tutti i principali partiti ebraici tradizionali, indipendentemente dalle loro origini ideologiche, si sono rifiutati di includere la Lista Congiunta nelle loro potenziali coalizioni.

L’entusiasmo che ha mobilitato gli elettori palestinesi per sostenere la Lista Congiunta ha cominciato a diminuire e la lista stessa si è frammentata a causa di Mansour Abbas, il capo di Ra’am. Nelle elezioni del marzo 2021, Abbas voleva cambiare del tutto le dinamiche della politica palestinese in Israele. “Ci concentriamo sulle questioni e sui problemi dei cittadini arabi di Israele all’interno della Linea Verde”, ha dichiarato Abbas alla rivista Time nel giugno 2021, aggiungendo “vogliamo sanare i nostri problemi”, come se dichiarasse un distacco storico dal resto della lotta palestinese.

Abbas aveva torto, poiché Israele percepisce lui, i suoi sostenitori, la Lista Congiunta e tutti i palestinesi come ostacoli nei suoi sforzi per mantenere l’esclusiva “identità ebraica” dello Stato. L’esperimento di Abbas, tuttavia, è diventato ancora più interessante quando Ra’am ha vinto quattro seggi e si è unito a una coalizione di governo guidata dal politico di estrema destra e anti-palestinese Naftali Bennett. Quando la coalizione si è rotta a giugno, Abbas aveva ottenuto ben poco, a parte dividere il voto palestinese e dimostrare ancora una volta che cambiare la politica israeliana dall’interno è un’illusione.

Anche dopo tutto questo, i partiti palestinesi in Israele insistono ancora nel partecipare a un sistema politico che, nonostante le sue numerose contraddizioni, è d’accordo su una cosa: i palestinesi sono, e saranno sempre, il nemico.

Anche i violenti eventi del maggio 2021, quando i palestinesi si sono trovati a combattere su più fronti, contro l’esercito israeliano, la polizia, i servizi segreti, i coloni armati e persino i cittadini comuni, non sembravano cambiare la mentalità dei loro politici. I centri abitati palestinesi a Umm Al-Fahm, Lydda e Jaffa sono stati attaccati con la stessa mentalità razzista di Gaza e Sheikh Jarrah, a dimostrazione del fatto che quasi 75 anni di presunta integrazione nel sistema politico israeliano non avevano minimamente cambiato la visione razzista nei confronti dei palestinesi.

Invece di incanalare l’energia di quella che i palestinesi hanno soprannominato “l’Intifada dell’Unità” per investire nell’unità palestinese, questi politici sono tornati alla Knesset come se avessero ancora speranza di cambiare il sistema politico intrinsecamente corrotto di Israele.

L’autoillusione continua. Il 29 settembre, il Comitato Elettorale Centrale Israeliano ha squalificato un partito palestinese, Balad, dalla partecipazione alle ultime elezioni. La decisione è stata infine ribaltata dalla Corte Suprema del Paese, spingendo Adalah a descrivere la decisione come “storica”. In sostanza, hanno suggerito che il sistema di Apartheid israeliano porta ancora la speranza di una vera democrazia.

Il futuro della politica palestinese in Israele rimarrà oscuro se i politici arabi continueranno a perseguire questa tattica fallita. Sebbene i cittadini palestinesi di Israele siano socioeconomicamente privilegiati rispetto ai palestinesi nei Territori Occupati, godono di diritti politici o giuridici nominali o di nessun diritto sostanziale. Rimanendo fedeli partecipanti alla farsa democratica di Israele, questi politici continuano a legittimare l’apparato istituzionale israeliano, danneggiando così non solo le comunità palestinesi in Israele, ma i palestinesi ovunque.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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