La resistenza è vita: il campo di Makhmur continua a lottare contro l’aggressione irachena
Entra nel settimo giorno di resistenza il campo curdo di Makhmur, nel Kurdistan iracheno. La popolazione del campo dopo aver respinto a sassate le jeep dell’esercito ha iniziato subito a smantellare a mani nude il fossato creato dalle forze irachene con lo scopo di circondare il campo e installare filo spinato e torrette di controllo.
Nel frattempo che la tensione sale, dopo 11 anni di riconoscimento ufficiale, due giorni fa sono comparse le prime ambascerie delle Nazioni Unite, con lo scopo di confermare la già ovvia sistematica violazione dei diritti umani, iniziata non una settimana fa, ma negli anni ’90 con la fondazione del campo, lo spostamento e ricollocamento forzato, successivamente con gli attacchi sistematici dei droni turchi e dell’embargo del KDP di Barzani. La vita del campo è modellata sui principi del confederalismo democratico ed è inscindibile con l’esperienza di amministrazione autonoma della comunità ezida di Shengal (Sinjar in arabo) non distante da Makhmur, nata dal genocidio del 2014 operato da Daesh e resa materialmente possibile dalla resa e dalla fuga delle forze del KDP. Sullo sfondo di tutto questo vi è il ballottaggio del 28 Maggio tra Kilicdaroglu e Erdogan, da cui nel bene e nel male dipende molto dello sforzo di Turchia e alleati nello stroncare la rivoluzione.
Di tutto questo ne abbiamo parlato ai nostri microfoni con UIKI (ufficio informazioni per il Kurdistan in Italia).
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