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La Turchia chiude i rubinetti al Rojava, in milioni a rischio idrico

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Per colpire l’autonomia democratica Erdogan sta assetando milioni di persone in Siria ed Iraq

Da una decina di giorni il livello dell’acqua dell’Eufrate – registrato presso la diga di Tishrin (“Ottobre”) sotto il controllo delle SDF nella Siria del Nord – è paurosamente calato di cinque metri. Uno scompenso dovuto all’azione delle autorità turche che, sotto il pretesto di fantomatiche “operazioni di manutenzione” alla ciclopica diga di Ataturk (già causa di immani devastazioni ambientali nel sud-est turco), stanno stornando il flusso dei grandi fiumi della regione. Mettendo così a repentaglio i mezzi di sussistenza delle popolazioni che abitano lungo il loro corso dalla Siria all’Iraq, e minacciando di produrre centinaia di migliaia di rifugiati ambientali.

In concomitanza con l’assedio di Raqqa, e a quasi due anni dai sanguinosi attentati dell’ISIS a Kobane, resi possibili dall’apertura della frontiera turca ai terroristi, i dirigenti di Ankara non hanno scrupoli nel ricorrere all’arma idrica (uno strumento non inedito in Medio Oriente): nonostante un trattato regionale vincoli la Turchia ad un ammontare annuo di 16 miliardi di metri cubi d’acqua da far defluire verso il Golfo Persico, l’obiettivo è quello di piegare le istituzioni autonome curde ed arabe della Siria del Nord alle porte della stagione estiva.

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