“La Turchia è nostra!”: si riaccende la protesta contro Erdogan
Migliaia di cittadini si sono riversate in piazza Kadikoy, molti con pile di scatole di scarpe, gridando slogan come “La Turchia è nostra” e “Difendiamo Istanbul dal saccheggio”. Sono state centrali anche le critiche contro il terzo aeroporto di Istanbul, il terzo ponte e l’autostrada di Marmara Settentrionale. Questi progetti minacciano di distruggere tutte le aree verdi dentro e fuori Istanbul e sconvolgere l’urbanistica della città, dando vita a seri problemi sociali e abbassando la qualità della vita, dato che molte case, parchi e altre costruzioni dovranno essere demoliti per lasciar posto a queste opere faraoniche.
Lo sviluppo urbano era stato un cavallo di battaglia della campagna elettorale di Erdogan, ma ora i nodi vengono al pettine, mettendo a nudo come questi progetti siano solo un bancomat per il partito, un modo per potenziare l’intreccio tra corruzione, speculazione, criminalità e parentopoli. Dunque, sono gli stessi motivi portati in piazza a Gezi Park, portati avanti con ostinazione dagli studenti dell’ODTU per fermare la devastazione ambientale e sociale.
Inoltre, i manifestanti hanno chiesto la punizione dei responsabili per la gestione della piazza di Gezi Park, visto che negli ultimi giorni sul web è apparso un video che mostra la brutalità degli agenti, i quali, dopo aver svoltato in una stradina per inseguire i manifestanti, iniziano a picchiare senza alcun motivo i negozianti che sostano davanti ai propri negozi. Per non smentire il proprio operato anche ieri, non appena i manifestanti sono giunti nelle prossimità della banchina per i traghetti, la polizia ha scatenato una pioggia di lacrimogeni sul corteo e ha azionato gli idranti. I manifestanti, ormai pronti a questo sfoggio di muscoli che da qualche mese caratterizza la repressione portata avanti da Erdogan, hanno resistito coraggiosamente e pian piano in più parti della città sono state erette barricate per tenere lontana la polizia; i fronteggiamenti sono durati fino a notte tarda.
Come ai tempi di Gezi Park, Erdogan sta tentando di dare corpo alle sue fantasie sugli attacchi di forze nemiche nazionali e internazionali per giustificare gli scandali legati al suo partito. Il primo ministro si sta arrampicando sugli specchi per salvare all’ultimo la sua faccia. Ma la rabbia e la determinazione delle piazze parlano chiaro: il popolo turco non crederà a questi vaneggiamenti, essendo ben consci che si tratta di un sistema da estirpare fin dalle radici.
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