L’arsenale di Hezbollah frena la rappresaglia di Netanyahu
In casa israeliana si tende a privilegiare la versione che sia stato proprio il movimento sciita a gettare acqua sul fuoco facendo sapere di non volere una escalation. Il ministro della difesa Moshe Yaalon afferma di aver ricevuto un messaggio dai caschi blu dell’Onu in Libano (Unifil) secondo i quali Hezbollah non sarebbe interessato a ulteriori fiammate di guerra. Il premier Netanyahu intanto ripete il suo mantra: «L’Iran è responsabile dell’attacco contro di noi… sta cercando di raggiungere un accordo, tramite le grandi potenze che lo lascerebbe in grado di sviluppare armi nucleari. Noi ci opponiamo con forza a questo accordo». Parole simili a quelle che con ogni probabilità ripeterà a marzo davanti al Congresso Usa, invitato dallo Speaker John Boehner aggirando la Casa Bianca, sperando che l’apparizione in terra americana lo aiuti a vincere le elezioni israeliane del 17 marzo.
Secondo gli analisti vicini alla destra e al governo, l’agguato compiuto da Hezbollah due giorni fa sarebbe irrilevante. Israele, spiegano, attaccando a metà gennaio in Siria e uccidendo sei ufficiali di Hezbollah e il generale iraniano, avrebbe riaffermato il suo potere di deterrenza. Tra questi c’è Eytan Gilboa, del Centro studi strategici Besa di Tel Aviv. «Tehran nella Siria meridionale vuole creare, assieme a Hezbollah, una infrastruttura militare capace di tenere sotto pressione Israele. Abbiamo messo in chiaro che non lo accetteremo», diceva ieri ripetendo la posizione espressa da Netanyahu. Gilboa esclude che la mancata rappresaglia israeliana contro il Libano sia frutto di un potere di deterrenza del movimento sciita. «Hezbollah ha molti missili e razzi ma sa che non può usarli perchè andrebbe a scapito dell’intero Libano. Israele ha più volte avvertito il governo di Beirut che in caso di attacchi dal territorio libanese, il Libano sarà ridotto in macerie».
Una teoria che convince solo in parte perchè Hezbollah due giorni fa ha attaccato dal Libano, sfidando la minaccia israeliana di una ritorsione devastante. Nei quartieri meridionali di Beirut, roccaforte del movimento sciita, continuano i festeggiamenti per l’attacco compiuto sul confine e nei prossimi giorni il leader di Hezbollah pronuncerà un discorso di vittoria. Il quotidiano libanese as Safir ha scritto che telegrammi e messaggi di congratulazioni per Hezbollah sono arrivati da tutto il mondo arabo ed islamico. Da Tehran il viceministro degli esteri, Hossein Amir Abdollahian, ha parlato di «legittimo diritto di autodifesa» dopo il raid israeliano del 18 gennaio scorso.
A frenare Netanyahu è stato senza alcun dubbio anche l’arsenale di Hezbollah, che include, ha detto più volte Nasrallah, missili capaci di colpire ogni punto di Israele. Forse il leader sciita esagera le capacità strategiche del suo movimento ma non tanto. Per Netanyahu dare il via a una escalation militare significherebbe esporre anche Israele e non solo per il Libano a conseguenze gravi. Sullo sfondo ci sono le elezioni. Il leader della destra è indicato dai sondaggi come il primo ministro preferito dagli israeliani ma il suo partito, il Likud, è al secondo posto, costretto ad inseguire “Blocco Sionista”, la lista unita dei laburisti di Isaac Herzog e dell’ex ministra centrista Tzipi Livni. Può consolarsi con il crollo del suo rivale di estrema destra e ministro degli esteri Lieberman, dato dai sondaggi al minimo storico, che rischia di non superare la soglia di sbarramento.
Michele Giorgio
da Il Manifesto
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