Le monarchie arabe all’assalto, ed in Yemen il regime che non cede.
Una mossa volta a legare in un patto di ferro, al di là di qualunque distanza geografica ed economica, la trasversalità delle monarchie arabe, sconvolte dalle proteste che dalla medina di Fes ai quartieri finanziari di Manama, dai vicoli di Amman alle rotonde di Sohar hanno agito conflitto e prodotto cambi di governo; con l’obiettivo di salvaguardare un potere traballante, allarmato dal voltafaccia statunitense nei confronti di Mubarak e della riluttanza della Casa Bianca nell’appoggiare le persecuzioni ed i massacri dei paesi del Golfo contro l’opposizione sociale interna.
Il tutto attraverso la costruzione di sinergie politiche, economiche e militari. In Giordania uno dei motori della conflittualità legata al carovita è stato l’alto costo dei carburanti; i cui prezzi le forniture dal Golfo contribuirebbero ad abbattere in cambio, c’è da scommettere, della comprovata esperienza controinsurrezionale della polizia di Amman, impegnata negli anni ’70 nella lotta al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e a Fatah, ed i cui ufficiali in pensione naturalizzati in Bahrain dalla famiglia regnante degli Al-Khalifa si sono resi responsabili delle torture e delle atrocità contro la popolazione in rivolta. Ulteriori finanziamenti dalle monarchie della penisola arabica contribuirebbero ad abbattere l’alto debito pubblico del paese, altro fattore di tensione e tagli alla spesa pubblica.
Il Marocco invece, ricco di manodopera ma altamente dipendente dal turismo, già dal post-11 settembre 2001 ha permesso ampie speculazioni e devastazioni ambientali sul proprio territorio alle grandi immobiliari degli Emirati Arabi Uniti come la Emaar e la Dubai International Properties (che fanno riferimento alle famiglie reali emiratine, le quali non a caso possiedono vaste proprietà nel paese nordafricano) ed alle loro catene alberghiere, oltre a concedere alla Dubai Ports International, impegnata nel potenziamento del porto di Tangeri, l’amministrazione di zone economiche speciali al di fuori di ogni forma di tassazione e controllo pubblico.
Un disegno che attraverso prove di forza (vedi il già citato intervento in Bahrain ma anche, indirettamente, il sostegno della tecnologicamente sofisticata aviazione di Emirati e Qatar alla No Fly Zone della NATO in Libia) ed azioni diplomatiche (con i tentativi di mediazione prima tra il governo yemenita e la rivolta interna sciita poi tra il presidente Saleh e l’opposizione partitica) cerca di cementare un blocco di potere in funzione anti-sciita ma soprattutto opposto all’ondata rivoluzionaria che ha spazzato via i regimi al potere da decenni in nordafrica.
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