L’Egitto brucia a quattro anni dalla rivolta di Piazza Tahrir
Mentre i media, controllati dal regime del presidente Al-Sisi, raccontano di scontri tra esercito e Fratelli Musulmani, ad essere scesi in piazza quest’oggi non sono solo i sostenitori di Morsi. In piazza c’era l’Egitto che non ci sta, c’erano coloro che non accettano il regime militare del generale Al-Sisi, chi non accetta di vendersi alla sua propaganda mediatica e non accetta che i valori della rivolta del gennaio 2011 vengano strumentalizzati dai poteri forti che nel paese hanno interesse solo a mantenere i propri privilegi.
Se una parte consistente dei manifestanti era composta dai sostenitori dei Fratelli Musulmani, la giornata di oggi ha visto scendere in piazza una composizione molto più larga. Un appuntamento è stato quello del sindacato dei giornalisti nella città vecchia del Cairo, nei pressi di Piazza Tahrir. Ancora, nelle vicinanze, altre manifestazioni organizzate dal Movimento 6 Aprile e dal partito dell’alleanza socialista, sceso in piazza anche per rivendicare la morte di Shaimaa El-Sabag, la giovane sindacalista uccisa durante una manifestazione indetta ieri dal partito, sempre al Cairo. Poi c’erano altre centinaia di giovani scesi per le strade della capitale egiziana, con la stessa rabbia di ormai 4 anni fa. Prima contro Mubarak, adesso contro Al-Sisi e la sua autorità, con le stesse parole d’ordine di allora: giustizia per le vittime, libertà, giustizia sociale. Le immagini che ci arrivano dal Cairo sono quelle di una città ancora blindata, nella quale migliaia di militari sono stati impiegati per impedire ai vari cortei di confluire in quella Piazza Tahrir simbolo della rivolta, chiusa da filo spinato e ancora adesso ancora circondata da soldati.
Il regime di Al Sisi, instaurato con il golpe del luglio 2013, non ha fatto che aumentare il senso di frustrazione e rabbia tra gli egiziani. Né le restrizioni alle libertà civili, né la propaganda mediatica che cerca di creare divisioni tra i Fratelli Musulmani e la sinistra, tra questa e i partiti laici, all’insegna di una vuota legalità; tutto questo non è finora riuscito a sedare un popolo che non accetta di vedere il governo militare far proprie, senza significato alcuno, le parole d’ordine della Piazza Tahrir del 25 gennaio. Sono molti coloro che, chiusi tra i due poteri forti, si fanno ancora sentire, che aspettano il momento di portare avanti quella battaglia che, iniziata il 25 gennaio 2011, non è ancora finita.
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