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Lo Stato spagnolo persevera. Arrestato a Roma presunto membro dell’Eta

L’uomo accusato di far parte dell’organizzazione armata Eta -che ha abbandonato le armi nel 2010 a favore di un processo di risoluzione del conflitto- venne condannato nel 2000 a 16 anni di carcere, dopo che una sentenza lo dichiarò colpevole di aver preso parte ad un gruppo che lanciò bottiglie molotov contro una sede della banca Caja Laboral di Andoain nell’agosto del 1997. Una sentenza che ancora una volta andava a porre l’accento sulla perenne sete di vendetta da parte dello Stato spagnolo, emblematica per il modo in cui la sentenza venne formulata, basandosi su un unico testimone. Da qui l’ennesimo appiglio per continuare con la linea del teorema “tutto è Eta”, implementato dal governo spagnolo in combutta con la magistratura; il Tribunale spagnolo infatti considerò che il delitto che si imputava era stato portato avanti secondo una fantomatica strategia disegnata dall’organizzazione armata Eta.

Nel frattempo erano arrivate altre condanne: nel luglio 2006 la Corte penale di Parigi lo aveva condannato a tre anni di carcere per il reato di appartenenza a un’organizzazione terroristica su territorio francese. Dal momento della condanna, e quindi negli ultimi 15 anni, su Carlos pendeva un mandato di arresto, fino ad oggi, quando la polizia spagnola lo ha fermato per strada, traendolo in arresto.

La strategia dello Stato spagnolo sembra quindi non cambiare, anzi, persevera con la linea degli arresti per andare a riempire le carceri dello Stato spagnolo e rendere il processo di risoluzione del conflitto basco sempre più unilaterale. Proprio oggi infatti, il presidente spagnolo Mariano Rajoy ha rifiutato di apporrte qualsiasi tipo di modifica alla politica di dispersione dei prigionieri e delle prigioniere politiche basche, dichiarando che si cercherà di concedere privilegi a chi “vuole dissociarsi da Eta”. Una risposta  ripugnante di fronte all’interpellanza di Aitor Esteban del Partito nazionalista basco che chiedeva di modificare la politica penitenziaria, oltre a chiedere di investigare sui casi di tortura che avvengono dentro i commissariati e dentro le prigioni spagnole e dare così un passo concreto verso la risoluzione del conflitto basco. Se queste sono le risposte che il presidente del governo spagnolo sa dare di fronte a interpellanze di questo tipo, rimane più chiara che mai la strategia attuata a favore di una rappresaglia politica e sociale nei confronti di chi reclama il diritto all’autodeterminazione.

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