L’op Anonymous e Viktor Serge. Una nota al margine.
Capitò a Serge, all’indomani della rivoluzione d’Ottobre, il difficile compito di riorganizzare e studiare l’immenso archivio e la gigantesca documentazione prodotta dall’Okhrana, la potente polizia politica dello Zar, finita nelle mani dei rivoluzionari. Nel 1925 Serge pubblicò un primo libro in francese in cui tentava di codificare e commentare il materiale considerato in anni di studio, dando anche delle preziose indicazioni e valutazioni ad uso dei movimenti rivoluzionari. Sono le sue parole che vengono in mente quando ci siamo trovati a sfogliare i leaks sottratti alla polizia italiana e poi pubblicati da Anonymous. “Guardarsi dalle manie cospiratorie, […], dalla drammatizzazione delle cose semplici. La maggior virtù del rivoluzionario è la semplicità…”. Infatti crediamo che chi dovrebbe drammatizzare “politicamente”, anche in questo caso, non siano i movimenti che da sempre sanno di avere a che fare con una legalità sempre pronta a rovesciarsi nel suo contrario quando gli interessi di parte (dell’altra parte) lo richiedono, ma bensì quella società civile, quei “sinceri democratici” che da anni, da decenni, hanno smesso di dubitare del potere, preferendo dubitare dei poveri e dei governati. Solo rarissime eccezioni, titaniche e coraggiose, ci sembrano andare in contro tendenza come i famigliari delle vittime della brutalità e della violenza poliziesca che nel reclamare la verità accendono i fari su meccanismi istituzionali, politici, giuridici e culturali che si producono e riproducono protetti dall’ombra e mietendo vittime. E anche il costruire insieme “verità” delle lotte notav in Val Susa ci sembra essere un raro caso in cui ampie porzioni di opinione pubblica e società ha saputo e sa prendere parte, quella giusta, sa costruire una nostra verità che in quanto tale non sarà mai in comune con la loro!
Il manualetto dell’infiltrato e del provocatore non deve impensierire i movimenti, al contrario dovrebbe sollecitare inchieste rigorose e adeguate a denunciare le provocazioni degli apparati repressivi utili per gli avvocati militanti.
Negli ultimi anni si sono susseguiti molto spesso fenomeni di “moral panic digitale”, in cui alcuni manifestanti fotografati o filmati durante un corteo venivano indicati in rete come “agenti infiltrati” semplicemente per i propri comportamenti magari non in linea ai desiderata di alcuni insiemi di utenti dei social network. Subito dopo media mainstream, politicanti di certa sinistra, e magistrati si adoperavano per fomentare il fenomeno, e utilizzarlo a loro piacimento sia nelle aule di tribunale che nello spazio politico pubblico per depotenziare grandi giornate di lotta e sbattere in carcere compagni e compagne. Il “moral panic digitale o in piazza”, la mania dell’infiltrato e dell’agente provocatore va contrastata a partire dalla constatazione che operazioni di questo tipo ci sono state (nei secoli) e ci saranno fino a quando i movimenti non saranno maturi al punto di neutralizzarne l’efficacia a priori. La pubblicazione di alcuni leaks riguardanti questo argomento deve indurci a considerare con cinismo politico questi dati di fatto, senza indurci a drammatizzazioni e manie persecutorie, senza indurci a spogliare i panni del militante per la dignità, la giustizia sociale, e la solidarietà e vestire l’abito del detective da quattro soldi che solitamente, in modo più o meno consapevole, non fa altro che sostenere e aiutare culturalmente e praticamente forme di repressione e controllo.
Il prezioso contributo di Anonymous Italia introduce ulteriori considerazioni da fare a partire dal dato empirico della non invincibilità della contro-parte. Molto spesso anche nei movimenti ci sono predicatori che descrivono apparati statali perfetti e onniscenti, regimi inscalfibili e infinitamente potenti, instillando passioni tristi che al massimo solleticano il vezzo del bel gesto romantico e narciso. Non è così! E senza andare oltre il terreno che stiamo considerando in questo caso, basta riferirsi alla pratica e alla cultura hacker che dice “in ogni sistema di sicurezza l’anello debole è l’elemento umano”. Altro che tecnologia totalizzante e sempre sovradeterminante ogni accadimento umano, quando dell’esatto contrario si tratta. “Facciamo ciò che dobbiamo perché possiamo!”, esclama Anonymous e dal nostro punto di vista non si può che dargli ragione in quanto nell’orizzonte del possibile, per dirla con Serge, c’è sempre “tutta la grandezza del nostro compito”.
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