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Maduro ai commercianti: ‘Basta rapine al nostro popolo ‘

Il riferimento è a quei commercianti o imprenditori che per importare i prodotti mancanti sul mercato locale scambiano bolivar contro dollari al tasso ufficiale agevolato, previa autorizzazione della Commissione di amministrazione della moneta (Cadivi), l’organismo di protezione della divisa nazionale deputato al controllo dei cambi. Poi, però, gonfiano i prezzi e finanziano titoli da prima pagina sui grandi quotidiani (in mano ai privati, dunque all’opposizione) per accusare il governo di inefficienza: soprattutto prima delle scadenze elettorali. La prossima è quella dell’8 dicembre, si voterà per le comunali. La campagna, accesa come sempre, è in corso. Il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha perso le presidenziali dello scorso aprile (le prime senza Hugo Chávez, morto di tumore il 5 marzo) con poco margine. E ora vorrebbe trasformare l’appuntamento con le urne in un referendum sulla gestione Maduro. Il presidente – l’ex autista del metro, deciso a proseguire sulla via del «socialismo del XXI secolo» come il suo predecessore – denuncia da mesi la «guerra economica» intentata dai poteri forti con la speculazione e l’accaparramento dei prodotti basici: razziati dagli scaffali delle catene statali e rivenduti a caro prezzo al mercato nero, dove il dollaro vale otto volte di più.

Gli imprenditori sostengono che non ci sono abbastanza divise a disposizione, mentre per il governo quest’anno sono stati distribuiti alle imprese private 33 mila milioni di dollari e a fine 2013 si arriverà a 40 mila milioni: ossia il 30% in più del denaro di cui ha bisogno il paese per far fronte alle proprie necessità. «Dobbiamo anche riformare Cadivi – ha dichiarato l’economista e deputato chavista Jesus Faria – perché il potere economico usa le sue risorse per corrompere il settore statale e con questo meccanismo ottiene maggiori risorse che si trasformano in un maggior potere». Il Venezuela bolivariano è infatti ancora un paese a economia mista – con un certo numerodi imprese a proprietà statale o controllate dai lavoratori – ma in cui il settore privato (abituato al parassitismo e all’evasione fiscale) controlla circa il 60% del Prodotto interno lordo (Pil), riceve finanziamenti dal governo e muove grosse masse di capitali pronti a cercare lidi migliori. In un paese che possiede le più grandi riserve petrolifere del mondo, questo significa lasciare il Venezuela in balìa della sua «maledizione», trascurando la produzione interna e la sovranità economica. «Siamo interessati allo sviluppo del settore privato se genera lavoro, risorse e benessere, ma non se attacca il popolo», ha detto Faria.

Il continuo aumento del salario e del potere d’acquisto delle classi popolari, a seguito delle politiche sociali promosse dal governo dopo l’arrivo di Chávez (1999), hanno aumentato i consumi: molto più in fretta di quanto non abbia fatto la produzione nazionale. Per far fronte all’aumento di richiesta di alcuni prodotti, Maduro ha chiesto e ottenuto l’appoggio immediato dei partner del Mercosur, come il Brasile. Ha anche promosso incontri con commercianti e imprenditori per chiedere loro collaborazione. Ma, soprattutto, ha promesso il pugno di ferro contro «quelli che vogliono impedire al nuovo di affermarsi in Venezuela». Per questo, fidando sulla costituzione che lo prevede, ha chiesto al parlamento di autorizzare alcune Ley habilitantes, utilizzate dal suo predecessore per accelerare le misure sociali, e che gli consentirebbero di andare più in fretta contro corruzione e speculazione. Intanto, dopo la diminuzione dei prezzi, è iniziata la corsa all’accaparramento dei prodotti. Se finiranno in fretta, si ricomincerà a gridare contro «la scarsità», magari si scopriranno camion pieni diretti oltrefrontiera al florido mercato colombiano parallelo. «Le spese compulsive – ha affermato Faria – sono determinate dalle campagne di terrore psicologico promosse dai grandi media».

Geraldina Colotti

per Il Manifesto

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