
Manbij, Fallujah, Sirte: si sgretola il progetto del Daesh
Nel giro di pochissimi mesi da gravi attentati come quelli di Sanaa, Sousse, Parigi, Bruxelles e Beirut, in un generale torpore mediatico, si parla di rado della china discendente intrapresa dal progetto del sedicente Stato Islamico. Il merito principale di questa evoluzione positiva va ai partigiani curdi ed alleati delle SDF: dalla Stalingrado di Kobane fino alla proclamazione della confederazione della Siria del Nord, passando per le vittorie di Tel Abyad, Tishrin, Sinjar e Hasakah, è sul campo del Rojava che l’integrità e l’immaginario del Daesh hanno sofferto i colpi più pesanti, compresa l’uccisione del proprio capo militare Al-Shishani.
Da 11 giorni le SDF hanno valicato ad ovest il confine naturale dell’Eufrate – dopo mesi di stallo politico dettato dalla perdurante ostilità del regime autoritario di Erdogan – accerchiando la città a forte presenza curda di Manbij con il supporto del Consiglio Militare locale e di commandos statunitensi. La progressione, che ha nel contempo liberato ampie fasce di territorio e villaggi dal giogo del Daesh, ha visto da una parte l’eliminazione dell’emiro di Daesh nella sua fuga verso ovest; e dall’altra il martirio in battaglia del comandante Faisal Abu Leila, fautore della riconciliazione tra le etnie locali e nel cui nome è stata prontamente ribattezzata l’operazione di riconquista della sua città.
Non vanno meglio le cose per Daesh in Iraq: prosegue l’assedio da parte dei governativi di Fallujah, già città martire della guerra di Bush nel 2003, e la cui caduta due anni fa aveva contribuito all’ascesa dell’organizzazione nell’immaginario globale. Dopo la sua presa non rimarrebbero in mano agli aguzzini dell’autoproclamato califfo che pochi centri del nord tra cui Mosul: rispetto alla cui sorte persistono divergenze tra le spinte secessioniste del governo clientelare del Kurdistan Iracheno e dell’esecutivo di Baghdad, sostenuto da milizie sciite. Mentre è stato annunciato l’interesse del PKK e dei suoi alleati ezidi nell’avere voce in capitolo nella liberazione della metropoli.
Anche in Libia la Wilayat (provincia) Barka, emanazione locale del Daesh, è alle corde: una presenza impostasi nel sangue all’apogeo dei successi di Al-Baghdadi in Siria ed Iraq ed in grado di prosperare grazie al malcontento degli abitanti di Sirte – feudo dell’ex-rais Gheddafi – davanti al settarismo delle istituzioni del dopoguerra civile. Ma che, nonostante un fortissimo (ed interessato, soprattutto da parte di generali e taluni professori universitari di casa nostra) clamore mediatico, è rimasta contenuta nei numeri dei combattenti, per lo più stranieri, e minoritaria nel mosaico di fedeltà ed alleanze del tessuto tribale libico.
L’ingresso a Sirte delle truppe fedeli al Governo di Accordo Nazionale di Tripoli da ovest e dalla milizia delle Petroleum Facility Guards, che controllano una consistente fetta dei pozzi della Cirenaica, da est sembra quindi rinforzare il potere del premier Al-Serraj (sostenuto da ONU, Italia, Qatar, Turchia) in un paese comunque diviso e tutt’altro che pacificato. E chiudere il sipario – almeno nella sua forma proto-statale – su quanto presentatoci come folle progetto millenarista. Ma nei fatti rivelatosi prima conseguenza della repressione delle primavere arabe, poi utile spauracchio per la normalizzazione e l’instaurazione di nuovi equilibri imperialisti.
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