Missouri, la polizia spara ancora: dilaga la protesta a Ferguson
Nella notte tra martedì e mercoledì un altro uomo è stato colpito da colpi di arma da fuoco sparati da un ufficiale di polizia impegnato nel contenimento delle proteste esplose negli ultimi giorni. L’uomo, che al momento si trova in ospedale in condizioni critiche, avrebbe minacciato un poliziotto con una pistola insieme ad altre persone armate che indossavano passamontagna. Una donna, non coinvolta nella sparatoria di ieri sera, sarebbe invece ricoverata a causa di un proiettile sparato in una dinamica non chiara nella mattinata di mercoledì.
Le manifestazioni, dopo i primi due giorni di riot e saccheggi in diversi punti della città, erano proseguite con più calma durante la giornata di martedì, quando diversi manifestanti hanno protestato di fronte all’ufficio del procuratore a Clayton, capoluogo della contea di St. Louis.
Nella serata di ieri, invece, circa 300 persone che marciavano lungo la via principale del centro di Ferguson sono state fermate da un muro di poliziotti riuniti all’ingresso della strada dove Brown è stato ucciso. Ai manifestanti che gridavano la loro rabbia e avanzavano a mani alzate urlando lo slogan “Hands up, don’t shoot” (la stessa frase che Brown ha rivolto al suo assassino mentre veniva crivellato di proiettili), i poliziotti hanno risposto con un fitto lancio di lacrimogeni che è proseguito – a fasi alterne – fino alle prime ore di mercoledì. In giornata è arrivata conferma che 12 persone sono state tratte in arresto per gli scontri della notte.
Nel frattempo, l’agenzia del dipartimento dei Trasporti statunitense ha vietato a qualsiasi aereo di volare sotto i tremila piedi (circa 915 metri) sui cieli di Ferguson, divieto ovviamente non esteso ai numerosi elicotteri delle forze di sicurezza che sorvolano la città da quattro giorni.
Le indagini sull’episodio che avrebbe provocato l’uccisione di Mike Brown, intanto, procedono a rilento. Dorian Johnson, il 22enne amico di Mike presente al momento dell’uccisione, non è stato ascoltato dalla polizia che si rifiuta categoricamente di mettere in discussione l’operato degli agenti, limitandosi a porre in congedo (retribuito) il colpevole dell’omicidio. Johnson ha infatti raccontato ad una radio che il poliziotto avrebbe prima tentato di investire i due amici per poi minacciarli puntando loro contro la pistola. A quel punto i due ragazzi hanno tentato di fuggire, ma diversi colpi hanno raggiunto alla schiena Brown, che a quel punto si è fermato e ha detto, con le mani alzate mentre era di fronte all’agente: “Non sono armato, smetti di sparare”, per poi essere raggiunto da diversi altri colpi.
Lo stesso presidente Obama è dovuto intervenire nella faccenda per tentare di placare gli animi, sostenendo di essere consapevole che eventi come questo provochino “passioni molto forti”, ma che è necessario riporre fiducia nelle indagini dell’FBI ed è meglio ricordare il giovane Michael Brown “attraverso la riflessione e la comprensione “, anziché – sottinteso – tramite le proteste e la rabbia.
Viene da chiedersi come ciò sia possibile, in un paese che ha ancora fresco il ricordo dell’omicidio a sfondo razziale di Trayvon Martin per mano di una guardia giurata, assolta in appello. Tanto più in una città, come Ferguson, dove il 67% della popolazione è nera, ma il 94% delle forze di polizia è composta da bianchi e il 93% degli arresti dopo un fermo stradale riguarda neri.
In un’America dilaniata dalla crisi economica e da una disparità di classe sempre più evidente e marginalizzante, un episodio come questo mostra, di nuovo, il vero volto di una società fondata secolarmente sul razzismo e la segregazione. Ancora una volta la vuota propaganda che descrive un paese finalmente “al passo coi tempi” dopo l’elezione di un presidente nero lascia spazio a dinamiche alimentate dall’odio verso il diverso, alla negazione di qualsiasi diritto e alla soppressione violenta di qualsiasi forma di dissenso.
Senza giustizia, nessuna pace.
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