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Mubarak alla sbarra. Tra la collera popolare e il regime che persiste.

 

Tutti gli egiziani hanno seguito con apprensione la prima udienza dell’ex rais; tutti, chi da casa, chi dai grandi schermi installati per l’occasione, hanno seguito quello che sarebbe dovuto essere il processo del secolo, ma che da molti è già stato definito una grande fiction.

Questo è, doveva essere, un momento storico non solo per i martiri della Rivoluzione, ma per tutte le vittime del vecchio regime, per i molti torturati o uccisi nei lunghi decenni della presidenza Mubarak, per tutto l’Egitto.

 

Mubarak è apparso in aula con i figli Alaa e Gamal, l’ex primo ministro Habib al-Adly e sei dei suoi uomini. Le accuse a carico dell’ex rais comprendono appropriazione indebita, cospirazione premeditata con l’ex ministro dell’interno al-Adly di uccidere i manifestanti – accusa questa che potrebbe in teoria portare alla pena di morte – e la vendita di gas naturale al vicino stato ebraico. Secondo le accuse, il vecchio regime avrebbe fornito gas naturale a Tel Aviv ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato, provocando forti perdite per le casse dello stato e ancora più manifesta sudditanza alla politica sionista. Del resto che l’Egitto di Mubarak sia stato un burattino della politica sionista è cosa nota, come è nota la difesa fino all’ultimo secondo del vecchio rais da parte di Israele anche quando la Casa Bianca gli aveva ormai voltato le spalle da un pezzo.

I due figli, Alaa e Gamal, su cui non grava l’accusa di omicidio diretto, sono imputati per abuso di potere, corruzione e appropriazione indebita, al-Adly, già condannato a 12 anni per corruzione, è accusato dell’omicidio dei manifestanti, stesso capo d’imputazione per gli altri sei ufficiali di polizia presenti in aula. Accusato di corruzione e arricchimento illecito anche Hussein Salem, uomo d’affari vicino a Mubarak, fuggito in Spagna prima della caduta dell’ex rais e giudicato in contumacia.

Forte l’immagine dell’ingresso degli imputati in aula: nessun egiziano dimenticherà il vecchio onnipotente Mubarak dietro le sbarre dell’aula di tribunale in barella, vestito di bianco come i figli, colore degli imputati in attesa di giudizio accanto a al-Adly vestito di blu, colore dei condannati. L’ex rais, come i figli, ha negato tutte le accuse a suo carico.

Il processo ha però avuto le sembianze di una serie drammatica: nonostante Mubarak fosse lucido e sembrasse star bene è stato portato in aula in barella; accanto a lui, il figlio Gamal è apparso tenendo tra le mani Corano, una sorta di tattica per suscitare compassione e simpatie.

Alcuni vedono nella corte garanzie di giustizia, molti altri credono invece che il processo non sia affatto imparziale dato il maggior spazio concesso in aula alla difesa degli imputati che agli avvocati delle famiglie dei martiri. Il processo potrebbe inoltre rivelarsi oltremodo lungo con i suoi più di 1600 testimoni, tra cui figure di spicco come Suleiman e il capo delle forze armate Tantawi.

Il processo a carico di Mubarak riprenderà il 15 agosto; fino a quella data Mubarak si troverà al centro medico Cairo-Ismailia, sempre in compagnia di un’equipe medica perché, anche se non sembra così moribondo come vogliono farci credere, soffrirebbe di malattie come depressione e mancanza di appetito. Ma quanti altri detenuti magari picchiati o torturati dall’esercito, veramente bisognosi di cure mediche hanno a disposizione tale trattamento?

Ugualmente le numerose garanzie costituzionali garantire agli imputati del vecchio establishment sono spesso estranee nei molti processi a carico dei manifestanti. Ad ogni modo se il processo si rivelerà davvero improntato alla giustizia – giustizia non concessa alle migliaia di attivisti torturati e giudicati frettolosamente davanti alle corti militari – e se seguirà la volontà e del popolo e gli interessi della rivoluzione egiziana, in quel caso tutte le garanzie costituzionali offerte non potranno servire e potrebbe esser fatta giustizia per le vittime delle giornate della rivoluzione.

 

Gli Scontri:

Mentre piazza Tahrir è stata chiusa e militarizzata per evitare disordini e in molti sono davanti ad uno dei maxischermi a vedere la trasmissione in diretta del processo, in centinaia non hanno accettato in questa giornata di starsene seduti con le mani in mano a guardare il processo.

Fuori dal tribunale si formano due distinti presidi e si schierano da una parte egiziani ancora fedeli a Mubarak e dall’altra i familiari delle vittime e i giovani di Tahrir. I sostenitori di Mubarak portano con sé vecchie gigantografie di Mubarak, dall’altra parte i giovani che hanno combattuto in Tahrir e i parenti delle vittime portano con sé foto dei loro cari uccisi.

La rabbia esplode e iniziano le sassaiole tra i due schieramenti. Gli scontri durati per tutta la mattinata si sono conclusi con più di 50 feriti.

 

La forza delle mobilitazioni

Nonostante il processo contro Mubarak fosse stato accennato da molti giorni, fino a ieri in pochi credevano veramente di poter vedere Mubarak dietro le sbarre di un tribunale.

E’ chiaro come ciò non derivi affatto dalla sete di giustizia della giunta militare, quanto piuttosto dalla determinazione popolare. Non è un caso che la presenza di Mubarak dietro le sbarre di un tribunale avvenga dopo la lunga e determinata mobilitazione di Piazza Tahrir. La piazza delle rivoluzione è infatti stata dall’8 luglio, fino allo sgombero forzato del primo agosto, al centro di mobilitazioni permanenti che chiedevano giustizia per le molte vittime della rivoluzione.

La determinazione popolare oggi come allora è fortissima: se Mubarak non si fosse presentato o non fosse stato portato in aula, la rabbia sarebbe riesplosa più forte che mai.

La giornata di ieri è stata fonte di felicità e di speranze ma anche di incertezze; del resto è difficile per il popolo egiziano aver fiducia in un sistema politico e giudiziario in cui manifestanti continuano ad essere arrestati, torturati e soggetti a processi parziali come quelli delle corti militari.

Certo il processo di Mubarak è stata una delle rivendicazioni centrali e essenziali della rivoluzione, ma la vera giustizia sociale, gli ideali della rivoluzione, non verranno realizzati solo con l’eventuale condanna di Mubarak. In Piazza Tahrir si è manifestato per la condanna di Mubarak, ma anche per un vero cambiamento del sistema; vera giustizia sociale si avrà solo con l’abolizione degli strumenti repressivi che fanno assomigliare sempre di più l’attuale governo al vecchio regime.

Il popolo egiziano non dimentica le violenze delle 18 giornate che hanno portato alla caduta di Mubarak, non dimentica le 850 vittime e i 6000 feriti, ma non dimenticherà neppure le continue repressioni.

 

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