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Per un’analisi della prima fase del movimento contro le pensioni: ruolo dei sindacati e composizione sociale.

Incipit

In Francia il 70% della popolazione e il 90% dei salariati si posizionano contro la riforma delle pensioni.

“E’ importante guardarsi dal pensare che in Francia si stia vivendo un momento eccezionale ma è evidente che si viva un momento di cesura nella fase politica generale, nei movimenti e negli interessi statali”1.

Ivry sur Seine

La configurazione politica francese degli ultimi decenni mostra una successione di governi di stampo neoliberale che di riforma in riforma hanno legittimato un modus operandi autoritario, un’aggressività neoliberale senza precedenti. Parallelamente, le lotte degli anni 10 del 2000 hanno operato una ricomposizione della composizione sociale, dal movimento contro la legge sul lavoro sotto Hollande e le successive leggi antisociali, alle lotte femministe, ecologiste e antirazziste (pensiamo ai comitati di giustizia delle periferie contro le violenze della polizia), irrompono nei movimenti nuove pratiche che si confrontano con un livello di attacco progressivo. I gilet gialli poi, rappresentano un simbolo di straordinarietà nel processo dei movimenti classici, sia per la loro intensità e sia per la loro spontaneità, inattesa.

Davanti alla vitalità e alla creatività delle pratiche il regime neoliberale del sistema politico francese è in crisi. E’ paradossale come, al tempo stesso, l’intensità di queste lotte non abbia prodotto risultati ma esse siano state fallimentari, queste battaglie non sono state vinte.

Per questi motivi siamo di fronte a un momento di rottura, in un panorama in cui l’unico a porsi il problema di raccogliere l’insoddisfazione organizzandola in un programma politico chiaro è Melanchon con la France Insoumise e, dall’altro lato, l’estrema destra. E se fallirà anche questo movimento? Cosa ne sarà dei sindacati che denunciano una debolezza intrinseca della capacità di mobilitazione ma che occupano uno spazio di organizzazione delle lotte che nessun altro soggetto nel campo extra parlamentare è in grado di cogliere, perlomeno in questa fase? L’intersindacale (unione delle differenti sigle sindacali francesi) è di fatto il motore del movimento o perlomeno lo è stata sino al passaggio della riforma davanti al Consiglio Costituzionale e quindi alla sua approvazione ma non ricopre questo ruolo per la sua forza quanto più per la mancanza di una proposta organizzativa alternativa. Lo sciopero come solo strumento della lotta è sufficientemente adeguato alla complessità della fase?

La partita che si apre oggi significa giocare politicamente la crisi della Quinta Repubblica in Francia senza pensare di avere il lusso di bivaccare all’interno di un movimento in cui non si articolano le differenze, in cui l’elaborazione tattica deve basarsi su un’adesione pratica e non ideologica, che sappia ripartire da quei territori in cui la mobilitazione è esplosa in maniera inattesa, oltrepassare l’orizzonte dato dalla riforma delle pensioni per muovere i passi di un cammino che metta fine all’ideologia neoliberale in Europa.

1. Da una crisi sociale a una crisi politica2

“è sempre difficile riuscire a determinare il giorno X, individuare in quale momento effettivamente si è entrati nella dinamica di “movimento”. E’ difficile capire se si entra in una fase in cui il movimento è più radicale ma più minoritario oppure se il movimento si sta radicalizzando restando di massa. Questo è difficile da valutare ma ciò che è certo è che si continua ad avere un consenso molto largo della popolazione e questo non era dato per scontato precedentemente, perché la gente preferisce tendenzialmente sempre la propria tranquillità al fatto che le strade siano bloccate, che i rifiuti siano per strada3.” 

Muro di cinta dell’inceneritore di Ivry sur Seine

Ciò che viene sottolineato da più parti, quando si tratta di individuare le spinte alla base del movimento contro la riforma delle pensioni, è l’emergere di alcuni nodi : la debolezza dei sindacati nella loro capacità mobilitativa oltre che nell’affievolirsi delle adesioni (per quanto ad esempio la CGT stia vivendo una trasformazione al suo interno, dalla testa alla base. Ciò è vero se si pensa alla nuova segretaria eletta che, per quanto sia una “burocrate”, dimostra attenzione a tematiche all’ordine del giorno, come la questione ecologica, andando ad aprire contraddizioni interne – e salvaguardandosi l’immagine – con altre correnti rappresentate ad esempio dal settore della petrolchimica, nella persona di Olivier Mateu, sindacalista di stampo stalinista che quando ha approcciato il discorso ecologico disse “per me possiamo coinvolgere anche i naturisti della spiaggia di Tolone4”), la mancanza di un altro soggetto capace di organizzare la rabbia sociale e nell’individuare il passaggio della legge al 49.3 come un momento abbastanza determinante nel tramutare la crisi in crisi politica.

Ma allo stesso tempo una profondità di sguardo “rispetto al tema della ripartizione delle ricchezze e su questioni fondamentali, come la qualità delle condizioni di lavoro e le questioni intorno al welfare5” ha sin da subito caratterizzato il movimento. L’utilizzo del 49.3 è stato dato dalla paura da parte delle forze in Parlamento di perdere il loro consenso elettorale infatti, dopo numerose andate e ritorni tra l’Assemblea Nazionale e il Senato, il Governo ha deciso di utilizzare le maniere forti, dimostrando così di essere completamente asservito agli interessi del padronato (con una nota interessante data da una posizione molto marginale del MEDEF – nostrana Confindustria ndr). E così, mentre una settimana prima del 7 marzo l’intersindacale (di cui fa parte anche la CFDT – su questo ci torniamo in seguito) aveva tentato di lanciare lo sciopero generale dichiarando di voler bloccare in maniera illimitata tutto il Paese e le prime manifestazioni non avevano dimostrato l’effetto sperato, dopo il 49.3 si è aperta una fase di crisi cosiddetta democratica, con giornate di presidi e appuntamenti spontanei nell’ovest della città (i quartieri ricchi, il centro delle mobilitazioni dei GJ, gli Champs Elysèes, dove solitamente non avvengono le manifestazioni più classiche) che “hanno posto delle questioni che andavano ben oltre la questione della riforma delle pensioni: la democrazia, il potere, chi lo esercita e come. In quel momento quindi si è verificato un cambiamento6”.

E poi viene sottolineato un tema centrale: l’impossibilità di negoziazione, questa negazione è resa esplicita sin dall’inizio del movimento. Infatti, come sottolinea Fx “non c’è negoziazione. Nel passato in Francia durante tutti i movimenti sociali la CFDT (Confédération francaise démocratique du travail) aveva tradito il movimento… ora, anche se vogliono provare a tradire il movimento, non è possibile. Hanno provato a dire qualche volta che c’era una possibilità di uscita dall’alto, un’intesa nella riforma, ma il governo ha soppresso qualsiasi possibilità di negoziazione. La CFDT ha provato anche le settimane scorse a ridiscutere il disegno di legge, ma il governo ha detto che non era possibile. Il che è anche una cosa positiva perché permette all’intersindacale di tenere, se no sarebbe già esplosa”.

Rispetto a questo tema anche un altro militante nella CGT da noi intervistato ha voluto mettere in luce il fatto che “Al di là di dover fare i conti con la propria base più in generale c’è un vero problema economico strutturale, e che non riguarda soltanto la Francia e che si manifesta nel fatto che non siamo di fronte a una fase di accumulazione, ciò non permette di avere dei settori privilegiati e inoltre non permette alcuna redistribuzione delle ricchezza, perché non ci sono. Infatti l’unica risposta del governo è stata autoritaria, non avendo in mano nessun’altra possibilità. Quindi per quanto ci sia una debolezza tendenziale dei sindacati c’è allo stesso tempo uno spazio di possibilità che si apre in questa fase di crisi politica perché si costruisca una forza7”.

1.1 Ruolo dei sindacati

Il tema dell’impossibile negoziazione con il Governo impone una riflessione sul ruolo dei sindacati oggi. Se, storicamente, a partire dalla legge del XIX secolo che li rese legali, il ruolo del sindacato sarebbe dovuto essere quello di un anello di congiunzione/un tampone tra rivendicazioni sociali e il padronato, costruendo i termini di quello che viene chiamato “dialogo sociale” (posizionamento completamente assunto da un sindacato come la CFDT), oggi il paradosso che si vive è che le stesse istituzioni politiche, incarnate da Macron, sono riuscite a far oltrepassare questo limite. In questo senso “ strategia del governo che non ha provato a negoziare su niente ha permesso che si mantenesse l’unità tra i sindacati, senza dare adito a tendenze che avrebbero potuto accettare contrattazioni al ribasso. Non è stato in grado di proporre qualcosa alla CFDT che rompesse l’intersindacale8.”

Ciò detto, è interessante notare come gli stessi militanti della CGT con cui abbiamo parlato hanno ben chiaro che sia un fatto inedito il loro essere in posizioni importanti all’interno del sindacato, nonostante rappresentino una tendenza conflittuale. Inoltre, i limiti delle strutture che si pongono in ottica di organizzare il movimento non appartengono soltanto al sindacato, esistono anche altri soggetti politici che dimostrano di avere più a cuore i propri fini piuttosto che l’obiettivo di costruire pratiche e proposte che siano funzionali al movimento e alla lotta.

In merito ai settori in movimento prendono protagonismo l’energia, la petrolchimica, i trasporti e i rifiuti. Secondo i militanti intervistati è importante mettere in piedi una strategia che permetta di rafforzare la struttura sindacale perché possa effettivamente costuire una forza – un contropotere – allargando i settori attivi e diffondendo pratiche che possano essere all’altezza della fase, nei termini di creatività (interessante la proposta di iniziative come il blocco del raccordo stradale che circonda Parigi “il periph” oppure le sospensioni di corrente in determinate zone) e nei termini di adeguare e aggiornare le proprie forme classiche in base alla realtà sociale, sia soggettiva sia oggettiva, nella ristrutturazione del capitale (data dalla frammentazione del lavoro, dalla precarietà, dall’esternalizzazione dei servizi – “non basta far scioperare i ferrovieri se poi la maggioranza dei lavoratori della SNCF sono sotto contratti privati ed esternalizzati, perché così facendo non si raggiunge l’obiettivo di bloccare realmente un settore9”). Secondo i nostri interlocutori, “Bisogna partire da dove si è forti per andare a fortificare dove si è deboli, perché altrimenti si va verso un sindacalismo corporativo, capace solo di difendere gli interessi settoriali e incapace di fare un salto di qualità. Questo è un dibattito interno, le strutture interprofessionali sono i luoghi di incontro di tutti gli statuti dai più precari ai manager, questi incontri possono formare una classe sociale con interessi comuni10”.

Libreria Envie de Lire – Ivry sur Seine

Viene condivisa una profonda riflessione sulle pratiche e sul radicamento: “come interfacciarsi con i territori meno sindacalizzati, più precari e più destrutturati (considerando l’attivazione inaspettata in zone e territori che normalmente non si mobilitano) andando oltre le forme classiche ma proponendo azioni più creative. In questo senso si è organizzata l’iniziativa del blocco del periph, ciò non è scontato per la CGT ma porsi questa questione significa che c’ è spazio per costruire basi sociali reali, il movimento porta forze vive ma bisogna porsi la questione di un vero cambiamento. Questa fase si inserisce in una dinamica in cui ci sono le conseguenze del covid, la questione profonda che si pone è che durante il lockdown non vi era possibilità di incontro ma allo stesso tempo si era costretti ad andare a lavorare mettendo a rischio la propria salute, questo ha lasciato una traccia nelle persone che oggi è visibile11”.

1.2 Composizione sociale e possibilità di controsoggettivazione

Un ultimo tema che approfondiamo qui, ma che abbiamo avuto modo di discutere anche con altri soggetti con cui ci siamo interfacciati, è l’analisi della composizione sociale del movimento. Perché oltre alle condizioni materiali e oggettive date dalla controparte, sia da un punto di vista di reazione al movimento scoppiato ma anche da un punto di vista delle trasformazioni del nemico negli anni recenti, è centrale una lettura lucida su chi sono i soggetti pronti a muoversi, a bloccare il Paese, a incendiarlo e anche a incarnare una possibilità di controsoggettivazione conquistandosi uno spazio nelle maglie del capitale.

Innanzitutto, segnaliamo alcune critiche / analisi riportate da alcuni testi in Francia che hanno parlato di un movimento bianco e sostanzialmente poco proletario, questo per l’evidente esclusione del tema decoloniale in quanto tale e per il poco (variabile che cambia rispetto al territorio specifico che si prende in considerazione) coinvolgimento della composizione delle “banlieues”. Al di là del rischio che si corre di essenzializzare questa categoria nel porre tale osservazione, riportiamo alcune considerazioni dei militanti intervistati (rimandando all’approfondimento sugli scioperi dei netturbini di cui abbiamo discusso con Ali, militante CGT, netturbino, razzializzato).

“Non ci sono questioni decoloniali portate tout court dal movimento, un minimo la questione si è posta in merito al tipo di pensione per i lavoratori migranti senza documenti, ma è differente rispetto alla composizione del movimento.. è evidente che se c’è una mobilitazione con milioni di persone in piazza significa che non ci sono solo funzionari e professori, nonostante sia interessante che ci siano e che abbiano preso parte al movimento in maniera consistente, la composizione è proletaria e, all’interno di chi si è mobilitato, rintracciamo in particolare soggetti con contratti/status protetti, parliamo di settori molto operai ma molto protetti / garantiti, (come i netturbini). Nell’ambito della raccolta dei rifiuti il 70% è di origine Africa subsahariana e delle ex colonie francesi, hanno dei contratti garantiti (la maggior parte di chi ha scioperato è nel settore pubblico), ma ovviamente abitano i quartieri più popolari e non sono bianchi. Per chi lavora nel settore ma è contrattualizzato nel pubblico è stato più semplice mobilitarsi, mentre per chi ha condizioni anche peggiori ma più frammentate stanno nel settore privato12

Blocco al garage della raccolta rifiuti a Aubervillier

Gli scioperi nel settore dei rifiuti per quanto riguarda la città di Parigi sono stati centrali, sia per l’incisività e le pratiche (il blocco è fondamentale per la buona riuscita delle azioni) sia per il significato che assume. Più persone hanno sottolineato come i quartieri del centro di Parigi fossero inondati dai rifiuti molto più che le periferie, risultato del fatto che i settori pubblici (con maggior adesione allo sciopero) si occupano degli arrondissement più ricchi, il che ha creato una certa atmosfera in città..! E’ interessante dunque come la “questione ecologista” non si dia in una forma di sommatoria dei soggetti (che rischia di andare a formare una convergenza vuota) ma si dà nella lotta, perché al di là della protesta contro la riforma delle pensioni, i netturbini in sciopero hanno posto al centro la questione della salute, dei danni dovuti al lavoro, dell’invisibilizzazione del loro lavoro e della sostenibilità di questo.

“Il dibattito sulla riforma delle pensioni, oltre che il contenuto della riforma, riguarda le condizioni del lavoro. La riforma delle pensioni va a intaccare quattro principi di gravosità del lavoro: portare i pesi pesanti, le vibrazioni meccaniche, il lavoro notturno e un quarto che è l’eliminazione delle fasce orarie alternative di lavoro. Ciò tocca le raffinerie, la logistica, i rifiuti13”.

Un elemento interessante è il fatto che il ceto medio impoverito abbia preso parte attiva all’interno del movimento, come dice una nostra intervistata “ormai questi soggetti devono scegliere dalla parte di chi si vogliono mettere. E oggi è sempre più evidente che ci sono due parti: dunque bisogna fare una scelta”. E continua dicendo che “è evidente che ci sia un cambiamento nella composizione di classe e che non si possa parlare di movimento operaio rimasto identico al movimento operaio classico”.

“Inoltre, nel movimento ci sono nuove relazioni che si creano: da un lato con la dimensione antagonista e dall’altro lato, con la France Insoumise che ha una forza nei quartieri popolari e, se oggi rileviamo una divisione tra spazio politico e sociale / partiti e sindacati, ora come ora c’è bisogno di articolare questi spazi e le strutture che si pongono l’obiettivo di organizzare il  movimento (nonostante i limiti siano ancora molti su questo) ma occorre andare in tendenza verso questa articolazione, niente è concluso ma oggi possiamo porci gli obiettivi per il futuro14”. 

1E. compagno di Parigi intervenuto all’Università di Torino inizia così il suo intervento nel quadro del dibattito “Cosa succede in Francia?”, 13 aprile 2023.

2Citiamo il titolo di un paragrafo dell’articolo di Fx The French Unions Strike back, che alleghiamo tradotto.

3Z. (pseudonimo per esigenze di anonimato) Giovane donna militante alla CGT (con percorso politico radicale alle spalle, UCL Unione Comunista Libertaria), 11 aprile 2023.

4Fx Hutteau, compagno di Parigi con cui discutiamo in un caffè a Belleville, ci racconta le sue impressioni sui subbugli interni alla CGT, 10 aprile 2023.

5Z. cit.

6Z. cit.

7H. militante CGT (giovane, tendenza trozskista), 11 aprile 2023.

8Z., cit.

9Z. cit.

10Z. cit.

11H. cit.

12Z. cit.

13Fx cit.

14Z.cit.

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